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Profumi, aromi, essenze e fragranze

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Cari lettori,
chi non muore ci si rivede!
Sì, lo so che con i tempi che tengo, ormai, potrei essere facilmente creduta deceduta, ma ogni tanto ritorno e spero di continuare a farlo =)

Dopo un post bello tosto sullo sfruttamento minorile di qualche settimana fa, passiamo oggi ad un argomento decisamente più frivolo: oggi parliamo di profumi.

Cito la definizione ufficiale, gentilmente concessa da Wikipedia per chiarire cosa si intende nella sua lineare semplicità:
Profumo (dal latino per, "attraverso", e fumum, "fumo" attraverso il francese parfum) è una miscela di una base di alcool o sostanze oleose, con sostanze odorose, il cui uso è principalmente quello di procurare sensazioni olfattive gradevoli, che stimolino un senso di benessere.

Un po' di storia
L'impiego del profumo è documentato già 5000 anni fa, ma si è quasi certi che il suo uso sia da retrodatare ulteriormente. Benchè gli egizi siano la civiltà che più delle altre è passata alla storia per la sua caratteristica mondana e cosmetica, con le pratiche di cura del corpo e di make-up (sempiterna l'usanza di segnare di nero il contorno occhi, una pratica dettata più dalla necessità di proteggerli dai parassiti che da una scelta estetica), il profumo è nato altrove: originario della Mesopotamia centrale, la regione tra il Tigri e l'Eufrate considerata la culla delle civiltà. Il più antico profumo conosciuto si dice sia l'incenso, ancora oggi in uso nelle aree del Medio Oriente e del Nord Africa come un aroma sensuale ed esotico e venne inizialmente estratto e messo in uso nella Mesopotamia delle prime civiltà agricole.
The Perfume Makerby Rudolph Ernst

Nella Grecia classica e in tutto il Mediterraneo, così come in Medio Oriente, la pratica di profumarsi era estremamente comune, specialmente per le donne. In molte opere teatrali greche, specialmente quelle che hanno come protagonista una figura femminile e non sono orientate all'epica, qualche accenno e rimando viene sempre fatto, così nel suo Lisistrata, Senofonte non perde l'occasione di ricordarci che le signore greche di Atene, Sparta e altre città del Peloponneso avevano usanze a dir poco moderne, non solo quella del profumo, ma, per esempio, anche della depilazione dell'inguine e delle gambe.
Anche gli Arabi furono utilizzatori del profumo in senso stretto, ed è infatti da loro che provengono aromi esotici con fiori e spezie, profumi di fiori orientali, di mirra, aloe, incenso piuttosto che di piante noto solo in Estremo Oriente. Il profumo di rosa, uno dei più famosi e apprezzati, fu inventato in Persia (l'attuale Iran) proprio durante la dominazione Araba e il periodo delle crociate.
Un bassorilievo persiano raffigura una
donna con una boccetta di olio profumato
datato 5 secolo a.C.
Dobbiamo ringraziare loro se quest'arte raffinata, voluttuosa e sensuale è arrivata fino a noi perchè è con la loro tradizione che è stata tramandata quando, in Europa, decadde completamente durante il Medioevo. Le donne arabe, infatti, come le donne greche, hanno mantenuto nel corso della storia usanze di cura del corpo e igiene personale estremamente più elevate rispetto a quelle diffuse in Occidente, o forse dovremmo dire non diffuse

La ricetta del profumo, sebbene variasse nelle dosi e nella miscela, rimase comunque invariata per secoli, cambiavano gli ingredienti profumati, ma il catalizzatore di fondo, l'alcool o alcuni oli, erano irrinunciabili; solo con lo sviluppo tecnologico e la scoperta e introduzione di nuove sostanze il modo di concepire questo ornamento cambiò. Preparare un profumo può apparire semplice, ma è in verità una materia complessa che mescola chimica e alchimia nella sua preparazione, pensate che nella miscela di un profumo si mescolano dai 30 agli 80 ingredienti, questo per fare in modo che l'aroma principale abbia anche altri retrogusti che suscitino determinate reazioni ad un'annusata più attenta o anche in maniera inconsapevole al naso dello spettatore, quest'ultima qualità rientra nella cosiddetta soglia di percezione del profumo, ovverossia un'aura percepibile, ma un po' indistinta e indefinita. Per le varie soglie e note, si veda più avanti.

Una rivoluzione sostanziale nella storia profumiera europea avvenne proprio nel periodo vittoriano, quando, ormai stufi di mughetti, violette e calendule, tutte piante graziose e profumate, ma un po' "vecchie", e grazie alle importazioni dalle numerose colonie, i profumieri di Londra e Parigi incominciarono ad adoperare erbe e fiori prima ignorati nelle ricette, come la vaniglia, il ylang ylan, il frangipani e così via.


La coloratissima pubblicità del profumo
da donna Harajuku Lovers firmato
da Gwen Stefani

Al giorno d'oggi possiamo scegliere tra moltissime varietà e fragranze differenti, muschiate, speziate, fiorite, fruttate... ogni volta che entro in profumeria ci lascio il senno (e il naso) perchè alla fine non capisco più niente di quello di cui mi parlano le commesse e ho il naso saturo più di nomi altisonanti che di qualcosa di aromi, ma nella grande varietà di scelta che i profumieri hanno prodotto, anche io ho trovato il mio piccolo spazio.
Qual è il vostro profumo preferito?
Personalmente, non essendo un tipo eccessivamente frivolo o femminile, non sono molto attirata dai profumi eccessivamente dolci e floreali dove il gelsomino, di solito, fa una strage di tutto il resto, le mie scelte preferite, fino ad oggi, sono state l'Acqua di Gioia, di Armani, che mi ha davvero conquistata con quella fragranza particolare, molto naturale e per niente affettata. Un altro profumo che ho adorato è Happy Spiritdi Chopard, sebbene questo sia decisamente più sofisticato: so che la confezione a cuoricino trae un po' in inganno, ma non è un profumo particolarmente melenso, ricordo che lo scoprii per caso con un campioncino in una rivista e me ne innamorai.

Come si classifica un profumo?
Non certo in base al gradimento personale, sebbene, come si suol dire, la bellezza è soggettiva, ma la bruttezza è oggettiva e ciò probabilmente è valido anche nel caso della puzza.
Secondo gli standard moderni abbiamo due scale, la prima analizza intensità ed effetto sulla persona e cataloga il profumo come segue:
  • Soglia d'effetto: il corpo reagisce al profumo di un'intensità quasi impercettibile
  • Soglia della percezione: si percepisce una certa aura, ma che non si sa definire
  • Soglia di riconoscimento: si riconosce il profumo e lo si sa definire
  • Soglia del piacere: si percepisce l'intensità del profumo
  • Soglia dell'eccesso: il profumo ha una nota troppo forte e provoca una sensazione d'invadenza
  • Soglia di fuga: il profumo provoca una reazione di fuga
 La seconda, invece, cataloga il profumo in base alle tre componenti, delle note.
  • La nota di testa (o nota capitale) si percepisce subito dopo l´applicazione del profumo sulla pelle. Siccome questa nota è molto importante per l´acquisto, la nota di testa è più intensa delle altre e viene impressa per mezzo di sostanze profumate leggere e passeggere. Per questo motivo è necessario testare il profumo sulla pelle per qualche ora per poter percepire anche la nota emozionale.
  • La nota di cuore si può percepire nelle ore che seguono la scomparsa della nota capitale.
  • La nota di fondoè l´ultima parte del processo profumiero e contiene elementi persistenti.

Setto ciò, siete pronte per una visitina in profumeria a vedere se questo corrisponde a verità e se si riesce a riconoscere le note e le soglie nei vari profumi che le solerti commesse vi faranno provare sui cartoncini, ricordatevi di non acquistare un profumo che ad una prima annusata risulta gradevole, ma dopo averlo provato, di farvi un giro e rimanere in circolazione almeno un paio d'ore per vedere come reagisce l'aroma, alcuni profumi scemano inesorabilmente dopo pochi minuti/mezz'ora (topo le eau de toilette e i profumi poco seri), altri dopo un po' di tempo assumono una fragranza sgradevole a contatto con certe sostanze della pelle, a volte dipende da noi, a volte dalla composizione del profumo, nella mia esperienza ho notato che c'è un profumo della Kiko che mi avevano regalato che mi piaceva moltissimo, ma che dopo un poco che lo
avevo addosso puzzava di fritto! Neanche fossi entrata in un locale di fish&chips!
Nella scelta del profumo io prediligo sempre le grandi maisons e, soprattutto, le eau de parfum o le essenze che sono un po' più strong all'applicazione ma perdurano senza svanire in qualche minuto. L'applicatore a spruzzo è il mio favorito perchè sono incapace di rigirarmi tra le mani una boccetta senza far danni e rovesciarne il contenuto sul tappeto: sono consapevole dei miei limiti.

Facciamo ora insieme una carrellata di cosa andava di moda indossare e con cosa ci si profumava durante i periodi storici che di solito discutiamo.

Epoca rococò
All'epoca di Maria Antonietta e della prestigiosa Versailles, i profumi erano un must have di chiunque fosse abbastanza ricco da permetterseli.
Un prezioso contenitore di profumo
di epoca settecentesca
Le pratiche igieniche, come abbiamo visto, erano ai minimi storici, le persone non si lavavano se non dopo diverse settimane e tutto il trucco usato dai macarons e sia da gentiluomini che da gentildonne era coprente, opprimente e, dopo un po', anche puzzolente.
Il profumo era considerato la scelta migliore per coprire i disgustosi olezzi del corpo umano fin dai tempi di Luigi XIV e le pratiche erano cambiate di poco nel corso del tempo.

Parigi, capitale della moda già al tempo, era anche la capitale di importantissimi e rinomati profumieri che coltivavano nei loro stessi orti le essenze fresche e compravano a prezzi esorbitanti incensi, ingredienti e altre spezie provenienti dall'oriente.
Nel Settecento francese, alla corte più sfarzosa del mondo, gli aromi orientali di sandalo, incenso, cannella, ecc. erano snobbati in favore di fragranze più classiche. Un gusto troppo orientale mal si sposava, dicevano, con la moda e il canone di bellezza e, in effetti, forse avevano ragione.

I più impiegati in profumeria erano i sentori di fiori, molti apprezzati sia da uomini che da donne, opportunament mescolati con essenze più neutrali di legno, muschio e felce, ma i veri padroni della scena erano gli aromi mediterranei: mai come all'epoca le piante delle nostre coste divennero famose non solo nell'arte culinaria, ma anche in quella olfattiva. Alloro, ginepro, rododendro, cipresso, muschio, felce, citronella, ma soprattutto salvia e rosmarino erano trai favoriti di molte regine di Francia.

Guardando il film di Sofia Coppola Marie Antoinette, con la sua aria così pink-chic, emblema di una cultura pop anni '90 mescolata alla storia e al caleidoscopio di una bellissima tavolozza multicolore mi sono davvero chiesta se molte delle particolarità di quest'epoca non siano andate perdute in favore del pregiudizio: chi mai penserebbe che la Reine adorava il rosmarino vedendo un film dove è quasi sempre vestita di giallo canarino e rosa shocking e addenta bon-bon dal mattino alla sera?
La verità è che Antonietta, per quanto raffinatissima per il suo tempo, oggi sarebbe stata considerata un po' country con i suoi abiti a fantasia floreale, i suoi cappellini di paglia e i fiori tra i capelli, tutto eccessivo per il suo tempo, certo, tutto OLTRE quello che era accettato e comunemente visto in giro, ma per sempre affine ad un senso estetico di un'altra epoca, perciò il film della Coppola, per quanto delizioso, trovo che abbia furviato parecchio nell'idea che suscita della regina francese cercando di rendere l'idea di trasgressione con un atteggiamento un po' troppo moderno rispetto a quello che era davvero.

Un prezioso set di boccette di profumo in cristallo e oro.
Tutti i contenitori avevano il tappo e non il vaporizzatore che sarebbe stato inventato solo il secolo seguente.


Ma, per tornare all'argomento del presente post, il profumo rococò era un capolavoro di mescolanze, il profumo perfetto che Jean-Baptiste Grenouille cerca disperatamente di creare nel celebre e macabro film Profumo, storia di un assassino e tutto ciò che circondava il profumo era creato e trattato come un'opera d'arte, i profumieri erano delle semi divinità nella cui ristretta cerchia si entrava solo se davvero dotati del talento necessario per una professione sì bramata, ma difficile da portare avanti e anche le ricche boccette di profumo in vetro e metallo erano create come piccoli capolavori.
La Boemia, nota già all'epoca per la sua produzione di cristallo divenne famosa per le ricche boccettine, le cui riproduzioni vengono ancora oggi vendute ai turisti. Analogamente precisi e raffinatissimi orafi russi creavano ampolle e contenitori in metallo come usava all'altra parte dell'Europa. Smalti, ori, pietre preziose e guarnizioni in avorio e legno erano il corollario.
Lo spruzzino, la pompetta che fa così tanto anni '20, non era ancora stato inventato, perciò il profumo veniva cosparso tramite il tappo.


Epoca regency & napoleonica
Le donne del tempo accentuarono ancora di più questa vena selvatica del loro profumo, forse per affiancarlo al fatto che fossero donne tornate tutte d'un pezzo dopo l'epoca della libertà di costumi più assoluta dopo Roma.
Due contenitori di giada destinati agli oli e ai profumi
Le essenze naturali dal sapore non troppo affettato ed esclusivo e neppure dolce e melenso erano l'emblema di una femminilità che torna ad apprezzare la naturalezza del fisico e dell'atteggiamento, tornano di moda i fianchi larghi, il petto viene esposto tramite scollature profonde, ma anche abiti tagliati sotto il seno, le braccia (possibilmente robuste) si mostrano nuovamente alla vista, i capelli tornano di colori naturali e, anzi, si prediligeva il comune castano all'artificioso biondo in voga fino a poco prima.
Il trucco così indispensabile fino al decennio prima venne abolito definitivamente dalle toelette delle lor signore, ma il profumo sopravvive, un po' mutato, meno femminile e più rustico, ma resta come l'unica forma di belletto consentita (ovviamente ufficialmente).

Si dice che Giuseppina Bonaparte, prima moglie di Napoleone,prediligesse una fregranza di muschio molto marcata e che dopo la sua morte il profumo rimase ad impregnare il suo boudoir ancora per più di cinquant'anni.
Il suo uso di profumo, comunque, era industriale, la nostra signora Imperatrice di Francia arrivò a consumare la bellezza di più di 60 boccette al mese!
Il suo consorte, cresciuto tra i soldati dell'esercito e nel periodo più oscuro della politica francese, comunque non era da meno consumandone la medesima quantità egli stesso!



Al contrario della vena poco leziosa del profumo femminile, quello maschile sarebbe stato considerato un po' troppo effeminato per i tempi moderni, così mentre le donne si ricoprivano di muschio e ginepro, gli uomini facevano uso di colonia, violetta e gelsomino!

Verso il termine dell'epoca napoleonica, sempre rimanendo però nell'ambito della naturalezza del composto, i fiori tornano a far parte delle miscele femminili. La loro presenza è meno marcata che in passato e si scelgono aromi decisamente meno forti, ma calendula, mughetto, giaggiolo, violetta, riappaiono nelle loro belle illustrazioni sulle boccette di profumo proprio negli anni '20 dell'Ottocento.
Maria Luisa d'Asburgo, seconda moglie di Napoleone e nipote di Maria Antonietta, si dice fu proprio la creatrice di un noto profumo alla violetta chiamato Acqua di Parma (di cui abbiamo detto in passato) che è rimasto famoso e ancora oggi commercializzato nella città dove divenne duchessa dopo il declino politico del marito.


Epoca vittoriana
Passata l'austerity del tempo di Napoleone e del ritorno alla classicità, le donne vittoriane ricominciarono, seppur molto lentamente, ad affacciarsi al mondo della cosmesi.
Trucchi, belletti e così via rimasero confinati in un angolo per buona parte dell'Ottocento, relegati all'uso di amanti, prostitute e cortigiane di mestiere per accentuare i loro tratti e la sensualità della persona, ma il profumo, meno invadente e più sottile forma di seduzione, evolve ancora.
Lentamente, nel corso dei decenni, perde la sua caratteristica rustica, diventa prima un aroma naturale e spontaneo, i fiori ritornano padroni delle ricette, le misture dolci, seppur più delicate che in passato, ritornano le preferite delle signore.

Poutpurri
by Edwin Austin Abbey


Verso la metà del XIX secolo arriva anche una novità importante: il vaporizzatore, altrimenti detto "profumo a spruzzo". Tramite un sapiente gioco di aria risucchiata dalla pallina cava, il profumo era prelevato dal fondo del contenitore e corsparso sull'intera persona attraverso uno spruzzo che lo suddivideva in minuscole goccioline.
Vi sembra una scoperta tipo acqua nel pozzo? Fino all'Ottocento il profumo era indossato alla maniera più antica, la boccettina era roveschiata sulla pelle, sulle dita oppure sul tappo, appositamemte formato, e poi delicatamente mosso su polsi, collo, clavicole e solco tra i seni.
L'introduzione del vaporizzatore, per quanto geniale e rivoluzionaria, impiegherà comunque molto tempo per essere introdotta e solo dal primo decennio del Novecento incominciò ad essere diffusa in tutto il mondo ed applicata alla maggioranza dei profumi.
Illustrazione vittoriana
di un profumo da donna
aromatizzato al garofano
e dotato di vaporizzatore
Sapendo questo, lo capirete, molti dei romanzi storici che leggiamo in cui le eroine si lasciano dietro scie di profumo esotico non stanno molto in piedi, le ragazze, specialmente quelle nubili, dovevano prestare attenzione a non esagerare e la fragranza prescelta doveva essere percepibile soltanto avvicinandosi molto, ad sempio per parlare o nei balli più stretti, altrimenti era considerato volgare.

Come per tutte le mode, anche nell'Ottocento si susseguirono periodi diversi di preferenze, nella seconda metà del secolo, per esempio, tornarono le fragranze estremamente fiorite e delicate e il mughetto conobbe un grande periodo di popolarità insieme all'intramontabile rosa, sul finire, invece, la delicatezza cedette il posto a qualcosa di un poco meno affettato (il mughetto era diventato da vecchie) ed essenze agrumate o esotiche, ma non soffocanti, divennero le prescelte.
Personalmente adoro una delle scene finali del manga Emma di Kaoru Mori, quando la signora Trollope e Mrs Molders preparano Emma per un ricevimento e tutte insieme le insegnano come, da quel momento, si sarebbe dovuta vestire ed atteggiare per far parte della buona società ed essere una degna compagna per l'uomo di cui è innamorata.
In questa scena le donne di casa raccolte di fronte alla toeletta e completato il look le suggeriscono alcune fragranze, Emma alla fine propende per il mughetto e alla fine anche le altre si trovano d'accordo, sostenendo che fosse un aroma che si addiceva alla sua personalità, lei invece l'aveva preferito perchè da bambina era stata un'umile venditrice di fiori per le strade della capitale e con quel gesto vuole comunque sancire un legame con quella che è la sua natura di popolana, non abbandonarla definitivamente, ma mantenere un collegamento e portare nella sua nuova esistenza molti insegnamenti del tempo trascorso. William, che la conosce molto, bene, coglie questa sfumatura della sua scelta e ne è estremamente orgoglioso.
A questo link trovate la scena che intendo (e potete rifarvi gli occhi con gli splendidi disegni della Mori che è maestra di bravura e dettaglio), vi suggerisco di prestare attenzione alla foggia dei bottiglini.

A questo punto vi saluto, so che il post non è stato lunghissimo, ma scriverlo è stato estremamente divertente e spero che sia stato altrettanto interessante leggerlo.

La bellissima confezione vittoriana di un profumo alla lavanda da signora


Sitografia e bibliografia
Joann Fletcher, Oils and perfumes of ancient Egypt

Wikipedia IT | Profumo
Wikipedia EN | Perfume
The Alchemy Website | Perfumes in ancient Egypt
Ancient Egypt scents, incense and perfume
Perfumes.com | Perfume in Ancient Life
Perfumes.com | Perfume in Europe
Tour Egypt | Perfumes of ancient Egypt
Yahoo Voices | Secrets of ancient egyptian perfumes
Ancient History @Suite101| Ancient Egypt Makeup and Perfume Rituals
Bare faced truth | A brief history of skin care & cosmetics. Parte1: Ancient times
WysInfo Docuweb | Ancient perfume route
Beauty Apothecary | The ancient practice of Aromatherapy through the civilizations
Jane Austen | Scent-Sational: Regency Perfumes and the man who made them
MyMovies | Profumo: storia di un assassino

Un bacione e a presto (spero)




Mauser

Fabergé alla Venaria

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Uovo con mughetti
La Venaria recentemente mi sta dando delle belle soddisfazioni, se non fosse inguaribilmente Savoia ci farei l'abbonamento.
Quest'anno penso che per la terza estate di fila andrò a visitarla, complice una mostra che mi ispira davvero moltissimo e che spero interesserà anche voi e che ha come protagoniste le uova Fabergé.


Quattordici splendidi esemplari di uovo accompagnati da 350 opere di fattura orafa russa della The Link of Times Cultural and Historical Foundation sono esposte alla Reggia dal 29 luglio fino al 9 settembre 2012.
Appassionata come sono, ho deciso che andrò a vederle assolutamente, l'arte orafa mi ha sempre affascinata e stregata per il lavoro di precisione, intaglio e scultura che richiede, i gioielli mi ipnotizzano, le pietre mi concupiscono e le lavorazioni mi catturano come un lazo.
E non sono una persona materialista!

La storia delle uova Fabergé inizia per la Pasqua del 1885 quando l'Imperatore Alessandro III regalò alla moglie Marija Fëdorovna (già Dagmar di Danimarca) il primo esemplare, l'Uovo con gallina.

A realizzare quest'opera d'arte in miniatura con i materiali più preziosi era il gioielliere russo, Carl Fabergé (Karl Gustavovič Faberže), detto “il Cellini del Nord”, che creò così uno dei miti di ricchezza e sfarzo della Russia imperiale. La Maison Fabergé era già un'istituzione storica di San Pietroburgo della gioielleria quando Carl creò il primo uovo, essendo stata iniziata dal genitore Gustav nel lontano 1842.


Uovo Bocciolo di rosa
La sorpresa e la felicità della zarina al ricevere questo dono furono tali che Fabergé si meritò l'appellativo di gioielliere di corte e gli fu commissionata la realizzazione annuale di un uovo dono.
Inizialmente la tradizione prevedeva che fosse realizzato un solo esemplare, ma dal 1895, anno della morte di Alessandro III e dell'ascesa di Nicola II la realizzazione passò a due, uno destinato all'Imperatrice Made e uno alla Zarina Alessandra.

Dal 1885 la Maison realizzerà ben 50 uova, di cui 14 esposte nella mostra alla Venaria che ovviamente vi suggerisco di andare a vedere perchè oltre che bellissime, tutte le uova sono particolari e realizzate con un tema o un motivo centrale sul quale si sviluppa la realizzazione, alcune seguono l'idea delle scatole cinesi e contengono altre uova più piccole o qualche tipo di sorpresa preziosa, come è il caso dell'uovo Memoria di Azov, altri sono precisamente dedicati ad eventi significativi del regno dello zar, come l'Uovo dell'incoronazione di Nicola II oppure l'Uovo della Transiberiana, sulla cui fascia è segnato il percorso della lunghissima linea ferroviaria che attraversa l'intero Paese.
Alcune delle uova sono decorati con fiori in pietre due o pietre preziose come è il caso dell'Uovo con mughetti e dell'Uovo con gigli, sono tutti uno differente dall'altro e gareggiano in bellezza e difficoltà realizzative incantando lo spettatore.
Uovo pergola di rose

Poter ammirare dal vivo questi prodigi di tecnica e maestria è senz'altro un'esperienza da non lasciarsi scappare.
La mostra è suddivisa in tre sezioni
  • La grandiosità della corte zarista dove sono esposti manufatti in uso a palazzo, si narra della fastosissima incoronazione di Nicola e si parla della grandiosità di una corte diversissima da quelle europee; 
  • La fabbrica Fabergé: due sale presentano alcune delle tipologie più significative della produzione artistica e artigianale realizzate da Carl Fabergé nella sua grande bottega. Aperta nel 1842 a San Pietroburgo, l’azienda si ingrandì fino a contare quattro sedi in Russia e una a Londra con oltre 500 dipendenti per rispondere alle raffinate e altolocate committenze di tutta Europa.
  • La collezione imperiale di uova in cui sono esposti i preziosi capolavori e sono spiegati la loro storia, la difficile e lunghissima realizzazione (un anno per ciascuno) e il loro significato.
Per maggiori informazioni sulla mostra vi invito a visitare la pagina del sito della Reggia dedicata all'evento

Uovo Memoria di Azov

...e chissà che non ci ritroviamo per caso tutti lassù ad ammirare queste meraviglie ;)

Un bacione,





Mauser

Una vita per la musica

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Cari lettori,
quanto tempo dal mio ultimo post! Mi vergogno così tanto di aver lasciato trascorrere tanto tra un intervento e l'altro, ma come avevo accennato in passato purtroppo gli impegni e qualche novità nella mia vita hanno reso gli attimi dedicati alla scrittura estremamente rari e difficili da sottrarre alle incombenze quotidiane tra le più serie e le più futili.

Purtroppo non riesco ancora a rassegnarmi all'idea di chiudere il blog, principalmente per colpa vostra, devo dire, che quando ho accennato alla cosa non solo mi avete sostenuta e confortata, ma mi avete anche ricoperta di messaggi d'insulto se mai avessi provato a fare una cosa del genere e quindi, SOLO ed ESCLUSIVAMENTE per istinto di autoconservazione, continuerò ad andare avanti, gli aggiornamenti purtroppo saranno sporadici, non posso garantire una presenza più costante, ma al momento ci sono e quando mi scrivete nei commenti o nelle mail, tempo permettendo e conoscenze permettendo ovviamente, rispondo sempre e lo farò anche in futuro, preparando i miei post di libri, film e approfondimenti tra le relazioni degli ultimi progetti dell'ufficio e le routine giornaliere.

Oggi è una ricorrenza importante per un personaggio che in Italia purtroppo non gode di molta fama al di fuori dei circoli musicali: Clara Wieck Schumann.
So che di solito non festeggio compleanni celebri, l'ho fatto solo per Charles Dickens perché con lui non gioco mai fair play, ma in questa circostanza ho colto l'occasione per approfondire una biografia interessante e poco nota.

Moglie del celebre compositore Robert Schumann, Clara è protagonista, oltre che di una romantica ed osteggiata storia d'amore con il musicista, classico bello, povero e disapprovato dalla famiglia, anche di una storia musicale di tutto rispetto, erede di una famiglia poco nota la quale aveva però radici intrecciate da sempre con quelle della musa Euterpe.

Clara fu infatti figlia di due personalità completamente votate alla musica e che da essa traevano guadagno.
Il padre di Clara fu Friedrich Wieck, musicista a sua volta, insegnante e divenuto fondatore di una casa di produzione di pianoforti tedeschi. La storia di Wieck emblematica di come la propria passione possa surclassare gli impedimenti, i fallimenti e le proibizioni, specialmente della famiglia, i Wieck infatti disapprovavano la vocazione del figlio e il suo desiderio di farne la propria fonte di sostentamento, perciò da ragazzo Friederich fu costretto a prendere lezioni in segreto dai suoi genitori, di ripiego fu costretto ad assecondare il loro desiderio di intraprendere gli studi di teologia che per l'epoca era un po' l'Ingegneria di oggi. Nonostante questa deviazione dalla strada maestra, Friederich Wieck continuò a coltivare il suo amore al punto da sposarsi con una cantante lirica, Marianne Tromlitz.
A differenza del marito, Marianne proveniva da una famiglia con una lunga storia musicale, il nonno Johann Tromlitz fu infatti compositore e anche il padre cantava in un rinomato coro.

Clara Josephine fu la seconda dei cinque figli della coppia, nacque a Lipsia il 13 settembre del 1819 e crebbe in un ambiente musicalmente colto e artistico. Purtroppo il matrimonio dei sui genitori terminò nel 1825 subito dopo la nascita del fratellino Viktor, ed entrambi si risposarono, ma l'impronta di una famiglia totalmente dedicata al culto della musica rimase nel carattere di Clara che riporterà lo stesso ideale anche nella propria, accompagnandosi con il musicista e compositore Robert Schumann.
Benché il padre avesse duramente subito su di sé l'imposizione della famiglia, accortosi del dono di Clara Friederich non si esentò dal volerla educare alla musica secondo il proprio modello e metodo  nonostante la tenera età di lei (5 anni), indirizzandola, guidandola e a volte obbligandola. Non fu un padre affettuoso, anzi fin troppo ingombrante per la figlia, arrivando a pretendere di leggere il diario che lei teneva. 
Nonostante le critiche che si possono muovergli, l metodo di Wieck diede i suoi frutti e Clara divenne fin da ragazzina una pianista e concertista molto affermata e apprezzata, il padre la seguiva dappertutto, occupandosi personalmente dello strumento che avrebbe suonato, dei contratti e delle sue conoscenze.
Ritratto della giovanissima Clara
al pianoforte
Compositrice valentissima fin dai dieci anni, Clara fu nominata virtuosa da camera, il più alto riconoscimento musicale nell'Impero austrico, si esibì con e per numerosi personaggi sia del mondo musicale del tempo, da Paganini a Liszt, sia per letterati e studiosi come Goethe che, colpito e ispirato dalla performance, regalò alla pianista una medaglia con dedica che lei conservò; anche il poeta Franz Grillparzer fu suo ammiratore al punto da dedicarle una lirica.

Benché estremamente talentuosa, Clara era però repressa, dotata di un carattere piuttosto introverso nato dalle continue proibizioni del genitore, la sua espressione era fin troppo adulta e classica perché non si intuisse quanto la figura di Friederich Wieck dettasse legge nella vita della figlia.
Ma nonostante fosse mite e gentile, Clara aveva una propria idea della musica e tutto il desiderio di esprimerla e la prima emancipazione la ebbe quando si innamorò ricambiata del giovane Robert Schumann, musicista e compositore allievo di suo padre. Dalla corrispondenza del giovane con la madre sappiamo che l'interesse verso la musica di Schubert fu dettato proprio dalle performance al piano di Clara che lo impressionarono al punto da spingerlo a lasciare gli studi di Legge per dedicarsi agli strumenti. 
Accadde quindi che l'influenza musicale tra i due fu reciproca e se Robert Schumann contribuì a liberare la vera essenza musicale della ragazza, a sua volta fu l'amore per Clara che lo interessò inizialmente alla materia che l'avrebbe poi consacrato come uno dei maggiori compositori al mondo.

Wieck disapprovava l'unione, considerando Schumann un buono a nulla indegno della figlia (e forse subodorando la sua follia) e osteggiò l'idea di un matrimonio cercando addirittura di forzare Clara a lasciare il giovanotto. Ma le cose erano irrimediabilmente mutate nella sua vita, Robert Schumann rappresentava per Clara non solo l'amore e l'infatuazione e la comunione d'interessi, ma anche la porta di accesso verso un mondo musicale nel quale potersi esprimere in libertà. 
Il matrimonio tra Robert e Clara, sempre disapprovato dal padre di lei, ebbe luogo nel 1840, proprio il giorno del suo ventunesimo compleanno che la liberava dalla tutela paterna e le permetteva di contrarre liberamente un'unione. 

Robert e Clara Schubert
La dedizione di Clara verso Robert Schumann fu totale e appassionata, dopo averlo seguito mentre era insegnante del conservatorio di Lipsia e poi in Russia durante la sua tournee, i due si trasferirono a Dresda dove Schumann cominciò a comporre solamente e non più ad esibirsi. In seguito si spostarono nuovamente e la giovane moglie si accinse ad assisterlo nei difficili momenti di follia e amnesia che costellavano le sue giornate, conseguenza della sua malattia mentale che lo rese quasi indigente dopo essere stato più volte licenziato.
A causa di ciò e dei tentativi di suicidio Robert venne internato nel manicomio di Bonn, dove rimase due anni in cui la moglie non poté assisterlo né vederlo, sia per la malattia mentale che per gli impegni che la vedevano costantemente in tournee per mantenere se stessa e gli otto figli nati dal matrimonio che la costrinsero ad accollarsi esibizioni e serate arrivano a 22 concerti in soli 2 mesi!

Per i figli e per le cure del marito Clara si sforzò moltissimo, ma il suo amore non fu sufficiente e il sacrificio che questo sovraccarico di lavoro le richiese fu salatissimo: dolori costanti e lancinanti alle braccia le resero quasi impossibile sedersi al pianoforte per provare o per esibirsi.
Le diagnosi moderne evidenziano come la sua patologia fosse causata dal disumano sforzo che ella richiedeva a se stessa, imponendosi la stessa ferrea disciplina che da ragazza era il padre a chiederle.

Nonostante le difficoltà fisiche, di cui rimangono molte testimonianze nelle lettere che scrisse a medici e amici, Clara non si fermò mai come musicista e compositrice, sia per necessità che per passione continuò a ritmo vertiginoso il suo programma di serate superando lo scoglio del concerto  n°1 in re minore composto da Johannes Brahms, amico di famiglia e del marito. Proprio la relazione con lui fu fondamentale nella sua vita, ma fedelissima all'amato Robert, Clara rinunciò a risposarsi con con Brahms che tuttavia, nonostante il rifiuto, le rimase accanto aiutandola e supportandola.

Questo ritmo serratissimo di palcoscenici e spettacoli durò fino al 1875 quando oltre al crollo fisico (a volte non riusciva a muovere al piano nient'altro che le dita delle mani) subentrò anche quello psicologico e la donna rischiò di entrare in depressione. La consapevolezza di ciò la spinse a disdire le tournee e farsi curare con estrema serietà da Friedrich von Esmarch che appliciò con lei un approccio totalmente innovativo in medicina. Accantonando le bufale del tempo fu in grado di rimetterla in sesto adottando sia fisioterapia che psicologia, cercando di rimuovere quelli che erano i suoi blocchi psicologici, i problemi, le pressioni. 
Una cartolina raffigurante la pianista
Il più altro gradino che Esmarch superò con lei fu quello di rimuovere l'associazione tra la musica e il dolore che con il continuo sforzo si era radicata nel cervello della musicista, facendole lentamente ritrovare il piacere che deriva da un pianoforte e svincolandolo dall'idea di costrizione. Se avete visto il film Shine sapete sicuramente come il riavvicinamento alla musica, dopo un trauma da esso scatenato, è estremamente lento e irregolare.


Repertorio e scelte musicali
Sebbene sia stata anche compositrice, Clara è conosciuta soprattutto come esecutrice.
All'inizio della sua carriera di musicista il suo repertorio, interamente deciso dal padre, prevedeva soprattutto pezzi già famosi e popolari di compositori ormai un po' datati, successivamente l'animo della giovane e la sua inclinazione caratteriale la portarono a preferire esecuzioni più contemporanee e associabili al periodo romantico, nomi come Menderlssohn e Chopin e ovviamente Brahms e Schubert, alternandoli a Mozart, Haydn e Beethoven.

Fu senza dubbio il più grande sponsor del marito, impegnandosi perché i suoi lavori e le sue composizioni apparissero sempre nelle sue esecuzioni e fossero conosciuti anche all'estero. Fu proprio per i viaggi e gli spettacoli della moglie che Schumann incominciò ad essere noto al pubblico inglese, russo e americano, va perciò a lei un grande merito nell'aver portato alla notorietà uno dei maggiori compositori ottocenteschi.

Ma le sue innovazioni e meriti non si fermano lì, dal 1878, dopo la riabilitazione presso Kiel dal dottor Escmarch, iniziò ad insegnare al Conservatorio di Francoforte, unica docente donna in una scuola per soli uomini.
Nell'insegnamento introduce importanti novità sia pedagogiche che nell'ambito delle tecniche di diteggiatura del pianoforte.
Altri contributi più ufficiosi sono riscontrabili nell'esecuzione di melodie senza l'uso dello spartito, ma basandosi solo sull'uso della propria memoria, una caratteristica sintomatica delle moltissime ore di impegno, prova ed esercizio alle quali si sottoponeva la donna per prepararsi alle esibizioni.

Grazie non solo alla ferrea scuola paterna che la istruì nelle basi musicali e nell'approccio (e che purtroppo la influenzò fin troppo) e all'autodisciplina, la sua perfezione tecnica fu degna di nota e per il naturale romanticismo di cui era dotata, all'emozione che sapeva suscitare e alla indubbia bravura, Clara Wieck Schumannè considerata una delle più grandi ed espressive pianiste dell'età romantica della musica e una delle più dotate concertiste di sempre.
Di lei dice Giuseppe Pennisi:
Clara non vantava solamente una eccezionale perfezione tecnica ma è noto che, ogni volta che si trovava alla tastiera, le composizioni erano accompagnate dai suoi pensieri più intimi.
Sottolineando la meravigliosa capacità di suscitare emozioni e condividere pensieri tramite il pentagramma e le note.

La vita e la storia di Clara è stata ricordata al cinema in più occasioni con i film Träumerei (1944), Song of Love - Canto d'amore (1947, con Katharine Hepburn), Frühlingssinfonie - Sinfonia di primavera (1983, con Nastassja Kinski). La sua figura è stata ripresa sulla banconota da 100 marchi tedeschi (in vigore prima dell'Euro).

Google le dedica uno dei suoi loghi per il 193° anniversario dalla sua nascita e sono onorata di raccontare la sua storia che parla di impegno e duro lavoro per conquistare obiettivi importanti nella vita, rispetto a quello che NOI riteniamo importante, il che è esemplificato anche dal logo scelto che, come dice Cultura 2.0, la ritrae circondata dai figli e che rappresenta molto bene la sua vita, sempre condivisa tra la musica e i doveri coniugali e materni.
Doodle del 13 settembre 2012

Wikipedia IT | Clara Schumann
Il Corriere | Clara Schumann e la patologia da sovraccarico
Il Post | Chi era Clara Schumann
Cultura | Un doodle per una delle prime concertiste europee
Amicizia senza frontiere | Clara Schumann: una donna che non si è fermata davanti al dolore
Il Sussidiario | Clara Schumann, grande pianista, compositrice e madre esemplare
Biografieonline | Clara Schumann
Apollodoro | Clara Schumann: Google Doodle dedicato alla compositrice e pianista Romantica
Amori Difficili | Brahms e Clara Wieck Schumann

Nancy B. Reich, Clara Schumann: the artist and the woman
Franz Liszt: Robert e Clara Schumann

Online inoltre, specialmente su Amazon e sui siti che vendono cd di musica classica, trovate diverse esecuzioni e spartiti prodotti da questa donna grandiosa.

Spero che questo mio rientro non abbia traumatizzato troppi di voi, si tratta di un post scritto moooolto di getto per riprendere un po' familiarità con l'argomento e il ritmo che, altrimenti, rimane un po' nel dimenticatoio.

Aggiungo una cosa che non ho mai fatto, ma che per quanto mi riguarda è doverosa.
Una piccola dedica, visto che si tratta di un post a tema musicale e perciò calza a pennello col personaggio: a Daniele che è riuscito a convincermi a scrivere ancora.

Un bacione grande a tutti



Mauser

Royal Ascot 2012

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È passato un po' in sordina, ma c'è stata. La storica gara di Ascot anche quest'anno ha attirato fotografi e curiosi per la stravaganza della sua ufficiosa sfilata di cappellini.
Il 19 giugno le rappresentanti più in vista del Regno Unito si sono date battaglia a colpi di ombrellini, piume e originalità.



Questa moda tutta inglese e che aveva fatto impazzire i meno informati quando vi si erano inevitabilmente scontrati al matrimonio di William & Kate dell'aprile scorso è infatti una tradizione molto british che le donne invitate alle corse e, soprattutto, al palco reale, portano avanti con orgoglio ed eccentricità bilanciata dal tipico senso dell'humour britannico.

Poichè in quel periodo ero un po' distratta, vi posto ora un piccolo collage di fotografie recuperate sul web, sperando di strapparvi almeno un sorriso.
Io, nel dubbio, ho già avvisato tutte le mie amiche che ai loro matrimoni potrei presentarmi con qualcosa di un po' british in testa e loro hanno fatto bene a preoccuparsi.











 









































...non abbiamo inventato niente di nuovo...



e ora un po' di sano umorismo british...









Mauser

Approccio semiserio al "Lady Anna" di Trollope

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Oggi, per rimettermi in carreggiata con qualcosa di semplice, ho deciso di ricominciare con un libro di Anthony Trollope, autore vittoriano estremamente talentuoso, capace di descrivere l'animo umano e le sue sfumature con una maestria coinvolgente e capace di creare trame ed intricati giochi tra i personaggi calati in una quotidianità e un'esistenza assolutamente conformata alla società del tempo, ma senza essere mai banale e noioso. Un grande scrittore che fa della vita assolutamente quotidiana delle persone il palcoscenico per insospettabili macchinazioni e complotti al cui confronto i piani di Milady De Winter/Milla Jovovich spariscono.
La copertina dell'edizione italiana
pubblicata da Sellerio
Uno dei precursori dell'intrigo alla Agatha Christie e della soap-opera argentina, Trollope riesce, in questo romanzo, a creare forse il miglior affresco di caratteri di tutta la sua produzione.
Il libro, come avrete evinto dal titolo, è Lady Anna.


PREMESSA NUMERO 1
Poichè quando ho buttato giù per la prima volta questo post ero intossicata di tè a livelli preoccupanti non è detto che tutto ciò che troverete abbia un senso per voi, forse non lo ha neanche per me, ma evidentemente all'epoca doveva avelro...
La verità è che non ho mai avuto il coraggio di cancellare quanto scritto perchè mi fa morire dal ridere, però prendete il tutto con le dovute cautele.

PREMESSA NUMERO 2
Prendendo a prestito alcuni personaggi dall'Anime Characters Database ho dato un volto alle figure create da Trollope in modo da avvicinarle al mio modo di vederle. Ovviamente, trattandosi di una cosa partorita dalla mia mente un po' bacata non posso garantirvi che questa associazione funzionerà per tutti coloro che hanno letto il libro.
La premessa è quindi: prendete con le opportune molle le figure che contornano il post.

Ho letto il Lady Anna molto in ritardo rispetto ad altri classici perchè Trollope non è molto conosciuto in Italia e reperire i suoi romanzi alle volte è complicato, ovvero: dimenticatevi di entrare in libreria e dire gaiamente al commesso «Ciao, vorrei questo titolo di Anthony Trollope» perchè non solo il libro difficilmente sarà disponibile nei loro scaffali e magazzini, ma, come nel mio caso, potreste essere scambiate per delle fanatiche del thriller moderno visto che l'ignoranza (abissale) di certi impiegati evidentemente associa Trollope con Ludlum, Clancy & co.
Per avere Trollope nella vostra collezione la strada è una: ordinarlo. Se preferite fatelo pure in libreria, altrimenti l'e-commerce non ha mai ucciso nessuno ed io non disdegno alcuno dei siti online che a volte fanno anche ottimi sconti.

Ancora una volta bisogna ringraziare la Casa editrice Sellerio (la manna del Cielo!) per aver coraggiosamente dato alle stampe un titolo che, diversamente, in Italia non sarebbe mai arrivato, sapete, i nostri editori sono troppo impegnati con libercoli pseudo-erotici e storie adolescenziali banali oltre il più consueto concetto di banalità.
Un minuto di raccoglimento per la narrativa che a poco a poco si spegne nelle nostre desolate librerie, prego.

Lady Anna  è un romanzo che mette in risalto aspetti del carattere che sfociano nell'eccesso, evidenzia come perfino i pregi tutti vittoriani che sono la compitezza e la remissività femminile, ma anche la rigidità di principi e una morale eccessivamente ferma siano in realtà armi a doppio taglio, una visione piuttosto critica per la società nella quale l'autore ambienta la sua vicenda e che doveva accogliere il romanzo e perciò, a mio avviso, piuttosto azzardata, sebbene condivida il suo punto di vista.

A mio parere in questo romanzo di Trollope non esiste un protagonista o una protagonista, come è d'uso, e neanche un personaggio a cui il lettore si affeziona più che ad altri, ma anzi nel mio caso li avrei presi a sberle tutti quanti, uno dopo l'altro. Sì, forse Anna sarebbe la figura centrale attorno alla quale ruota l'intera vicenda, ma... è così irritante che non riesco a considerarla una protagonista e, soprattutto, trovo che sua madre sia ancora più approfondita di lei.

Dite che è un male odiare tutti i personaggi di un romanzo? Secondo me no, dipende dalla motivazione, qui per esempio la caratterizzazione è talmente ben riuscita che il lettore sente vivi questi Anna, Josephine, Daniel, ecc. al punto di desiderare di far loro del male perchè non fanno esattamente quello che si desidera; se invece accade come con certi YA moderni, Starcrossed, Sono il numero quattro, eccetera che sono tutti inguaribilmente dotati di protagonisti talmente idioti da mandarmi la pressione alle stelle, allora le cose cambiano... li detesto con tutta me stessa perchè sono sciocchi, superficiali e tonni oltre ogni dire, incapaci di ragionare, pensare o forumulare un pensiero poco più in là del banale, pedine ormai tutte uguali di storie banali al massimo senza il minimo pizzico d'innovazione né nell'idea né nello sviluppo della vicenda, ammesso che ce ne sia una. Finali così scontati da essere citofonati ben prima di aver finito la quarta di copertina e idee buttate a casaccio che invece sarebbero potute diventare delle piccole perle. Detesto il materiale sprecato più dei protagonisti imbecilli.
Ma Anna & co. non li odio perchè sono deboli di psicologia, tutt'altro sono molto umani, non li posso soffrire perchè quanto a complicarsi la vita non si fanno mancare nulla, il loro motto è sempre scegli la strada più difficile, vedrai che arriverai alla meta. Ok, è vero, è anche l'applicazione del proverbio chi va piano va sano e va lontano, ma... così è insostenibile! Questo romanzo merita per i suoi protagonisti il bollino Concentrato di scelte sbagliate come raramente ne avevo trovati!
Badate, non necessariamente illogiche o stupide, ma proprio controproducenti per i protagonisti.
La mia faccia mentre leggevo il libro
Insomma, si comportano un po' come i personaggi delle soap-opera che non dicono mai le cose chiaramente, mai alle persone giuste e mai complete, finendo per generare equivoci a non finire e complicare ulteriormente gli intrecci una, due, trecento volte. Quando sono giunta a questa conclusione per me si è dischiuso un mondo completamente diverso, quasi sentivo la musichetta di Beautiful in sottofondo quando aprivo il libro e addirittura, rileggendo alcuni passaggi, mi sembravano ridicoli perchè immaginavo nei vari ruoli il famoso Trio televisivo, l'intramontabile gruppo Lopez-Marchesini-Solenghi, nei vari costumi e personaggi ad impersonare loro come fecero nei primi anni '90 per i Promessi Sposio per le parodie delle telenovelas argentine.
Se non avete mai visto uno sketch di questi tre personaggi, GRAVISSIMA LACUNA! Vi suggerisco di correre subito su YouTube a procurarvi qualche episodio. Purtroppo il Trio non lavora più, ma i suoi successi passati sono talmente intramontabili da far morire dal ridere a distanza di anni e anni.

Ad ogni modo io vi propongo un approccio un po' più comico a questo romanzo. Badate, è un libro vittoriano, non ha nulla di divertente ed esilarante, è solo la chiave di lettura che può portarvi a trovarlo a tratti spassoso e irritante perchè l'immedesimazione è carente per natura stessa (usi e costumi sono mutati così tanto che il romanzo storico ha pressappoco lo stesso approccio descrittivo del fantasy).
Vediamo insieme la trama dell'opera, aggiungendovi un po' di pepe. Ci saranno degli spoiler, badate bene, ma visto che l'intrigo è il re del volume come la Provvidenza è sovrana del tomo manzoniano, eviterò di svelarvi il finale, per quanto tentata.


Trama & Personaggi
Lady Trancy di Black Butler 2
impersona Josephine Lovel
aka Mater
Siamo nella [solita] campagna inglese dove la [solita] ragazza senza arte né parte, ma solo smisurata ambizione, cerca un modo per lasciare il paesello e acquistare un posto nello sfavillante bel mondo della nobiltà e dell'aristocrazia. La sua sete di successo, per essere la figlia beneducata di un vicario, è senza freni e progetta, ovviamente, di acquisire lo status quo tramite pronte nozze con un partito papabile, l'unica strada onorevole che le impone la sua (vacillante) formazione culturale. Non posso dire che, a parte per imporle un matrimonio onorevole anzichè il rango di amante, la dottrina paterna abbia avuto molta presa su di lei, la nostra Josephine, da me soprannominata Mater perchè per tutto il libro ricoprirà il ruolo della madre salvo qualche parte all'inzio, presenta la stessa inclinazione al raggiro della sua collega Becky Sharp e un'atteggiamento snobista nonostante i poveri natali che farebbe invidia ad Amy March.
Josephine non si lascia dissuadere da caratteristiche poco apprezzabili nei partiti presi in esame per il ruolo di marito: età oltremodo avanzata, trascorsi discutibili, nomea da far rizzare i peli delle braccia... a lei importa solo che siano ricchi e titolati e una volta individuato il candidato ci si attacca come una patella allo scoglio fino a farsi portare all'altare, non mollando mai la presa proprio come i chihuahua isterici che sbucano da prestigiosi borsoni Louis Vuitton assetati di sangue.

Ma dicevamo... la nostra Materè in cerca del suo partito da impalmare e lo trova nel Conte Lovel, altrimenti soprannominato The Bachelor, che è un aristocratico indisponente e spocchioso e pure un seduttore di prima categoria, quanto a difetti dei più pericolosi e sfruttabili nei romanzi ottocenteschi, Lovel non se ne fa mancare uno. Mi immagino Lovel come una versione invecchiata senza danni e disgrazie di Redmond Barry, quello che noi conosciamo amichevolmente cone Barry Lyndon del romanzo di Thackeray e voi sapete quanto io odi il nostro Barry, lo trovo un personaggio odioso, egoista e menefreghista, il tipo di persona più falso e disgustoso del pianeta.

Lord Dampierre
di Soul Calibur V
interpreta il Conte Lovel
aka The Bachelor
Il matrimonio tra The Bachelor e Materè male assortito sotto tutti gli aspetti, non solo Lovel non sopporta la contessa, ma pure lei non scherza!
Attualmente la cosa è siffatta (usero il modello della contrapposizione dei sessi che si trova sulle riviste femminili, la situazione si presta per essere analizzata dalle esperte di relazioni in fallimento delle pagine patinate:
Lui: l'ha presa con sé per cercare di ricostruire quell'aura di rispettabilità che un nobile dovrebbe avere nonostante la precedente reputazione avesse minato fino alle fondamenta questa convinzione, un po' come se volesse ricucirsi la verginità.
Lei: l'ha voluto nonostante sapesse del suo passato di libertino, nonostante fosse moooolto più vecchio di lei e nonostante lo disprezzi.

Senza capire molto di come sanare la questione, per me la situazione già di per sé si presta per essere il giallo perfetto alla Agatha Christie, dove Poirot indaga su una coppia nella quale i coniugi volevano entrambi la morte del consorte... poi ditemi che è deformazione da lettrice.

Proseguiamo nella trama, la convivenza forzata e la difficile sopportazione tra loro di questi due caratteri forti è resa molto bene dall'autore che fa vivere al lettore tutta la rispettiva insofferenza, espressa anche tramite mezzi non proprio nobili per due peers del Regno, cattiverie gratuite, urla, dispetti, bronci, malumori, ignorarsi reciprocamente quando sono nella stessa stanza o spaccare le porcellane di famiglia.
Il lettore è frustrato quanto i due coniugi dalle continue litigate tra i due, più irritanti di Keira Knightley e del suo imparruccato marito farlocco ne La duchessa.

La tipica donna italiana
come la vedono gli
inglesi e
quelli dellepubblicità dei vini
Insomma, è inutile girarci intorno: arriva il punto di rottura che scatena l'intera vicenda, la nostra Contessa Josephine diventa Mater per davvero ed è proprio mentre è incinta del conte (forse) che lui la pianta su due piedi dichiarando nullo il matrimonio perchè il nostro nobiluomo [nobile solo di titolo] aveva precedentemente contratto un'unione con una donna siciliana ancora viva e perciò tutt'ora valida, rendendo di fatto insignificante la seconda: degradata la moglie, illegittima la figlioletta, la piccola mai lady Anna.
E qui si sprecano gli epiteti e il disprezzo verso le donne italiane che, a quanto pare, secondo i romanzi vittoriani, sono tutte pronte ad alzarsi la gonna davanti al primo lord inglese di passaggio e sposarlo di nascosto con matrimoni poco noti e pletore di pargoli straccioni. A lato trovate una raffigurazione tipo di come loro vedono noi.


Distrutta, schiacciata, allontanata e senza soldi, Josephine cerca riparo presso un povero sarto, Thomas Thwaite, vedovo e padre del piccolo Daniel. Naturalmente nessuno subodora che il per ora innocente Daniel diventerà un giorno un problema, vero???
Beh, vi dico io che lo sarà. Un problema estremamente spinoso perchè, guarda un po', vivendo sotto lo stesso tetto della giovane Anna, intrccerà con lei una relazione sentimentale di nascosto dalla madre che complicherà notevolmente la vicenda (roba che in confronto Happy Days, La Tatae Willy il principe di Bel Air sono commedie da ambientazione da salotto ridicole), ma mai quanto il suo carattere savergo, cioè da orso bruno, rigido, inflessibile e che non cederebbe neanche di mezzo millimetro nei confronti dell'"amata" o delle sue debolezze. Un ragazzino che diventerà il tipo d'uomo che vuole essere il centro, il sole della vita della moglie, come il salace Petruccio della commedia shakespeariana La bisbetica domata, solo che Thwaite è pure privo del senso dell'umorismo.
Ailionoa di Mbinogi
as Lady Anna Lovel
aka La protagonista o La lagna
Nei romanzi moderni un simile carattere apparterrebbe sicuramente al marito noioso e possessivo della protagonista che lei lascia per il bel tenebroso aitante che poi è l'eroe (di solito avrà un nome altisonante e mai scontato come Sheldon) della vicenda, ma nell'Ottocento questo tipo di personaggio rigido, puritano e tutto d'un pezzo era non solo affascinante, ma pure ambito dalle ragazze al punto da essere lui l'eroe della storia!
Vi prego, raccogliete le vostre mandibole cadute in rotta sul pavimento, Lady Anna sarà pure (forse) una lady, ma non era certo una femminista!
Anzi, Annaè la delusione più grande di tutto il romanzo.
Uno, con una trama simile, con altri simili personaggi si aspetta i fuochi d'artificio come minimo una Piccola Dorrit, una ragazza d'animo buono e generoso, ma forte e combattiva decisa a conquistarsi il suo posto nella società nonostante la nascita nel fango.
Niet. Abbandonate subito quest'idea. Annaè una specie di Principessa Leila ma senza spina dorsale, una creatura scialba, grigia e remissiva che finisce subito con l'innamorarsi del personaggio sbagliato (Daniel Thwaite l'Integerrimo) e fidanzarcisi ben prima che inizi a farsi interessante la parte dell'intrigo.

La contessa Josephine, infatti, da quando il marito l'ha cacciata poco galantemente dalla sua vita ha iniziato una interminabile pratica legale per accertare la legittimità della figlioletta e assicurarle l'eredità e la contea così ambita che altrimenti passerebbero all'erede maschio più prossimo, il cugino Frederick, il Debosciato.
Josephine Lovel è il contralare perfetto a Renzo dall'Azzeccagarbugli, tutto l'opposto del sempliciotto ragazzotto di campagna, lei sa bene cosa vuole ottenere e impiega nel raggiungimento del suo obiettivo non solo tutti i suoi sforzi ed energie, ma anche tutti i soldi di Thwaite sr. il quale spero ottenga sufficienti ricompense da lei per giustificare questo spreco di danaro dal quale non otterrebbe alcun vantaggio nemmeno se Mater vincesse il sospirato processo.
Edvard Winfree di Crimson Empire
veste i panni di Frederick Lovelaka Il debosciato
Dovete vedere Donna Josephine alle prese con le diatribe legali, il coraggio e la forza di volontà sono qualità tutte sue che mancano alla figlia, emblema perfetto del concetto di matrimonio=sacrificio di vergini. Ma nella sua determinazione, nella sua testardaggine abnorme e deformazione, seppure mossa da poco nobili ideali e sfruttando mezzi e persone, Josephine è estremamente contemporanea e mi piace come Trollope ha saputo caratterizzarla, se dovessi davvero scegliere è a lei che darei la palma di protagonista.

La situazione è aggravata ulteriormente quando Lovel decide di lasciare il mondo terreno e dirigersi dritto all'Inferno, peggiorando la questione della legittimità che fa il paio con eredità.

Per un personaggio maschile mediocre che parte, ne arriva un altro. Sulla scena appare ora il nipote di Lovel, l'ambizioso, decadente, debosciato e povero in canna, CuginoFrederick è il vizioso parente più prossimo che viene baciato dalla fortuna per ereditare un insperato patrimonio, più che mai deciso a tenerselo con il supporto dei ricchi zii che gli finanziano l'avvocato. Calcolatori e abili azzeccagarbugli, gli avvocati di famiglia suggeriscono a Feredick che la strada più rapida per ottenere soldi e terre sia quella di sposare la cugina Anna. E lui accetta.

In sottofondo prego far girare l'LP di Renato Zero che canta il triangolo noooo... non l'avevo considerato... 
Ok, fingiamo di non aver saputo questa cosa dal momento stesso in cui Anna e Daniel si sono conosciuti, poco più che in fasce.
Anna, giustamente, che è ragazza di sani principi borghesi, vorrebbe tener fede alla promessa fatta all'amatissimo Daniel, ma è talmente succube della genitrice che non riesce a rifiutarsi troppo convintamente, finendo nel classico menage a trois alla vittoriana, cioè dove tutti soffrono e nessuno batte chiodo. Anna è disperata, insultata dall'amato che la accusa di non essere del tutto convinta di volerlo sposare, che la umilia dicendole che se ha dei dubbi allora lui non la vuole e tutti e strapazzata dalla madre che la martella con l'idea di fare la cosa giusta per sé e per il suo futuro, la ragazza non riesce a far di meglio e lasciarsi affascinare dal decadente Frederick, intorbidendo ancor di più le acque.

Marshall Aid by Crimson Empire
impersona Daniel Thwaiteaka L'integerrimo
Anna che non sa che scegliere, che in un momento di debolezza si lascia stregare dal lusso, dalla nobiltà, da un carattere e una vita così diverse dalla sua è molto umana, resa meravigliosamente dalla penna di un autore che in quanto a dubbi morali doveva saperne parecchio per poterli descrivere così realisticamente. L'inclinazione di Anna è comprensibile, si tende ad essere avventati o superficiali quando troppe persone e aspettative gravano sulle proprie spalle, ci si lascia ammaliare dall'effimera bellezza, dallo scintillio. Anna non è cattiva, tutt'altro, però anche lei ci casca. E ben gli sta a quel caprone di Daniel che non cede di un millimetro, portandola davvero vicinissima a prendere una decisione incosciente.
Anche questo è molto umano e questa è la parte più grandiosa del romanzo, l'umanità di Anna, la descrizione della sua incertezza, così come anche della sua ingenuità del mondo, la resa di come la sua mancanza di esperienza sia un deficit inaccettabile in un universo, quello del ton, così smaliziato al punto che qualsiasi gesto risulta calcolato.
Dal canto suo Frederickè a sua volta incuriosito da questa ragazza tanto diversa dagli standard di comportamento e morale ai quali è abituato e conformato e proprio per questa sua semplicità dei modi, degli affetti e la bontà dell'animo si lascia sedurre dal pensiero di lei.

Masochisticamente avrei voluto che si sposassero perchè volevo sapere come si sarebbe evoluto un rapporto nato sui fondamenti sbagliati, sarebbero stato molto thackeriano come impronta, come quello di Becky Sharp forse, come quello del romanzo nel romanzo che Lisa Kleypas fa scrivere alla sua protagonista Amanda ne L'alba dei sogni. Un'idea estremamente vittoriana e così bisognosa di un approfondimento di caratteri a livelli celestiali da avermi solleticato più volte.

Ma l'eroina è un modello di virtù fin dal parto e quindi l'autore ha preferito farle prendere una strada diversa, più conforme alla moralità che dice di avere.
È perciò facendosi violenza, ma comprendendo quanto sia giusta la sua scelta che Anna sceglie di sposare Daniel.
E io me lo vedo l'Integerrimo a a ballare la carameldansen quando lei rende nota la sua idea.

Peccato che di tutti, quella che la prende peggio sia proprio Josephine.
Dopo un'espressione disgustata e furente degna della matrigna di Biancaneve[quella del film Disney che fa molto più paura delle altre!] la signora ricorre la misure estreme.
No, non la mela avvelenata, ma quasi. Josephine, infatti, acchiappa un coltellaccio da cucina e alla prima occasione cerca di sgozzare il futuro genero come un pollo nella più classica tradizione splatter o soap-opera, quando quelli che non gradiscono sfruttano tutti i mezzi e i mezzucci per impedire le sospirate nozze.
Diciamo che le idee di Mater al riguardo sono un tantino drastiche, ma la situazione lo richiede! Vista dai suoi occhi, la sua unica figlia per la quale ha combattuto vent'anni, si è sorbita un sarto insulso, ha abitato in un tugurio e ha ceduto titolo e privilegi, sta gettando alle ortiche la più allettante occasione di sempre per sposare un pezzo di legno senza la minima posizione sociale. Chi non agirebbe di conseguenza?!
Il cugino Frederick sarà anche Debosciato, ma permetterebbe di mettere una pietra sul passato, ricominciare una nuova vita nel lusso e nella buona società, non è neanche deforme! A lei è toccato un vecchio bavoso, Anna di che si lamenta?
Ah, già... lei il padre non l'ha mai conosciuto...

Insomma, coltello alla mano Mater cerca di accaparrarsi una particina nel prossimo film di Dario Argento.
Non ci riesce, l'Integerrimo sarà pure un po' tonno e dalla morale inamidata, ma è anche un popolano, ha le mani come zappe e una discreta forza fisica e [purtroppo] scampa all'attentato. Confesso: per qualche breve istante ho parteggiato per Mater, volevo davvero veder scorrere il sangue di tutte queste persone e dopo tante pagine di sofferenza, mia tanto quanto quella di Anna, volevo un bel drammone con lacrime e funerali in gran pompa.

Una ringiovanita Mater tenta di assassinare l'odiato futuro-genero

Non ho mai rimpianto tanto come in questo romanzo un po' di sangue che scorre ¬_¬ 
Non sono stata esaudita, il Trollope del libro è moralista più di Anne Bronte e il nostro Integerrimo la scampa e sopravvive.  A volte capita: sarà per questi motivi che in così tanti coltivano velleità letterarie?


Considerazioni sul finale
Il libro di Trollope,è da dirlo, sul finale diventa buonista, ma Josephineè un personaggio che rimane coerente con se stessa e con il carattere che le è stato dato, come saprete conoscendomi questo mi piace molto, Lady Lovel non si fa monaca dalla vergogna tipo la Deborah Kerr di Narciso Nero, accetta con composta disapprovazione il matrimonio della figlia e di Daniel e non tenta altre subdole macchinazioni: capito che non sarebbe riuscita ad ottenere ciò che voleva si rassegna ad un silenzio che ho apprezzato molto in un personaggio come il suo perchè non lo rovina, altra violenza sarebbe servita solo a renderla antipatica, testarda e ad attirarsi l'odio del lettore così come un'inspiegabile redenzione sarebbe suonata falsa come una moneta da 3€.
Perchè dico questo? Perchè  una persona non cambia ideali da un momento all'altro, forse il sangue o un gesto efferato come l'omicidio può scuoterti, indubbiamente, ma fino a trasformare una donna cinica e determinata in un agnello che invoca perdono non credo, al massimo la traumatizza.
Soprattutto mi è piaciuto che, nonostante quella di Anna e Daniel possa essere considerata una fine felice, ci sia qualcuno che non la ritiene tale perchè, come per tutte le cose nella vita, ci sono più punti di vista, più di uno, più di due.

Josephineè il personaggio costruito meglio, uno di quelli che mi piacciono anche se non sono buoni e indubbiamente quella che mi ha traghettato questo libro oltre la soglia della sufficienza: se fosse stato per Anne la Lagna l'avrei buttato dalla finestra, quella pia ragazza sarà anche perfetta, ma come Lucia Mondella mi manda il latte alle ginocchia e suscita in me istinti violenti perchè non sono per niente proattive né nei confronti dei cattivi, vivacizzando la situazione, né dei buoni, costruendo un vero lieto fine da diabete.

I romanzi di stampo vittoriano di solito mi piacciono, Dickens, Collins, la Gaskell, Hardy, Thackeray, ecc. sono tutti autori che amo per la loro capacità di creare esseri umani VERI e che agiscono come la gente di tutti i giorni, non con comportamenti artificiosi e da fiction, ma qui ho sentito venire un poco meno questa cosa nella costruzione di una protagonista ultra-perfetta e di un protagonista che è l'archetipo dell'eroe povero-ma-di-sani-valori e anche nel desiderio di Trollope di dare una morale e un happy ending al tutto. L'autore fa partire Daniel e la sua nuova moglie Anna per la colonia australiana (spero con una vicenda migliore della Saga dei Dilhorne) dove il ceto e i nobili natali non hanno alcun significato e questo non mi è garbato molto, tutto troppo plain, tutto troppo felice e roseo. Obiettivamente non hanno dovuto combattere molto (a parte l'ultimo scontro finale), tutto il loro travaglio è stato dominato dalla remissività di Anna, incapace di dire di no alla madre, troppo sottomessa per esprimere le sue opinioni, e dal suo rimanere sedotta e affascinata dal bel mondo fino a farsi venire dei dubbi.
ANNA, SEI UN DANNO!
Scusate ma dovevo dirlo, dovevo sfogarmi. Anthony Trollope l'ha creata magnificamente male e così realistica da essere genuinamente odiosa.
 
Anche in La fiera della vanità alla fine Becky Sharp ha una specie di finale felice, di certo si risolleva dal degrado morale nel quale è piombata, ma è una cosa diversa, Becky ha superato ostacoli, brutture e orrori del mondo che, forse, solo Josephine può immaginare, Becky merita il lieto fine, il travaglio di Anna, invece, è tutto basato sulla sua indecisione e sul suo essere debole, avrei preferito che fosse maggiormente temprata dalle vicende, mentre invece rimane una timiduccia poco espressiva per tutto il romanzo e che alla fine impara poco e niente.
Trollope la crea così perchè vuole evidenziare come anche l'eccesso di zelo, delizia, remissività siano difetti. Il troppo stroppia, insomma. In questo l'autore è maestro e ha saputo rendere anche lei coerente col personaggio che ha creato senza stravolgerlo con atti di emancipazione e femminismo fuori tempo, ma... non so se riuscite a capire quanto odio questa figura!
Odio Anna più di suo padre, più di sua madre e più di quell'imbecille di suo cugino, più di quel cretino del suo futuro marito perchè è una donna senza spina dorsale, di quelle che affossano la categoria.
È l'emblema della donna vittoriana e, fose, anche del perchè il gentil sesso fosse così poco considerato all'epoca.

Detto ciò, il romanzo è un affresco di caratteri veramente interessanti e ben congegnati con un'idea di fondo, seppur non innovativa, certamente interessante e ben sviluppata.
A mio parere non è il miglior libo di Trollope, ma se riuscite a prenderlo abbastanza alla leggera da buttarlo sul ridicolo è un'insospettabile fonte di risate. Ok, sono risate fuori luogo, ma se non si ride un po' nella vita ci si può anche ammazzare, non è che solo perchè un romanzo è dell'Ottocento bisogna prenderlo come oro colato o troppo seriamente, fidatevi di chi ne ha visti tanti ;)

Buona lettura a tutti
Un bacione





Mauser

Ye Olde Cheshire Cheese

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Carissimi lettori,
come state? Io diciamo che tiro avanti.
Come potete vedere da questo ultimo periodo di inattività, il mio intento di non abbandonare il blog è riuscito solo in parte. Sono estremamente dispiaciuta del poco tempo che riesco a dedicargli, della scarsa disponibilità che ho per i post e per gli approfondimenti e ogni volta che ripenso al Georgiana's Garden o, anche peggio, a quanto tempo lascio trascorrere tra uno scritto e l'altro mi sento sempre più in colpa. L'ultima volta, la sera di sabato, mi sono sentita morire quando, anche nella realtà, una certa pesona(non far finta di non avere colpe!) mi ha detto "ma è tanto che non aggiorni". Insensibile! Ci sono rimasta malissimo...
La storica insegna del locale
Ye Olde Cheshire Cheese
La signora V.T. che da anni tiene corsi di formazione aziendale e nel tempo libero si diletta a psicologa di noi poveri e frustrati dipendenti risponderebbe che si tratta di una scelta di priorità nella vita, probabilmente avrebbe ragione, ma sapere che do priorità ad altro mi fa sentire ugualmente un verme verminoso [cito da dall'Hercules Disney].
Se riuscite a perdonarmi per queste mie umane manchevolezze, per la scarsa autodisciplina che riesco ad impormi e per tutti i difetti di cui infarcisco il blog e i post, da un'opinione fin troppo personale a una serietà piuttosto relativa, io sono sempre onorata di avervi in questo sito e spero di riuscire ad intrattenervi oggi come una volta :)



Quale sia il problema è arcinoto: troppi interessi che mi ballano per la testa a ritmo di rockabilly, da una passione che non riesco ad accantonare per i film americani tra gli anni '40 e '60 alla neonata mania del patchwork e del quilt, dalla fissa di decorare gli oggetti a mille altre che nel corso della mia esistenza si sono susseguite lasciando qualche vestigia qua e là per la casa, vestigia per altro ingombranti con le quali devo dividere il poco spazio vitale, senza contare la lettura! E poi la vita è la vita, quante cose da fare! Il lavoro, gli amici, le persone importanti (che a volte ti fanno sentire un verme), le cose come stirare e mangiare...
Domani, se mi conosco un minimo, mi farò trascinare da qualche altra effimera passione come... chessò... le temari giapponesi, la pittura ad olio, la scultura in legno, collezionare scatole di fiammiferi (già fatto), cartoline (fatto), francobolli (fatto), fotografie di acqua... è un circolo vizioso dal quale non sono capace di liberarmi ma, allo stesso tempo, dal quale non posso perchè è un modo per esprimere me stessa e ciò che trovo bello e che mi piace. Fare le cose come piacciono a me è una grande conquista nella mia vita e nella mia storia.
E il blog è una di queste.
Non lo abbandonerò mai del tutto, PENSO, ma allo stesso tempo potrebbe essere afflitto da un ritmo di aggiornamento altalenante per il quale continuerò a sentirmi in colpa e, allo stesso tempo, non potrò fare diversamente.

Detto ciò, oggi torno a scrivere e spero, in questo periodo di festività natalizie, di poter buttare giù qualche bel post per voi e per me stessa.
Oggi parliamo di Londra, la grande City, e di uno dei luoghi che dovrebbero diventare imprescindibili quando si visita la capitale britannica. Uno dei locali più caratteristici e storici, testimoniato anche dal nome in un inglese antico, ormai desueto, che utilizza forme sparite nel tempo dalla lingua.

Situato al 145 di Fleet Street (sì, proprio quella del famoso barbiere), oggi parliamo del pub Ye Olde Cheshire Cheese.


Storia del nome
Ye Oldeè una forma arcaica dell'inglese usata in vece del più moderno e comune modo di dire The Old.
La runa thurisaz
L'origine di questa dicitura risale all'antico inglese medievale nel quale la T di The olde (olde era la versione originaria e arcaica di old) era scritta non con la T latina, ma con la lettera norrena thornþ (assomiglia vagamente ad una p spostata sopra la riga di scrittura e nella quale l'asola laterale non si trova in alto, ma a metà della gambetta e pronunciata col famoso th sul quale le maestre d'inglese si accaniscono durante i primi anni di studio della lingua) derivata da una runa, questo perchè in Inghilterra l'alfabeto norreno e le diciture di origine scandinava sopravvissero con grande uso fino alla metà del Cinquecento. Ancora oggi nella regione del Galles si possono ascoltare dialetti con grandissime inflessioni di tipo vichingo e scandinavo, scritture nelle loro forme più arcaiche e entrambi gli alfabeti latino e norrenovengono ancora impiegati anche nell'ambito quotidiano.
Questa lettera thorn in uso nel Medioevo inglese derivava dalla runa thurisaz che era formata da un'asta verticale e da una capannina triangolare posta a metà sul lato destro.

Progressivamente nel corso del XIVl'uso di thorn e dell'articolo the acquisirono maggiore popolarità nella dicitura comune, precedentemente molto più complessa e declinata e quindi dotata di svariati articoli tra maschile, femminile, neutro, singolare plurale...con l'uso progressivo e la grafia errata data dal'impiego del carattere gotico a peggiorare ulteriormente le cose, la thorn finì per sovrapporsi come scrittura con un'altra runa, wynn dalla pronuncia completamente diversa (uu era l'originale e sarebbe diventata la nostra w) ma quasi uguale nella sua grafia originaria, la runa aveva infatti la capannina uguale a thurisaz ma spostata in alto sulla barra come una P di Pax in latino e non a metà, questa runa si era evoluta in una lettera nell'antico inglese rappresentata come un mix tra una P e una piccola arpa (ƿ) e in epoca Tudor questa scrittura era caduta quasi in disuso in favore di quella w.
La lettera thorn
scritta in alfabeto
gotico e con la E
come apice. Come
si può notare la
thornè ormai
totalmente assimilabile
alla Y
A questo punto, notando come in gotico fosse scritta la thorn/wynn si può riconoscere una preoccupante somiglianza con la moderna y con la gambetta lunga completata da un'asola. Insomma il danno era fatto. T era gemellata con Y. Nel 1611 l'unificazione era totale e il carattere tipografico era abitualmente usato per indicare il th di the e di altre parole, non essendoci più alcuna distinzione tra la thorn e la Y.
Fin qui la cosa era già complicata, ma se ci aggiungiamo che era consuetudine fin dal Medioevo abbreviare le parole the, that, ecc con un piccolo apice a destra della thorn rappresentante E nel caso di the oppure T nel caso di that e S per this il gioco è fatto e the diventava quindi ye.


Il locale
Ma questo cosa c'entra col locale di cui voglio parlarvi?
C'entra perchè questo pubè davvero vecchissimo! Antecedente al Seicento, fu infatti aperto nel 1538, in pienissima epoca Tudor e, come avrete capito, nel pieno della confusionaria scrittura The/Ye.
Ma il nome antico che delinea origini altrettanto antiche e l'età avanzata non sono le uniche caratteristiche del locale, aperto ancora oggi.
L'ingresso molto rustico con l'insegna in ferro battuto
dello Ye Olde Cheshire Cheese
Nel 1666, per esempio, durante il grande incendio di Londra che distrusse quasi completamente la città, comprese case, edifici pubblici, ecc, tutto costruito in legno come era in passato, il pub venne raso al suolo dalle fiamme e fu ricostruito poco dopo aggiungendo al nome originale, Ye Cheshire Cheese anche la dicitura olde ad indicare la sua ormai veneranda età, all'epoca dell'incendio il pub aveva infatti circa 130 anni! Diciamo che poteva permetterselo...

Oltre al vecchio nome, anche l'ambiente così rustico e dall'aria un po' medievale è una delle caratteristiche che da 500 anni attirano clienti nel locale. Alcuni dei pannelli di legno che ricoprono le pareti interne sono originali e hanno davvero tanti anni! Le cantine, inoltre, si dice siano state ricavate da alcuni sotterranei di un antico monastero carmelitano del XIII secolo situato fuori le mura che fu progressivamente inglobato nel perimetro della City e poi abbattuto (forse durante lo scisma anglicano) per costruire nuovi edifici, case e botteghe secondo le nuove esigenze della città in espansione.

Nonostante l'ingresso sia piccolo e angusto come tutte le vecchie costruzioni, l'interno è molto ampio e d'inverno è particolarmente apprezzabile la stanza del camino dove un enorme caminetto a muro riscalda l'ambiente e rende tutto ancor più piacevole bere e chiacchierare in compagnia in un'atmosfera tanto suggestiva.

La lista dei monarchi
che hanno governato
l'Inghilterra dall'apertura
del pub
Un'altra particolarità è la lista dei monarchi, sul lato destro dell'ingresso, infatti, è appesa una lista in bella scrittura sulla quale sono segnati tutti i re e le regine che hanno governato la Gran Bretagna da quando il pub è aperto e sono tanti! Un po' come la lista dei papi a San Giovanni in Laterano.
Oltre i sovrani, il locale fa sfoggio anche dei volti noti che durante la storia sono stati clienti, tra queste Oliver Goldsmith, Mark Twain, Arthur Conan Doyle, Alfred Tennyson... uno dei più assiduo avventori fu senz'altro Charles Dickens il quale fa menzione del pub anche nel suo romanzo Una storia tra due città.
Non solo, fu la "base" per il Rhymers' Club, un gruppo di aspiranti giovani poeti capitanati da Yeats e da Rhys che durante l'Ottocento si dava alla composizione.
Proprio durante l'Ottocento molti pub conobbero un grande e fiorente periodo di affari, questo perchè rappresentavano un po' i ristoranti dell'epoca per i meno ricchi e, con meno ricchi, intendo le classi dalla borghesia in giù, infatti solo l'altissima borghesia poteva permettersi di cenare nei prestigiosi hotel come il Savoy che offrivano servizio ristorante e solo gli aristocratici e i membri scelti potevano, invece, cenare nei club come il Boodle's e il White's.

L'interno del locale e la credenza delle stoviglie di una delle
stanze per cenare, tutto in stile un po' retrò
I pub dell'epoca fungevano da ritrovo in amicizia e anche per i commerci informali e i ritrovi d'affari. Gli uomini e, più raramente, le donne affollavano i tavoli nei quali era sempre possibile ordinare un pasto caldo e del cibo di buona qualità. Il Cheshire Cheese al quale si sono ispirati i proprietari per il nome, per esempio, era un formaggio vaccino originario del Galles e delle contee circostanti particolarmente saporito ed apprezzato e molto sostanzioso, in grando di saziare anche gli stomaci più affamati, ma del Cheshire cheese parleremo in altro luogo, magari nella rubrica di cucina. Il formaggio, comunque, essendo sostanzioso quanto la carne, ma non altrettanto costoso, era un alimento molto in voga tra i meno ricchi, la carne era rara e costosa e veniva servita specialmente stufata o bollita, niente piastra e niente griglia. Insomma era un modo per annunciare al mondo che nel pub si praticava la buona cucina, calda, sostanziosa e a prezzi modici, tutto in poche e semplici parole, non male come trovata di marketing! Al confronto i nostri moderni inventori di slogan ("Gustala ghiacciata, Non assorbe gli odori li elimina!, Campari red passion"), in bilico tra il ridicolo e il pacchiano e troppo protesi verso termini anglofoni e costruzioni errate [vorrei farvi ascoltare l'ultimo spot Calzedonia dove dicono "lycra" riferendosi al tessuto delle calze come se la Y fosse una I inglese e pronunciano la parola "laicra", che orrore!!!], sembrano dei dilettanti e questo è il bello del linguaggio di un tempo e il motivo per il quale all'inizio ho esordito con la storia del nome, perchè in passato si prestava molta più attenzione alla lingua, alla terminologia e alla costruzione: dirlo bene e con poche parole, il Vangelo che da bambini cercavano di insegnarci alle elementari, era diventato realtà... cosa è andato perso da allora?
Con 4 parole, di cui un articolo quindi in realtà 3, i nostri antenati erano stati capaci di esprimere una miriade di concetti riassumendo tutta la pubblicità possibile: qualità del cibo e del locale, status sociale, prezzo, ambiente, clientela... che meraviglia saper adoperare le parole!

Uno dei separé nei quali è possibile pranzare e cenare,
ci sono sia tavoli e sedie che panche, come in questo caso
I pub londinesi erano frequentati sia dagli abitanti che dai forestieri, la zona intorno al Tamigi, dove attraccavano le navi, pullulava di osterie, bettole e bugigattoli dove i marinai potevano andare a saziarsi dopo il periodo in mare aperto e spendere il proprio denaro bevendo e andando a donne nei locali bordelli che si affacciavano proprio sopra, alle volte le prostitute facevano addirittura parte dell'organico del locale e spesso facevano anche il doppio lavoro di cameriere, d'altra parte la cultura inglese pullula di ostesse dal petto prorompente e dai modi ammiccanti che se la spassano coi giovani avventori.
Essendo un posto che offriva anche una notevole varietà di fauna umana, molti scrittori usavano i pub non solo per consumare, ma anche per cercare ispirazione per i loro personaggi, specialmente i più umili, ai quali attribuire caratteristiche e movenze coerenti con l'educazione e la levatura sociale. Non c'erano solo nobili e feste al tempo dei victorians e gli autori dell'epoca, Zio Charlie tra tutti, ma anche Elito, Thackeray, Hardy e così via, pare avessero una vera vocazione nel descrivere con minuzia gli strati più bassi della società a mo' di denuncia delle condizioni disumane nelle quali la povera gente viveva nonostante i governi dell'epoca (un po' come quelli di oggi) promettessero diritti, lavoro e l'abbassamento delle tasse e sventolassero i loro piccoli successi come enormi conquiste. Molti scrittori, che erano anche filosofi, godevano di un piacere quasi da paladini della giustizia nello smascherare queste tecniche alimentando l'informazione che sosteneva che tanto era ancora il lavoro da fare.

Tra le offerte del pub c'è una buona scelta di birre alla spina
tra le più famose e meno note che spaziano dal suo inglese,
gallese, scozzese e irlandese, più qualche estera per
soddisfare tutti i palati
Stando ad una ballata popolare seicentesca dai toni un po' macabri, pare che tra gli habitué del Ye Olde Cheshire Cheese ci sia persino un fantasma donna che narra la storia di un tremendo infanticidio del quale si è macchiata in vita e raccontare il crimine sia il suo modo per espiare la colpa commessa.

Insomma, a costo di sembrare una guida della Lonely Planet, io vi consiglio una visita se vi capitasse una visita a Londra, il locale è facilmente raggiundibile con la linea 15 che passa da Piccadilly Circus, poco distante, e penso che sia riconoscibile tra mille.
Se dopo 500 anni è ancora aperto, entrando nella lista dei locali storici e con un costante flusso di clienti qualche motivo deve pur esserci ;) perchè non andare a scoprirlo?
A quanto pare il buon cibo e le bevande sono senza dubbio un incentivo che molti di coloro che ci sono stati portanto a riprova della qualità del luogo insieme alla sua particolarità, probabilmente beacon e salsicce non sono vecchie come le travi del soffitto. Per quanto riguarda la selezione di birre, sebbene non troppo vasta, è di ottima qualità. E se avete fame, trovate anche un discreto menu di “pub food”, ovvero una raccolta di quanto di più tipico potete trovare nella cucina inglese, come il fish and chips e i vari pasticci di carne. Tutto a prezzi modici (per l'Inghilterra, ovvio, parliamo di circa 20-25£).
Non aspettatevi però di far baldoria fino a notte inoltrata! Questo è un pub storico che fa gli orari storici degli inglesi, apre a mezzogiorno per il pranzo, è affollatissimo alle sette per l'aperitivo e alle nove per la cena, ma alle undici di sera chiude i battenti e tutti fuori, giusto per non incintare a bere oltre misura, nel Regno Unito la distinzione tra pub e night è rigorosa.

Wikipedia EN | Ye Olde Cheshire Cheese
Wikipedia EN | Ye Olde
Pubs.com | Ye Olde Cheshire Cheese
Nuok | Puro stile inglese allo Ye Olde Cheshire Cheese

Beh, seppur nella sua brevità spero che questo post vi abbia fatto assaporare un po' della magia del luogo, singolare anche per i suoi avventori, non è infatti inusuale trovare tra la clientela anche gli uomini d'affari della City appena smontati dall'ufficio nei loro completi gessati, camicie di Armani e le caratteristiche cravatte vistose.
Un post veloce veloce per scaldarci le ossa, spero ci rivedremo presto con altri nuovi approfondimenti, un bacione a tutti,
Buon Natale a tutti!

 




Mauser

Amore e musica, Nikolaj e Nadezda

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Cari lettori, buon anno!
Kreutzer Sonata
by René François Xavier Prinet
Ben ritrovati in questo 2013 a cui mi devo ancora abituare... sapete, dopo dodici mesi di 2012 scritto per ogni dove e profezie Maya ecc faccio fatica a prendere l'uso di sostituire il 2 col 3 ^^

Si preannuncia un anno di novità, dice l'Oroscopo, invero lo dice tutti gli anni, ma almeno per il Georgiana's Garden, indipendentemente da che segno sia (Bilancia? Sagittario? Pesci?) spero che sia così. I dettagli di queste novità, comunque, ve li lascerò in un post specifico che scriverò tra qualche giorno, giusto per lasciarvi con l'acquolina in bocca.

Oggi torno a parlare di musica virando un po' dagli argomenti che tratto di consueto e anche dall'ambientazione. Saltiamo infatti dall'isoletta britannica, nostra consueta location, per catapultarci qualche centinaia di chilometri più a Est verso la Russia degli zar.
Parliamo di musica e parliamo d'amore che, a quanto pare, sono due passioni che vanno molto d'accordo perché, come dice mio papà (per una volta devo dargli ragione, anche se per salvaguardare la mia reputazione dibastian contrario spero che non lo venga mai a sapere)
La musica nasconde sempre un animo appassionato perché la musica è pura.

...e questo è il piccolo poeta romantico che si nasconde in ciascuno di noi.
Russia, terra di diversa e divisa e di passioni forti, terra che ha vissuto un Medioevo molto più lungo di quello europeo che ha comunque conosciuto i suoi periodi di contraddizione. In Russia convivono due anime diverse, una ispirata dalla grandissima tradizione e cultura del Paese, dai costumi e dalle usanze, particolari, diversissime e molto insolite anche per noi, e l'altra improntata al progresso, alla conquista di filosofie nuove e illuminate.

La Russia che è sempre stata al confine dell'Europa, eppure sempre da essa divisa, ha conosciuto un grande periodo di scambio culturale con quest'ultima durante la brillante epoca di Pietro I e Caterina, ha ospitato letterati, poeti e dotti pensatori settecenteschi figli dell'Illuminismo francese, architetti dei migliori, spesso provenienti dall'Italia, artisti d'ogni genere e corrente.
La Russia aperta ai confini europei è stata come un bambino in una nuova casa, inizialmente titubante e poi animato dalla curiosità e dal desiderio di conoscere e fare suo ogni angolo ed ogni frammento di tutto quanto poteva offrirgli la nuova prospettiva. La musica nell'accezione che noi diamo alla composizione musicale classica è stata una delle ultime forme artistiche ad essere assimilate nella cultura eppure, durante l'Ottocento russo, è letteralmente esplosa iniziando il grande periodo musicale russo con il Gruppo dei Cinque, ovvero cinque prolifici compositori, oggi noti come classici, che hanno preso il romanticismo, specialmente della corrente tedesca (Beethoven, Schubert, Schumann, Wagner) e l'anno non solo trasportato in Russia, ma anche riarrangiato per l'inclinazione, la mentalità e ovviamente la concezione musicale.
Questo "trasbordo" ha fatto sì che in Russia la corrente musicale romantica, che alla fine del XIX secolo in Germania era quasi esaurita, fosse ancora fiorentissima e ricca di nuovi compositori ed opere meravigliose.


Personalmente, se non si fosse ancora notato, sono molto affascinata dalla musica russa perché ha una vena passionale e impetuosa costante che, anche se rimane nascosta, ad un ascolto più attento la si riconosce sicuramente, questa scorre sempre e in ogni parte del brano è in grado di esprimere uno stato d'animo con accuratezza e realismo. La musica di molti artisti russi, anche se non di tutti, ha  la capacità di suscitarmi emozioni, raramente mi lascia impassibile ed annoiata, vero è che questa capacita e questo intento sono due dei cardini della corrente romantica che, tuttavia, nelle sue forme tedesche, italiane e francesi col tempo è andata leggermente dispersa dando vita a produzioni e compositori che solo di rado hanno saputo animare per davvero le note e gli strumenti, ma più spesso hanno partorito esercizi di stile o opere di virtuosismo prive di espressività e trasporto che sono stilisticamente difficoltose, ma emotivamente vuote e piatte.

Con questo non voglio essere polemica né iniziare un discorso musicale troppo vasto, sono dell'opinione che la percezione, essendo cosa personale, sia quindi diversa da individuo ad individuo e ciò che a me pare ad un modo, a qualcun altro parrà ad un altro. Qualcuno non si troverà d'accordo con la mia idea, con qualcuno questo discorso l'ho già tirato in ballo più volte, ma non intendo minimamente generalizzare ed è per questa ragione che ho cominciato la frase con "personalmente", non è Vangelo. Inoltre come per tutte le cose esistono eccezioni e tutta una cultura musicale che purtroppo a me manca, non avendo mai potuto studiare storia della musica e tecnica della musica approfonditamente quanto avrei voluto. Tranquilli comunque, mi sto seriamente impegnando per colmare, un passetto dopo l'altro, le mie lacune lacunose.

Nikolaj Andreevič
Rimskij-Korsakov
Fotografia d'epoca con divisa della
Marina Imperiale Russa

Ma dopo questa introduzione chilometrica [il lupo perde il pelo, ma non il vizio], probabilmente vi starete chiedendo: Quindi di cosa vuoi parlarci?
Parlo di un personaggio, esponente della musica russa, appartente al primitivo gruppo di compositori che hanno portato il romanticismo musicale nel regno degli Zar, il suo nome fu Nikolaj Rimskij-Korsakov e della donna che fu la sua grande passione insieme alla musica, Nadezda Purgold.

Nella musica ci si sposa spesso tra artisti, è accaduto in passato e continua ad accadere, ad esempio oltre a Robert e Clara Schumann, di cui ho parlato in passato, possiamo citare il caso di Gustav e Alma Mahler o di Daniel Barenboim e Jacqueline Du Pré, entrambi musicisti della seconda metà del '900 che spostando la cronaca mondana da Berverly Hills alle sale da concerto hanno contribuito, a loro modo, ad avvicinare le persone alla musica classica.

Ma sicuramente nell'Ottocento questa prassi di sposarsi tra musicisti era più nota che oggi. Perché?
La risposta è molto semplice e a tratti fastidiosa da dare, ma per la scarsa considerazione culturale in cui erano tenute le donne dalla maggior parte della popolazione.
Una donna musicista e compositrice doveva essere per definizione una donna intelligente (perché l'arte non ammette imbecilli) e indipendente, essendo abituata a sgomitare più degli altri in un ambiente dominato da uomini perlopiù privilegiati. Questo tipo di donna era odiatissimo, contrario ai concetti di sottomissione e remissività coi quali donne come Clara, Nadezda o Alma si sposavano. Per essere brave musiciste dovevano avere un minimo di carattere e quel carattere di troppo era un deficit non da poco per la società che le bollava come donne dissolute, spesso per invidia o per ignoranza. Era facile per una mentalità piuttosto inquadrata toppare il giudizio, queste donne erano cresciute in ambienti culturalmente liberali e stimolanti o, se provenivano da famiglie tradizionaliste, erano entrate in quel mondo quando la musica aveva preso il sopravvento, catapultandole tra gli "artisti": confondere uno spirito liberale con la dissolutezza di costumi era, evidentemente, abitudine consueta per i bigotti del tempo.
In quest'ottica le soluzioni per queste donne erano tre:
  1. Sposarsi con un uomo che mal tollerava il loro talento, che spesso sminuiva il loro lavoro o ostacolava la sua realizzazione; in quel caso finivano per abbandonare la carriera e l'arte della musica, divenendo asservite alla famiglia e imprigionandosi nel ruolo della donna angelo del focolare tanto cara ai borghesi ottocenteschi
  2. Rimanere zitelle era una soluzione, ma solo in certi casi praticabile, ovvero il loro lavoro e talento doveva fornire sufficiente denaro per mantenersi e offriva zero garanzie. Inoltre le pressioni di familiari e conoscenti erano spesso fortissime perché l'immagine di una donna eccessivamente libera non intaccasse la nomea della casata.
  3. Sposarsi tra artisti. Magari non solo tra musicisti, ma gli uomini che apprezzavano e incoraggiavano il loro talento c'erano (pochi) e spesso si potevano rintracciare proprio tra "spiriti affini", ovvero tra altri artisti che sicuramente sapevano amare le composizioni di queste donne come se fossero state fatte dagli uomini perché sapevano guardare all'arte e alla sostanza, non solo all'apparenza.
La possibilità di esprimersi liberamente, di essere se stesse e di essere trattate alla pari è sicuramente componente importante di una relazione e certo questo contribuiva a spingere molte donne artiste tra le braccia di altri artisti.

Nikolaj e Nadezda, per esempio, erano due musicisti, ma solo lei, nella coppia, aveva una vocazione musicale di antica data, profondissima e portata avanti con mille difficoltà tra il pregiudizio dell'alta società russa che rimase sempre estremamente tradizionalista.  
Nata a San Pietroburgo nel 1848, Nadezda era la terza di tre sorelle e manifestò fin da piccola un orecchio musicale molto fine, iniziò a cimentarsi col pianoforte all'età di 9 anni, l'età media in cui le bambine dell'Ottocento iniziavano ad essere educate alle arti d'intrattenimento come la danza, il canto, gli strumenti, il componimento poetico, ecc. Ma Nadezda possedeva un talento speciale sempre crescente che, col tempo, convinse la sua famiglia a permetterle di studiare al Conservatorio.

Nadežda Nikolaevna PurgoldCompositrice e pianista
di talento

Nel conservatorio di San Pietroburgo, però, Nadezda entrò inevitabilmente in contatto con il fervido ambiente culturale e musicale del tempo: divenne amica di Alexander Dragomyzhsky, operista ottocentesco considerato il  trait d'union tra i precedenti autori russi (es: Glinka) e i nuovi romantici del Gruppo dei Cinque, e fu a casa di quest'ultimo tra gli anni 60 e 70 che la nostra musicista conobbe Nikolaj Rismskij-Korsakov.

Nikolaj era più grande di Nadezda di pochi anni (nato nel 1844), tuttavia la sua passione per la musica era decisamente giovane rispetto a quella di lei,veniva infatti da una carriera in Marina nella quale aveva potuto coltivare raramente il suo talento.
La famiglia Rimskij-Korsakov aveva infatti una antica tradizione militare di cui andava estremamente orgogliosa, Nikolaij, come i fratelli, entrò in Marina ancora fanciullo, prima nel Collegio imperiale della Marina e poi imbarcandosi sulla nave scuola Almaz.
Sebbene Nikolaij avesse dimostrato molto talento fin da piccolo, fu solo nel 1861 che questa passione vide finalmente la luce con il connubio tra lui e un altro musicista pioniere del romanticismo russo: Milij Balakirev il quale, accortosi delle possibilità del giovane, iniziò ad istruirlo sulla composizione e gli insegnò a scrivere musica, incoraggiando il suo talento.
La prima opera di Rimskij-Korsakov fu una sinfonia, Prima sinfonia composta durante la navigazione tra il 1861 e il 1865, questa si dice sia stata la prima sinfonia composta da un russo. Naturalmente le solite scuole divergenti si contrappongono a quest'ideacitando altri autori e pezzi.
Sempre coltivando l'amicizia con Balakirev, suo iniziatore, entrò a far parte di un gruppo di giovani musicisti un po' rispetto allo stile musicale in uso e che verrà poi definito come Gruppo dei Cinque, al quale appartenevano oltre a lui e a Balakirev, anche Cui, Mussorgskij, e Borodin.
Il gruppo, supportato da Dragomyzhsky, si riuniva spesso nella casa pietroburghese di questi per delle soirée musicali dove si esibivano gli ospiti e qui Nikolaj rimase folgorato da Nadezda al punto che il compositore abbandonò completamente la Marina per dedicarsi alla musica e campare d'essa. In questo periodo, sotto la guida varia di altri musicisti più "formati" di lui, ovvero con una cultura musicale più antica e solida, Nikolaj perfezionò il suo stile compositivo e iniziò a pubblicare le proprie opere.
La fama arrivò con altre tre composizioni che egli realizzò sempre in navigazione: Sadko (1867), la Seconda Sinfonia aka Antar (1868) e La fanciulla di Pskov (1872) che fecero innamorare il pubblico di questo autore che prima era stato considerato solo dotato, ma privo di obiettivi e piuttosto sconclusionato.
At the piano
by Louise Abbema
Quando raggiunse una stabilità economica e di fama sufficiente, sposò Nadezda nel 1872, nel loro matrimonio ebbero 7 figli, tra cui il compositore Andrej Rimskij-Korsakov

Si dice che Nadezda sia stata per Nikolaj come Clara per Robert Schumann, non solo si trattava di una musicista, ma estremamente talentuosa e compositrice a sua volta, seppur minore, in grado di offrirgli il supporto, ma anche la critica più costruttiva alle opere che lui via via tratteggiava. Di lei Nikolaj disse che fu la sua migliore e insuperabile esecutrice, capace di trasmettere con la sua musica la passione che lui metteva nelle note e nella composizione, ma dare anche il proprio personale apporto e interpretazione.
A lei il marito dedica una bellissimo il primo movimento dell'Op. 15,valzer in do diesis.

Oltre che ottima interprete dotata di grande espressività, Nadezdaè molto conosciuta nell'ambito dello studio del pianoforte per gli arrangiamenti di grandi compositori russi: oltre al Gruppo dei Cinque, per i quali trascrisse quasi tutti i brani compresi quelli del marito, è famosa per aver trascritto e arrangiato moltissimi pezzi al pianoforte per un'esecuzione a quattro mani. È specialmente noto il suo arrangiamento per due pianoforti dell'overture del Romeo e Giulietta di Tchaikovsky realizzata nel 1871 che venne pubblicata a da Bote&Bock a suo nome, una rarità per una donna del tempo. Purtroppo a causa di dalle complicazioni di una gravidanza non abbiamo ottenuto un simile arrangiamento anche della Sinfonia n°2 dello stesso compositore, che a quanto pare era uno dei preferiti della musicista.
In cambio dell'arrangiamento, Tchaikovsky le dedicò la prima delle Sei romanze, una ninna nanna o Canzone della culla. Al marito di lei, Nikolaj, è invece dedicata la seconda.

Le scelte difficili, azzardate e contrastate dalla famiglia di Nikolaij Rimskij-Korsakov si rivelarono comunque tutte azzeccate, sia riguardo la donna che sposò, sia circa la carriera.
Seppure autodidatta, infatti, la sua musica iniziò ad essere molto apprezzata, al punto da garantirgli nel 1871 la cattedra di Orchestrazione e Composizione al Conservatorio. Fu insegnante di altri noti artisti come Shostakovich, Prokofiev e Stravinskij e dell'italiano Respighi (celebre la sua composizione I pini di Villa Borghese).
Fu autore prolifico, come se una volta scoperta la musica sentisse il bisogno di recuperare il tempo perduto, scrisse 15 opere, molte con soggetti della tradizione russa, l'ultima delle quali, La storia dello zar Saltan, comprende il famoso Volo del calabrone; non disdegnò neanche la musica sacra per il culto ortodosso russo.

Nadezda Rimskaya-Korsakova
Una volta sposata a Nikolaj la
musicista ha acquisito il cognome
del marito declinato al femminile
Nel 1905 a causa di opinioni politiche che discordavano dall'imperialismo zarista, fu rimosso dall'insegnamento, ciò scatenò tuttavia una pioggia di dimissioni da parte di altri docenti e proteste studentesche che costrinsero l'autorità scolastica a reintegrarlo nell'organico. L'episodio non servì però ad attenuare le sue posizioni e provocò altri fatti di censura delle sue opere, in particolare Il gallo d'oro, che era un esplicito attacco all'autorità dello Zar, ma la rivoluzione era vicina...

Morì nel 1908, undici anni prima della moglie, e fu sepolto in un monastero vicino San Pietroburgo.
Molti dei suoi figli ed eredi hanno seguito le sue orme, non solo entrando nel mondo musicale sotto varie vesti, ma anche sposando altri musicisti; il figlio Andrej, per esempio, sposò la compositrice Julija Weisberg e divenne un musicologo mentre la figlia Nadezda si accasò con Maximilian Steinberg.
Quando si dice "tradizione musicale".

Mi sono interessata molto alla storia di amore e musica di Nikolaj e Nadezda, tuttavia di quest'ultima rimangono veramente poche tracce, sia della sua musica che del personaggio, sopravvivono solo i suoi arrangiamenti, ancora in uso, il che è un peccato perché doveva essere una donna di grande carattere e talento della quale meriteremmo di conoscere qualche particolare di vita in più. Ho comunque trovato molto toccante che due musicisti come Rimskij-Korsakov e la moglie abbiano saputo condividere la loro passione senza prevaricarsi, riuscendo a trasmetterla anche a figli e nipoti con entusiasmo e trasporto.


Fonti e sitografia

Wikipedia IT | Nikolaj Andreevic Rimskij-Korsakov
Wikipedia EN | Nikolai Rimsky-Korsakov
Wikipedia EN | Nadezhda Rimskaya-Korsakova
Wikipedia IT | Gruppo dei Cinque
Wikipedia EN | The Five (composers)
Russiapedia | Russina Music | Nikolai Rimsky-Korsakov
Tchaikovsky Research | Nadezhda Rismkaia-Korsakova
Spokeo | Nadezhda Rimskaya-Korsakova
Yatedo | Nadezhda Rimskaya-Korsakova
AllMusic | Nikolai Rimsky-Korsakov

Spero che questo nuovo approfondimento sia stato per voi interessante come per me scriverlo.
Un bacio grande e a presto




Mauser

L'omnibus

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Cari lettori,
come state? Tra un post e l'altro continua a passare ancora tanto tempo, ma sto facendo del mio meglio per continuare ad aggiornare ogni volta che ne ho la possibilità. Questa volta l'occasione è venuta da un'influenza di troppo che mi ha costretta a casa una settimana, ma che mi ha lasciato anche un paio di giorni abbastanza lucida da poter abbozzare un post senza che apparisse del tutto ridicolo o apparisse scritto da un drogato all'ultimo stadio.

An Omnibus Passing The "Three Compasses Inn"
by James Pollard
Oggi ho deciso di rispolverare un po' i mezzi di trasporto del XIX secolo per vedere come era strutturato il trasporto urbano durante il regno dell'ultimo re Giorgio (IV) e fino ai primi del Novecento. Volevo soffermarmi su un mezzo, l'omnibus, antenato delle moderne linee urbane di autobus, tram e metropolitana.

Spero che alcuni di voi lettori provengano da città in cui il trasporto pubblico possa davvero definirsi tale, nella mia Genova spostarsi con i mezzi cittadini è un supplizio a cui noi cittadini ci sottomettiamo ogni giorno; certamente la conformazione urbanistica della città rende difficile strutturare linee che coprano percorsi efficaci in tempi ragionevoli (oltre gli autobus abbiamo linee pubbliche che a causa del grande dislivello sono coperte da ascensori e funicolari e a volte questi due combinati insieme, addirittura una linea marittima in battello), ma, non posso esimermi da una nota polemica, la dedizione con cui l'azienda dei trasporti si dedica al miglioramento delle linee, dei percorsi e del flusso dei passeggeri non è minimamente paragonabile alla frequenza con cui aumentano il costo del biglietto standard.
Quando viaggio per lavoro spesso vedo altre realtà in cui il trasporto pubblico è molto più efficace, città in cui nessun pendolare si sognerebbe di correre per prendere un treno o un autobus, certo che dopo pochi minuti ne riapparirà un altro, vagoni e carrozze puliti, condizionati, dotati di tutti i sedili e senza oscenità scritte alle pareti [personalmente ho sempre trovato prova di enorme stupidità le scritte sui finestrini tipo "Sono stato qui" oppure "Kikko tv1kdb", a cui la mia reazione è, solitamente, il persistente desiderio di far pulire quello schifo a pennarello con la lingua dell'autore].

Il concetto di trasporto pubblico, ci viene insegnato, è una delle linee guida su cui si basa il grado di civilizzazione di un centro urbano. Se da una parte scorrono veloci i tram di Zagabria o Monaco di Baviera, dall'altra tutti ricordiamo qualche scena, magari da The Millionaire in cui un eccessivo numero di passeggeri affolla un autobus o un treno di Mumbai o Nuova Delhi: colleghi recentemente stati in India mi confermano questa situazione.

La prima idea di trasporto pubblico "moderno" è proprio l'omnibus che ho citato prima. Qualcuno forse non l'ha mai sentito nominare, ormai il termine è caduto in disuso, ma si tratta dell'antenato di tutte le forme di trasporto urbano in uso oggi e, vi dirò, in alcune parti del mondo è ancora molto in voga.


Nasce il trasporto cittadino
La sua nascita risale al 1826 ad opera di Stanislas Baudry e la prima linea nota, che assomigliava più ad una diligenza che ad un percorso cittadino, fu nella cittadina di Nantes e collegava il centro con la parte fuori città che ospitava le terme e i bagni di vapore, particolarmente frequentati.

Il nome omnibus deriva da una curiosa sovrapposizione di parole. La linea originaria di Nantes aveva infatti la prima fermata posizionata in corrispondenza di un negozio di cappelli da uomo chiamato Omnes, sulla palina della fermata si leggeva quindi Omnes Bus. La parola omnes, nome originale del negozio, venne subito introdotta nel linguaggio di questo trasporto e storpiata in omni, così la si rendeva anche una citazione pseudo-latina che indicava che il trasporto era "per tutti" ovvero tutti coloro che potessero permettersi il biglietto. Per l'epoca era una classificazione importante e indicava che chiunque poteva salire sulla carrozza. Insomma non c'erano distinzioni di sesso e censo, a patto che si potesse pagare, essendo inoltre nella Francia post-rivoluzionaria (erano gli anni '30 dell'Ottocento e Napoleone aveva appena lasciato la scena) gli ideali di libertà e uguaglianza si facevano ancora sentire nell'immaginario collettivo.

I primi omnibus erano costituiti da carrozze coperte riarrangiate con un numero variabile di posti interni tra 5 e 15, spesso disposti con panche ai lati o assi trasversali; le carrozze erano trainate da uno o due cavalli per i percorsi più pianeggianti e fino a quattro per le zone collinari; spesso non si trattava di animali di razza, ma cavalli non più abili al trasporto impegnativo, muli, bardotti e asini e altre bestie non più giovani, erano condotte da un vetturino che sedeva all'esterno e svolgeva servizio con qualsiasi condizione meteo.
Shillibeer's Omnibus
Le corse del primo omnibus erano un avanti-indietro continuo con varie fermate, ma erano anche organizzate in precise tabelle e frequenze di transito e l'idea fu così geniale che negli anni seguenti si diffuse subito in tantissime città sia del Vecchio Continente che dell'America del Nord e delle colonie britanniche in Africa, India e Australia. La crescita del servizio offerto da compagnie rigorosamente private fu così verticale e immediata che in dieci anni Parigi passò da zero a 35 corse urbane.
Gli omnibus andarono a eliminare progressivamente la flottiglia di carrozzini e risciò a pochi posti (1-2-3-4) che rappresentavano una primitiva forma di trasporto urbano, più simile ai taxi che agli autobus, e le diligenze che conducevano a cittadine limitrofe, mentre per i grandi trasporti di lunga percorrenza il treno prese progressivamente piede come indice di gradimento.

A Londra il primo omnibus apparve nel 1829 ad opera di George Shillibeer, un costruttore di carrozze che aveva notato l'idea durante il suo soggiorno in Francia e che intuì il potenziale dell'invenzione e si accaparrò subito le linee migliori (Paddington->City e Regent's Park->City) divenendo in breve il principale fornitore del servizio con la ditta Shillibeer's i cui veicoli erano i più diffusi e noti della capitale, sostituendo le precedenti diligenze che dalle cittadine limitrofe di Camberwell, Blackheath, ecc portavano a Londra; il servizio di omnibus non era economico (anche se la diligenza costava di più), ma seguiva precisi orari, tabelle di passaggio e tempi di percorrenza.
 A New York fu un altro commerciante di carrozze a introdurre vetture a molti posti per il trasporto dei cittadini, lui era  Abraham Brower e correva l'anno 1827.

Il fatto che fossero tutti personaggi introdotti nel mondo delle carrozze porta a pensare che nel giro del trasporto si notasse un'esigenza sempre crescente di spostamento da parte dei cittadini, ma, allo stesso tempo, l'impossibilità di avere un mezzo proprio come una carrozza.
Il fatto che queste persone siano divenute ricche e famose grazie alla loro veritiera intuizione ha premiato la loro innovazione e la capacità di captare e dare una soluzione alle esigenze della popolazione, un po' come quelle che persone che, terminata la II Guerra Mondiale, puntarono i loro investimenti nel mondo degli elettrodomestici che, prima sconosciuti in Italia, ebbero un autentico boom di apparizioni durante gli anni '60.


Evoluzione tecnica e filosofica
L'idea diomnibus attraversò, nel corso della sua storia, diverse revisioni importanti per adattarsi a ciò che maggiormente serviva nelle città, le introduzioni più significative furono a proposito della velocità del trasporto, della riduzione dei costi e dell'aumento del servizio, inteso sia come incremento delle linee che della capacità di trasporto passeggeri del singolo veicolo (intorno agli anni 50 le carrozze avevano fino a 20-30 posti tra seduti e in piedi) .

1° rimaneggiamento: l'introduzione dei posti sul tetto
Una foto d'epoca raffigurante un omnibus
con le panche sul tetto su cui potevano
sedersi i viaggiatori.
Da notare il vetturino si trova sul fianco sx
Le carrozze adibite a mezzi di linea urbani subirono molti rimaneggiamenti durante il loro periodo di vita con continui apporti servizi e comfort, queste migliorie interessarono specialmente la suddivisione interna dei sedili per i viaggiatori per razionalizzare lo spazio e consentire ad un pubblico sempre maggiore di salire sul mezzo; una delle modifiche più significative fu l'introduzione dei posti a sedere sul tetto, accessibili da una piccola scala posteriore.
I posti sul tetto erano i più economici perché non garantivano la copertura durante intemperie e maltempo, ma per chi non poteva permettersi altro erano una benedizione.
Rimasero accessibili solo agli uomini per molti anni poiché giudicati inadatti a delle signore, mancando corrimano e protezioni varie, inoltre era considerato sconveniente che si vedessero le caviglie o il fondoschiena di una dama mentre si inerpicava su per la ripida scaletta posteriore.

Questa introduzione fece sì che molte persone potessero viaggiare sullo stesso mezzo, ma ciò lo rendeva anche instabile, in particolare su terreni dissestati e non esattamente pianeggiati, ricordiamoci che all'epoca non esisteva l'asfalto e la copertura delle strade con pietre, lastricati e sampietrini non era diffusa, la maggior parte delle strade, anche in città, erano in terra battuta, una necessità data specialmente dal continuo passaggio di animali che, ovviamente, facevano i loro bisogni in giro. Insomma, il ribaltamento di qualche omnibus non era cosa rara, anche se meritava comunque un articolo su qualche giornale cittadino, a seconda dei danni ed eventuali morti, che si erano avuti.

2° rimaneggiamento: la pubblicità
Particolare degli annunci pubblicitari dal dipinto
The Bayswater Omnibus di George William Joy
Metterlo al secondo posto forse è fare un torto ad una caratteristica che fu, quasi da subito, introdotta simbionte assieme agli omnibus, ma, a mio avviso, la pubblicità non fu così rivoluzionaria come la revisione fisica del mezzo.


In questo modellino di omnibus, estremamente
 fedele a quelli veri, si possono riconoscere

molte pubblicità di prodotti: sul fianco campeggia la
Lipton's Tea (c'era già), sul retro, a sx Hudson's Soap
e sul retro, anche se si vede poco, c'è Nestle Milk
Importante o meno importante, sia i proprietari delle vetture che i negozianti proiettati del mondo del marketing si accorsero presto delle potenzialità di una carrozza che girava sistematicamente per le strade cittadine, portando a spasso la sua presenza e, perché no, allettanti manifesti propagandistici dei più disparati soggetti. I vetturini avevano la possibilità di un'entrata extra per ammortizzare i costi e fare soldi mentre i commercianti poteva mettere la loro marca, il loro prodotto o il loro negozio su uno spazio e portarlo in giro, allettando possibili clienti.
Vi erano réclame, come si chiamano ancora dalle mie parti, sia sulle paratie esterne della carrozza, sulle portiere e sulle ringhiere, destinate al pubblico dei marciapiedi, sia all'interno della vettura, sopra le teste dei passeggeri erano infatti affissi manifesti e immagini che i viaggiatori avevano tutto il tempo di leggere e farsi piacere mentre attendevano di arrivare a destinazione.

3° rimaneggiamento: la linea ferrata
La linea ferrata era la ferrovia e prevedeva che gli omnibus non viaggiassero più sul selciato, spesso di terra battuta, ma su binari appositamente posti nell'impianto stradale, ciò permetteva, oltre una maggiore gestione delle linee e dei percorsi, anche la conveniente possibilità di usare meno animali per lo spostamento delle vetture, in quanto lo scorrimento di ruote sui binari riduceva l'attrito e richiedeva minor forza per trascinare il veicolo che, quindi, poteva accontentarsi di una pariglia di cavalli o asini, anziché un tiro a quattro o a sei, ricordiamo che gli omnibus garantivano la ricchezza, ma gli animali erano costosi da mantenere.
L'utilizzo della linea ferrata, inoltre, consentiva ai mezzi di svincolarsi da eventuali problemi della strada e traffici della stessa, assicurando un servizio più affidabile e costante nei tempi di percorrenza e nel tempo di passaggio.
In questa stampa d'epoca ecco apparire un tram
a cavalli: strutturalmente era simile all'omnibus,
si notino i posti sul tetto riparati da una tenda,
ma le ruote giravano su binari disposti sul
pavimento stradale

La prima applicazione dei binari si ebbe a New York nel 1832 ad opera di John Mason, ma questo primato era un po' "voluto" e spinto dallo stesso Mason visto che egli era il presidente della N.Y. & Harlem Railroad, una delle società che operavano nel ramo ferroviario, il che lo rendeva uno sponsor estremamente interessato per la "ferrovizzazione" delle linee, non esattamente fuori dal giro.

Nonostante l'introduzione dei binari sia quasi contemporanea a quella degli omnibus nella Grande Mela (appena 5 anni dopo), non avvenne così subitaneamente in tutte le città, questo perché New York al tempo era quasi una città di campagna in piena fare di crescita e costruzione: mettere le rotaie fu piuttosto semplice, mentre piazzare binari sulle contorte strade di Parigi richiese molto più impegno, questo perché la città era già "formata" ed erano gli omnibus che dovevano adattarsi alle esigenze dell'urbanistica, non la città che cresceva suoi suoi stessi servizi, come accadeva a New York.
A Parigi le rotaie arrivarono nel 1854, a Londra nel 1860 richiesero molte manovre politiche, piani regolatori, ufficializzazione del servizio e furono un fallimento.
Perché?
Ovviamente la rotaia aveva dei problemi intrinsechi, il primo che lamentarono i cittadini fu il rumore, fastidioso e continuo dello sfregamento che fece insorgere gli abitanti di Westminster Bridge e Kennington contro il prototipo installato nelle zone. La manutenzione era, inoltre, estremamente costosa e l'impianto della ferrovia nel tessuto stradale richiese, oltre gli inevitabili tempi di attesa, anche disservizi come linee che non operavano e strade inagibili, ecc. 
Solo nel 1870 i primi tram arrivarono a Londra in maniera definitiva, spinti anche dalla necessità di un trasporto più fluido e rapido per un numero sempre crescente di cittadini, anche delle classi più basse.

4° rimaneggiamento: l'istituzione di una Associazione degli Omnibus
Come tutte le cose nelle quali mettono le mani più persone, anche l'insieme delle società e degli operatori degli omnibus (proprietari di vetture, vetturini, controllori, ecc.) aveva bisogno di essere in qualche modo gestita e organizzata, essendosi verificati a causa della sovrabbondanza di società e mezzi non pochi problemi e diatribe, anche legali. A vigilare sulla correttezza del trasporto pubblico venne istituita la Omnibus Associationun'organizzazione che raccoglieva tutto il gruppo di persone che lavoravano e commerciavano nel mercato degli omnibus e nel suo indotto; a presiedere la carica più alta ritroviamo George Shillibeer, fondatore del servizio londinese, ormai uscito dal ramo dei trasporti pubblici.
Una foto d'epoca mostra un affollato omnibus per
La vettura, ricoperta di sponsor, era trainata da
una pariglia e i viaggiatori si spostavano anche
appesi al predellino posteriore
Compito dell'associazione era regolamentare il traffico cittadino, le linee e chi doveva percorrerle, supervisionare ai tempi di percorrenza ed attesa in modo che fossero conformi alle promesse fatte da chi forniva il servizio in zona, consentire la libera concorrenza: insomma fungeva sia da controllo del servizio sia da supervisore formare un piano regolatore del servizio urbano. Prima di allora solo la Thomas Tilling Ltd e le sue carrozze svolgevano un servizio ordinato con fermate prestabilite e precisi orari di passaggio.

Il problema della gestione di linee e mezzi, infatti, più che incentivare gli spostamenti bloccava la città, l'eliminazione prima del monopolio delle corse cittadine (1832), che consentì a molti liberi professionisti di percorrere la propria linea, e il progressivo incremento della richiesta fecero crescere vertiginosamente il numero delle carrozze licenziate per il trasporto che arrivò a toccare i 620 esemplari, numero che raddoppiò nel 1851, l'anno della Grande Esibizione Universale.
C'era così tanta concorrenza che una rotta o una linea poteva essere percorsa da addirittura 90 carrozze!
Uno dei primi atti dell'associazione per tentare di razionalizzare corse e numero di cittadini fu limitare il numero di vetture per linea a 57 per un totale di 150 linee con un'attesa media dai 5 ai 20 minuti, alcune delle nostre linee più veloci possono essere considerate tanto efficienti, purtroppo...

5° rimaneggiamento: il motore
Un omnibus a motore in uso a Parigi nei primi del
'900; come si può notare la vettura era molto
simile alle precedenti a cavalli.
La Shell, ditta di carburante, era già all'epoca
sul mercato.
Fino ai primi del Novecento quasi tutti gli omnibus, anche quelli delle metropoli come New York e Londra erano prevalentemente mossi dalla forza animale, una batteria di cavalli, muli, asini e bardotti trainavano ogni giorno le vetture per le vie.
In realtà il motore a vapore era stato introdotto e provato su questi mezzi fin dal 1830 e, sebbene la casa di produzione Benz (sì, la stessa che oggi conosciamo come Mercedes-Benz dopo la fusione con un'altra industria automobilistica) proponesse sul mercato omnibus con motore a scoppio, questi erano poco adoperati a causa degli elevatissimi costi di acquisto e manutenzione.
Mettiamoci nei panni di allora, in un mondo che va a cavalli è difficile avere un motore così come oggi è difficile avere un'auto elettrica in un mondo che va a petrolio; non si tratta di un'impresa impossibile, ma di certo la società e i servizi sono tarati su un tipo di richiesta diversa e mantenere una struttura solo per pochi, lo capirete, è estremamente costoso.
Fu solo dopo l'inizio del XX secolo che, con la produzione a catena di montaggio, con l'abbattimento dei costi delle auto e dei motori e con la loro diffusione, anche gli omnibus si convertirono a questo tipo di tecnologia.

6° rimaneggiamento: verso l'unificazione
Nella moltitudine di società e operatori del neonato settore del trasporto pubblico fu inevitabile vedere la crescita di alcuni e la caduta di altri, l'introduzione di nuove linee, servizi e comfort e la soppressione di certe.
In quest'ottica alcune società cominciarono a divenire dei veri colossi del settore, padrone di un grande numero di vetture e detentrici dei diritti su molte linee, specialmente quelle più trafficate.
Nel 1859 la più grande compagnia operante nel settore era la LGOC - London General Omnibus Company (ex Compagnie General des Omnibus de Londres) che aveva progressivamente acquisito in sé tutti i possibili rivali, creando una flotta di omnibus di circa 600 esemplari, la più grande del mondo.
Omnibus a Londra, 1860
Altre grandi compagnie del periodo furono la Thomas Tilling e la London Road Car Company.
La collaborazione tra queste tre, sempre supervisionate dall'associazione diede vita al primo vero embrione di quello che è il trasporto londinese di oggi, un insieme coerente e sufficiente al fabbisogno di spostamento cittadino con tabelle e orari di percorrenza, linee, biglietti regolamentati, ecc.

Con la diversificazione di mezzi e il sempre crescente popolamento delle strade della City, così come di altre città, nel 1870 fu emanato dal Parlamento il Tramways Act, subentrando al lavoro della Omnibus Association ormai divenuta obsoleta operando in un solo ramo del trasporto. L'Act regolamentava flussi e disposizione dei binari, quantitativo di mezzi, frequenza minima, ecc. delegò inoltre le autorità locali all'autorizzazione o meno delle linee di trasporti pubblici su rotaia, che prima erano singolarmente giudicate dal Parlamento stesso.


Pubblico & clientela
La classe sociale che più di tutte le altre fece la fortuna del servizio di trasporto cittadino fu la piccola e media borghesiala quale era dotata sia della necessità del mezzo che della possibilità di pagarlo.
The Charing Cross to Bank Omnibus
by Thomas Musgrove Joy
La passeggera è chiaramente una ricca
borghese, la si riconosce dai vestiti, dal
cappello piumato e dal cagnolino da
compagnia che ha con sé e che vorrebbe
portare a bordo del mezzo
I borghesi avevano, infatti, più bisogno di altri di spostarsi tra i quartieri e con l'inurbamento selvaggio di città come Londra o Parigi, il progressivo aumento di popolazione e nuclei abitativi, passare da un quartiere all'altro richiedeva diversi chilometri dato che, ormai, ciascun quartiere era una città vera e propria.
 

I popolani delle classi più basse avevano meno necessità di spostarsi e anche meno denaro a disposizione, perciò i loro viaggi sull'omnibus rimasero rari fino alla seconda metà del XIX secolo. Solo nel 1870 con l'abbattimento dei costi dato dall'introduzione del tram e la progressiva costruzione di quartieri dormitoriodai quali dovevano spostarsi per recarsi alle industrie, anche il popolino iniziò il suo abordaggio dei mezzi pubblici. 
Per incrementare la clientela e popolare le vetture anche nelle ore meno frequentate, le compagnie di trasporto promossero alcune campagne di sconti in favore dell'uso dei mezzi fuori dagli orari di punta (la primissima mattina ore 4 o 5) con un biglietto a metà prezzo. Fu un boom di accoglienza che a stento si riuscì a sostenere con i mezzi in uso e la richiesta sempre maggiore fu uno dei motivi per cui il tram arrivò a Londra (prima snobbato, vedi punto 3).

Come si saliva sull'omnibus? Pressappoco come oggi si sale sul bus, stesso affollamento nelle ore di punta, stessa caciara a bordo, gente che legge, gente che fuma, gente che chiacchiera, tanti colori e tanti casi umani.

Dopo che la Thomas Tilling diede l'esempio, anche le altre ditte incominciarono a disporre lungo i percorsi della linea delle "fermate" identificate da una palina della compagnia (spesso le fermate di più società erano negli stessi punti e si creava della confusione), qui la vettura si accostava al marciapiede per permettere la salita e la discesa dei passeggeri i quali, prima di montare a bordo, faceva il biglietto presso il vetturino o il suo assistente (a volte erano in 2); in certuni casi era prossibile acquistare preventivamente il biglietto di viaggio presso i negozi intorno alla fermata i quali avevano stipulato degli accordi con i guidatori delle linee in modo che, alla fermata, i passeggeri fossero già muniti di tutto ciò che occorreva. Nelle ore di punta, ovviamente, c'era molta folla e per salire ci si spintonava e faceva largo a gomitate, esattamente come ora.

Le linee delle città non erano numerate, come accade oggi nell'intrico di 43, 35, 128, ecc. un'introduzione avvenuta solo nel primo '900 con i mezzi a motore ai quali la polizia urbana richiese che la linea fosse ben visibile e riconoscibile davanti e dietro e le linee, ormai codificate, avevano preso dei numeri identificativi piuttosto che la descrizione del percorso.Le piazze, dove c'era spazio per girare e fermarsi, erano i punti nodali dai quali si cambiava linea e si saliva su un'altra, se c'era bisogno di fare un percorso non coperto da un singolo mezzo. 
Un omnibus durante l'ora di punta (a qualcuno apparirà familiare ^^)
Da notare: i viaggiatori che si spintonano per salire, il percorso scritto sulla parete laterale e l'immancabile sponsor che campeggia nel caos.


Numeri
50.000 cavalli lavoravano a Londra nel 1860 per il mantenimento del trasporto urbano.
250.000.000 di acri di biada erano necessari per sfamare le bestie.
2 erano la media di cavalli per ogni vettura.
12 erano i cavalli necessari per 12 ore di servizio.
3-4 ore erano la durata media di un turno.
15 le miglia percorse da ciascuno, al giorno.
55% dei costi delle compagnie di trasporto era dato dalla manutenzione, cura, e alimentazione delle bestie.
620 erano le vetture con regolare licenza che operavno a Londra nel 1860.
150 erano le linee attive sul territorio della capitale inglese.
90 fu il numero massimo di vetture su una stessa linea, anche di diverse compagnie.
57 il numero regolamentato dalla Omnibus Association.
3-20minuti era l'attesa mediatra una corsa urbana e l'altra.
1 ora era l'attesa media tra una corsa suburbana e l'altra.
20 era la media dei posti a sedere su ciascuna vettura.
1373 erano le vetture possedute dalla LGOC nel periodo di massimo boom.
16714 il numero di animali per trainare i loro veicoli.
75% del totale dei mezzi in circolazione apparteneva a questa società.  

1826 l'apparizione del primo omnibusa Nantes
1827 l'esportazione dell'idea a New York
1829 l'esportazione dell'idea a Londra
1832 la cessazione del monopolio delle corse urbane a Londra e l'apertura del mercato
1832 l'introduzione a dei primi tram a cavalli, a New York
1846 la nascita della Thomas Tilling Ltd

1856 la nascita della Compagnie General des Omnibus de Londres
1859 la Compagnie General des Omnibus de Londres cambia nome in LGOC 
1860 l'introduzione del primo tram a Londra -> un fallimento
1865 l'introduzione delle prime linee di tram a Londra
1870 l'emanazione del Tramways Act da parte del Parlamento britannico 
1901 l'introduzione del primo tram elettrificato


Sitografia e fonti 
Old Bailey | London History Transport
London Transport Museum | Public Transport in Victorian London: overground
20th Century London | London General Omnibus Company
20th Century London | Transport 
20th Century London | Thomas Tilling 
The Geography of Transport Systems | Omnibus
Powerhouse Museum | Horse-drawn omnibus
Wikipedia EN | Bus

Immagino che in molti preferiscano lasciare l'argomento mezzi pubblici fuori dalla propria abitazione o dall'ufficio e non doverci pensare fino al momento in cui occorre salire sul bus o sul treno di rientro. Vi capisco.
Ho viaggiato moltissimo sia con gli uni che con gli altri e io potrei rientrare benissimo nella categoria di quelli che si fanno venire l'orticaria a sentir parlare di quanto fanno schifo i treni, quanto gli orari siano scomodi, i mezzi sporchi, il servizio scadente.
Nella mia regione la situazione è particolarmente tragica, specialmente a causa della morfologia del territorio che aggrava una situazione già disperata, i biglietti sono cari, i tempi di percorrenza infiniti (2 ore per fare 60km! Una macchina che va pianissimo ce ne mette una!), gli orari e i tempi di percorrenza palesemente falsi, i mezzi vecchi e sporchi, spesso frequentati da gentaglia indisponente che, in barba a tutte le regole di FS e della società di trasporto pubblico fumano, bevono, bestemmiano e se ne fregano. A volte quando rientro in treno da qualche viaggio di lavoro (come ieri sera) e sono costretta a prendere un autobus prego perchè il supplizio finisca presto.

 
Quindi perchè parlarne? Perchè i mezzi pubblici sono un servizio più recente di quanto si crede e meno scontato di quel che si immagina e mi sembrava giusto trattare anche questo argomento sul blog (con i dovuti tempi tecnici per i quali mi detestate a morte^^)  

Il mio auguro è che sia stato interessante e che la situazione dei trasporti italiani possa presto migliorare grazie a qualche miracolo.
Un bacione a tutti e, spero, a presto




Mauser  

Le calze

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Cari amici,
come state? Spero che il vostro tempo trascorra serenamente, per quanto mi riguarda sono parecchio indaffarata in mille progetti e anche molto stanca, il primo dei progetti di cui mi sto occupando è casa mia.
Woman fastening her garter
by Edouard Manet
Vado a vivere da SOLA, finalmente posso coronare questo progetto che mi segue fedelmente da ormai diversi anni e al quale aspiravo. Data di chiusura ultima: settembre, anzi a dirla tutta io speravo luglio... Avevo tanti dubbi su questa decisione, ancora adesso la paura non manca, a volte ho qualche incertezza,
quando le spese di partenza iniziano a sommarsi, a crescere vertiginosamente saturando l'entrata dello stipendio, mi sento un po' come se stessi buttando del denaro in qualcosa di fallimentare, un'impresa nella quale vedrò come la mia gestione della vita e visione delle cose è pessima; adesso capisco molto bene il perchè in tanti si stacchino dalla famiglia solo per crearne una loro, partire da soli significa essere SOLI in tutte le circostanze, vale sì il farsi la propria vita e le proprie regole, ma anche superare problemi che, in precedenza, si sarebbero risolti insieme ad altri familiari, vuol dire non solo cucinare da soli, ma anche mangiare da soli con Bruce Springsteen che canta When you're alone come unico compagno e, alla peggio, un programma in tv.

Detto questo, oggi parleremo delle calze.
Quanto sono coerente... è proprio da me saltare di palo in frasca in mezzo secondo, ma devo troncare sennò mi metto a parlare di frigoriferi e aspirapolvere e mobilia e non vi meritate che vi tormenti con certi simili argomenti, non è roba vittoriana, non sono granchè storici e faccio già degli elmetti notevoli a tutti i miei amici e a quel santo ragazzo che mi sopporta[lo metto in grassetto sperando che ogni tanto passi a controllare cosa combino qua sopra] tediando ciascuno di loro con racconti di servizi di bicchieri e padelle antiaderenti e perorando la causa del pentolino da latte o calcolando gli sconti dei supermercati e la validità dei detersivi.
E, non lo nego, per qualche fugace momento ho addirittura ponderato l'idea di aprire un secondo blog raccontando le mie disavventure casalinghe, idea per fortuna sfumata subito visto che a stento riesco a mantenerne UNO, di blog.
Basta. Stop. Fine.

Sulla parola "calza" esiste una confusione totale perchè indica una categoria di indumenti piuttosto ampia e di fogge differenti: calzini, collant, scarpette leggere... tutto calza!
L'origine della calza è antichissima e risale a circa 3000 anni prima di Cristo, in Egitto e in Mesopotamia molti notabili della società portavano degli approssimativi calzini di lana o di foglia naturale intrecciata come segno distintivo del rango, mentre altri andavano scalzi o coi sandali.
L'etimologia del termine da noi impiegato viene dal latino calx, tallone, da cui proviene la dicitura calceus, un particolare tipo di calzatura morbida e comoda adatta a camminare in casa che svolgeva la funzione delle nostre ciabatte e che, a sua volta, si evolvette nel periodo dell'ultimo tardo romano in calcae indicante proprio una sorta di primitivo calzino che si portava dentro le scarpe come protezione o per scaldare il piede.
Questa stratificazione rende già bene l'idea del perchè le calze fossero un bene extra, comodo e utile, ma non indispensabile. Non venivano considerate un lusso come guanti e mantelli perchè si riusciva a ricavarle un po' da tutto quel che si aveva a disposizione, ma venivano utilizzate solamente d'inverno, se si aveva la possibilità di acquistarle, altrimenti la gente indossava zoccoli e piedi nudi.
The Competition in Sittacene and the Placating of Sisigambis (detail)
in Book of the Deeds of Alexander the Great

In questa raffigurazione appaiono molti uomini in calzamaglie colorate con corti farsetti alla cintola che a stento coprono l'inguine dei soggetti rappresentati.
Come ambientazione è datato circa 1400

Le calze erano care per molti motivi: la filatura, i tessuti adoperati (seta e lana) e la manodopera erano tutte costose, rendendo l'indumento nelle sue molte declinazioni, tra cui l'arcinota calzamaglia, apannaggio solo di pochi abbienti.
Quei pochi ne fecero però un vero ornamento di prestigio già a partire dal Medioevo decorandole con ricami raffinati, pizzi, trine e colori sgargianti ottenuti da altrettanto rari e preziosi materiali spesso provenienti dall'oriente e dal Mediterraeo. Alcune calze erano filate in oro e argento, rendendole perciò dei veri gioielli alle gambe di nobildonne, sovrani, amanti reali, ecc.
Il calzino cominciò a differenziarsi già dal Medioevo in due forme di calze note, una lunga, adatta da portare sotto le vesti e solitamente più preziosa e costosa, e una corta, più un pezzo di stoffa cucito alla meglio, da mettere per scaldare i piedi.
Dal 1400 circa la calza, ancora disponibil per i poveri nella "forma standard al ginocchio" si era allungata al punto da ricoprire l'intera gamba dalla punta del piede all'ombelico ed era stata introdotta nel guardaroba maschile: le si ritrovano nei ritratti dei nobiluomini e dei sovrani di tutta Europa, figure di mercanti, politici, giullari, nobili e cavalieri le sfoggiano orgogliosi quali ostentazione del proprio rango. Sarebbe rimasta un must have per 200 anni.


Illustrazione di una coppia abbigliata
secondo la moda di Edoardo II
(ca. 1300): uomini in calzamaglia e
donne senza, come cambiano i tempi!
L'introduzione era stata necessaria in quanto le vesti maschili si erano progressivamente accorciate trasformandosi in farsetti che arrivavano all'inguine ed erano considerati troppo corti per consentire la minima decenza, lasciando i genitali esposti e agli sguardi anche delle signore. Sebbene la calzamaglia fosse considerata una valida copertura, già da allora esistevano correnti che chiedevano a gran voce di coprirsi in modo più significativo, evoluzione che si è trasformato nel Manifesto del gruppo Thights are not pants.
Non fu l'unica volta che la calza divenne la sostituta delle brache, in epoca Tudor la moda delle collant da uomo era ancora diffusissima e i maschi più o meno alfa della specie umana sfoggiavano i loro attributi virili attraverso le colorate calzamaglie a volte bicolori, con patte rivestite di brillanti ed ermellini, vezzo di alcuni tra i più ricchi e cerchia alla quale Enrico VIII certo non si sottraeva (ossessionato come era dalla discendenza, poi...), alcuni uomini che non si consideravano sufficientemente prestanti imbottivano le proprie calzamaglie di lana o con specifiche imbottiture sagomate per apparire più dotati e sfoggiare virilità fuori dal comune.
Le cose però stavano cambiando. Già nel regno di Elisabetta I le calze da uomo iniziarono nuovamente ad accorciarsi per adattarsi alla nuova moda delle brache a palloncino che comandavano tutt'altro guardaroba di accessori.

Le donne, invece, non indossavano mai calzamaglie, a differenza di oggi che è considerato un capo più femminile che maschile, un capovolgimento di ruoli che si ebbe solo nel Novecento quando gli uomini, ormai avvezzi ai pantaloni, smisero le collant e si convertirono ai calzini.

Nel Seicento la calza lunga perse progressivamente terreno nei confronti della calza più corta, principalmente perchè il progressivo allungamento di brache e pantaloni annullò la necessità di coprire cosce e inguine.
In comprenso la calza a mezza gamba, di lunghezza alternabile sopra o sotto il ginocchio, divenne sempre più popolare anche tra le signore, ovviamente opportunamente ricamata e decorata a motivi floreali.
Nel Settecento le calzette bianche da signora erano l'elemento indispensabile della vita di qualsiasi donna delle categorie più fortunate, le indosavano addirittura serve e cameriere e stavano diventando sempre più accessibili grazie all'impiego di nuovi e più economici metodi di filatura usati nelle manifatture, anche quelle in fase di espansione, inoltre la recente introduzione del telaio meccanico portò enormi cambiamenti del mondo dell'industria tessile e nella produzione di filati.
Per tutto il XVIII secolo la calza rimase l'indumento unisex per eccellenza, indossato dagli uomini e dalle donne, una situazione che ritroveremo solo nel Novecento, quando la parola unisex divenne il cardine della moda degli anni Settanta, Ottanta e Novanta.
Una donna abbigliata "à la polonoise"
si aggiusta la giarrettiera mostrando le
belle gambe.
Rimasta in uso con Napoleone, una delle poche abitudini a cui permise di sopravvivere, la situazione per la calza da uomo cominciò a mutare già nei primi vent'anni dell'Ottocento quando le breeches, i pantaloni da uomo al ginocchio in voga nel Settecento, vennero rapidamente soppiantati da pantaloni più lunghi alla caviglia [per la storia dei pantaloni da uomo si veda il post di approfondimento Brache e pantaloni], ciò comportò un cambio di abitudini e i calzini si accorciarono ulteriormente, un processo durato fino ai nostri giorni..
Per le donne, invece, avvenne l'esatto opposto e  a partire dagli anni '50 sempre del XIX secolo, le calze si allungarono progressivamente durante sorpassando l'agoniata vetta del ginocchio. Come per le calze da uomo, anche qui si trattò di un processo lento che aggiunse un centimetro ogni anno per ognuno di quelli recuperati dai mutandoni che si stavano accorciando.
A fine secolo le calze da donna erano ormai lunghe fino a mezza coscia mentre negli indumenti da uomo stavano apparendo i calzini "corti", vale a dire sotto il polpaccio, ideali per le stagioni calde e i climi estivi o delle colonie.

Il secondo boom del mondo delle calze si ebbe con l'introduzione prima della fibra sintetica e poi con la nascita del collant, correva l'anno 1959 e prima d'allora le calze erano sempre state rigorosamente naturali: lana o seta, cotone, mussolina, batista, ecc.
Tutti noi lettori siamo più o meno stati testimoni di una frazione dell'ultima evoluzione dell'indumento per il quale non occorre spendere troppe parole, qualcuno di noi e di voi sarà stato tra i fautori del cambiamento: dalle prime calze a rete anni '70 ai colori fluorescenti degli anni '80, simboli di cantanti in voga come Cyndi Lauper e Madonna.



Foggia della calza
I tessuti con cui era realizzata erano principalmente cotone e seta per le calze estive e lana per quelle invernali. La foggia e i colori, tuttavia, mutarono radicalmente nel corso del tempo.
La calza originaria non era costituita da due tubuli giuntati al tallone e chiusi in punta, ma da diversi pezzi di stoffa appositamente sagomati e cuciti tra di loro.
Il pezzo più lungo era quello che copriva la parte anteriore della gamba, esso era costituito da un lungo rettangolo di stoffa tagliato in forma rotonda sulla punta per simulare il contorno del piede, a questa venivano cuciti altri due lembi che andavano a coprire i lati del piede e un semicerchio per il tallone. Si trattava però di un cartamodello molto grossolano e poco attillato alla gamba.
Nel tempo e nelle botteghe delle modiste questo mutò progressivamente e si trasformò in una forma più complicata: il lembo centrale andò a coprire non solo la parte anteriore, ma anche i lati del piede ed era poi fissato sul retro con una sola cucitura lunga fino al polpaccio, esso era inoltre tagliato ai due lati all'altezza della caviglia e lì era giuntata la parte che fungeva da pianta del piede: questo accorgimento faceva sì che la calza seguisse in maniera più precisa la fisionomia della gamba, evitando di essere larga e cadente una volta indossata. Questa particolare foggia era in voga durante l'ottocento e spesso la parte della pianta e quella della gamba erano messe in risalto da colori diversi che, quando abbinati, formavano una caratteristica V al lato del piede, rifinita con passamaneria e ricami assortiti.
I colori delle calze furono quasi sempre molto accesi e vistosi, sia per gli indumenti da uomo che da donna: il colore vistoso era sinonimo di ricchezza perchè realizzati con elementi molto cari che, quindi, erano accessibili solo ai più abbienti ed ecco perchè nel guardaroba delle grandi donne del Settecento


Accessori
Nella storia delle calze, queste ultime sono spessissimo state accompagnate da diversi accessori, molti di questi servivano per fare in modo che la calza non lasciasse la sua posizione, un'operazione difficile vista la sua posizione sul ginocchio, zona in continuo movimento, e dato che non esistevano elastici che potessero tenere su l'indumento né fibre elastiche con le quali fabbricare le calze, fino al Novecento circa, quando le stesse collant erano ancora di lana o seta, l'uso di trucchi assortiti per fare in modo che le calze non cadessero sulle caviglie a mo' di salsicciotto erano imprescindibili.
Sono due in particolare questi "attrezzi" coi quali si cercava di fare in modo che calze e calzini rimanessero dove erano stati faticosamente posizionati, la giarrettiera e il reggicalze.
Entrambi, fino alla metà dell'Ottocento, erano indossati non a mezza coscia, come ci viene erroneamente fatto credere da film sedicenti storici oppure da letture imprecise che contrabbandano idee un po' improprie, bensì all'altezza del ginocchio o poco sopra e le calze avevano la lunghezza delle moderne parigine.
Il fatto che la calza fosse fermata in una posizione così difficile, come la piegatura della gamba, rendeva estreamamente difficile il lavoro di reggicalze e giarrettiere, che spesso cadevano insieme alla calza, attirati dall'inevitabile forza di gravità.

La giarrettieraè quella che è stata introdotta per prima e segue un po' il principio della cintura.
Mancando l'elastico, il sostegno era realizzato con delle fettucce e dei nastri oppure delle cinghie di pelle e cuoio; indifferentemente dalla foggia, la giarrettiera era posta all'estremità superiore della calza o del calzino e i due lembi venivano legati intorno alla gamba con un fiocco o con la fibbia.Ovviamente più l'indossatrice era importante, ricca e di rango, più i nastri erano preziosi nella realizzazione e nelle rifiniture, spesso adorni di merletto o pizzo, decorati con fibbie di metalli raffinati e realizzati nei materiali più costosi.
Giarrettiere a nastro in preziosa seta cinese ricamata.
La parte più spessa e rifinita avvolgeva la gamba fasciata
dalla calza appena sopra il ginocchio, le strisce di tessuto
invece venivano strette sul retro e fissate con nodi e fiocchi
Alla giarrettiera femminile è legato anche un curioso aneddoto storico che coinvolse Edoardo III e una certa Contessa di Salisbury, probabilmente Giovanna di Kent, la quale, proprio per la sua posizione a mezza gamba incline al cedimento, perse una giarrettiera durante un ballo e il Re in persona la raccolse e la rimise al suo posto.
Alle risatine maliziose dei cortigiani il re rispose in francese «Honisoit qui mal y pense!» (Si vergogni chi pensa male di ciò), che divenne poi il motto dell'Ordine della Giarrettiera appunto, sopravvisutto ancora oggi e il cui simbolo è proprio una giarrettiera di cuoio con fibbia su cui è scritta la famosa frase.

Dal Settecento in poi rimase un indumento quasi totalmente femminile, mentre gli uomini si convertirono al reggicalze, il quale a sua volta arrivò nel guardaroba delle damigelle solo nel Novecento.Strana la linea temporale, nevvero?

Se la giarrettiera era considerata un indumento femminile, il reggicalze era la sua controparte maschile.
Qualcuno può tranquillamente esclamare OMG! o simili espressioni di sconcerto, se lo ritiene opportuno.
Indossato fin dal Settecento e nato come una variazione della giarrettiera stessa, il reggicalze prevedeva una cinghia di sostegno (a seconda dei modelli questa era sopra o sotto il ginocchio) e due corte bretelle ad essa cucite che andavano fissate all'orlo superiore della calza o del calzini, tenendoli su grazie al fattoo che la cinghia rimanesse ferma.
Illustrazione di alcuni modelli di
reggicalze da uomo del XIX secolo
Il reggicalze originario non prevedeva elastici, ma solo fettucce che potevano essere di pelle o di stoffa, a volte anche preziose e ricamate quanto quelle da donna. Nel Settecento fu elemento imprescindibile del guardaroba maschile quando la calza era sempre in vista sotto le brache al ginocchio, ma mantenne la sua popolarità per tutto il XIX secolo e fino agli anni Sessanta del Novecento, quando ancora lo si riconosceva in qualche personaggio maschile, finanzieri della City, broker di Wall Street, pubblicitari distinti come Don Draper (vedi reggicalze moderno da uomo).
Al giorno d'oggi è piuttosto raro, anche se ancora venduto.
Solo nel Novecento il reggicalze, con qualche variazione di stile, entrò nell'armadio delle signore, venne integrato nella biancheria intima con la guaina, che era un indumento estremamente diffuso, erede del corsetto come strumento di modellazione del corpo femminile, esso infatti lo appiattiva sulla pancia e sui fianchi, conferendo una silhouette più filiforme e proporzionata.

Il reggicalze era uno strumento più efficace rispetto alla giarrettiera per meri motivi fisici legati a cose come l'attrito e la forza di gravità. Il reggicalze, infatti, era portato a diretto contatto con la pelle, che è molto meno scivolosa del tessuto (basti pensare che una volta sotto le gonne si indossava la sottogonna appunto perchè l'indumento non assumesse forme strane e scivolasse libero senza formare fosse, pieghe o avvallamenti) e per porosità e le sostanze di cui è ricoperta forma un grande attrito con il cuoio, mentre la giarrettiera era indossata sopra la calza, perciò la sua efficacia era in parte mitigata dallo scivolamento di tessuto sopra tessuto, entrambi lisci che generavano pochissimo attrito, inoltre la pesantezza della calza stessa spesso la faceva scivolare sotto la giarrettiera, cadendo inevitabilmente verso i calcagni.

Tra mito e feticcio
Ricostruzione di calze bianche da donna
del 1800 con giarrettiere ricamate a
motivo floreale.
Molti di noi, consciamente o inconsciamente, associano la calza ad un elemento di sensualità e provocazione, a parte le caratteristiche più trash che non indagherò, la calza è da sempre stata abbinata a qualcosa che è nascosto, ma non del tutto celato ed è per questo che per lungo tempo mostrare calze e caviglie di una signora era considerato sconveniente quasi quanto circolare a seno scoperto.
Fino al Novecento l'idea di mostrare le gambe rimase un tabù inattaccabile che decadde solo con la Guerra, quando la necessità di razionare le stoffe costrinse le sartorie americane e poi di tutto il mondo a diminuire l'impiego di tessuto negli abiti, il che portò, oltre alla nascita del costume a due pezzi[si veda l'apposito post di approfondimento], anche all'accorciamento drastico della gonna all'altezza del ginocchio. E con la liberta degli anni '60 ancora un ulteriore tagli di misura presentò al mondo la minigonna e con essa le collant.
Oltre alla calza in sè che da sola rappresenta un buon punto di partenza per la seduzione femminile (coprente ma non troppo, trasparente ma non inesistente), anche gli accessori che da molto l'accompagnano fanno parte di quell'immaginario un po' voyeur, tra di loro la semprenota giarrettiera, il reggicalze indossato in vita, la guepiere, la riga posteriore fanno parte dell'immaginario di seduzione moderno e che da sempre esercita potere e fascino, fin dall'Ottocendo quando lo scandaloso cancan, il ballo del Moulin Rouge, portò alla ribalta il cabaret e le calze e le giarrettiere delle signorine che si esibivano.


Oggi
La produzione a macchina dell'indumento, molto più sagomato di una volta, l'introduzione di diverse fibre sintetiche che hanno contribuito a rendere questo capo sempre più resistente, ma anche caldo e confortevole ed economico, ha fatto sì che la sua commercializzazione crescesse di anno in anno e con essa anche l'introduzione di fantasie, stravaganze, nuovi modelli e ritorno agli albori.
A parte stelle, fiori, teschi e mimetismi nelle collezioni che ho visto sfilarmi davanti negli ultimi mesi, a parte i pantacollant, i leggings e i fuseaux, che per me rimangono tutti la stessa cosa, a parte le calze a rete che poi hanno iniziato a sovrapporsi e a bucarsi "ad effetto" e a parte i colori fluo, i calzini col bordo in pizzo sulle calze e il ritorno della riga posteriore (fatta appositamente a macchina), il pile dentro le collant e le paillettes fuori, non so che altro aspettarmi da questo indumento.
Una cosa è certa: col percorso storico che ha fatto, di cambiamenti ne ha visti davvero tanti.

Spero vivamente che il post sia stato interessante, mi piacerebbe dire a presto! ma davvero non so quando avrò nuovamente il tempo di scrivere, ovviamente mi auguro presto!.
In ogni caso un bacione grande a tutti voi,
con affetto




Mauser

Ada Lovelace, l'Incantatrice dei Numeri

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Cari lettori,
come state? Sto cercando di aggiornare con più frequenza rispetto al passato, anche se ciò non significa che io ci riesca... chiamatelo pure il fallimento del secolo.
Ada Lovelace
Dipinto riprodotto dall'originale di William Carpenter
del 1840
Ho pensato di scrivere qualcosa su grandi personaggi del passato e, in particolare, ho selezionato la figura di questa donna, Ada Lovelace, per chiudere un po' il cerchio con gli altri personaggi femminili sui quali mi ero soffermata, a volte in coppia col consorte col quale hanno diviso la propria passione artistica o culturale, altre volte temerarie anime libere dedite a scienze e passioni completamente distanti dai loro parenti e mariti, per vedere cosa è stato scritto in passato vi rimando alla sezione delle Biografie.
In tutto ciò però mi sono accorta che la maggior parte di queste donne ha dimostrato doti più umanistiche che scientifiche e così oggi ho deciso di proporvi una minibiografia di questa Ada Lovelace che, sono sicura, appena inizieremo a parlare vi ricorderete subito.



Domanda a tema prima di iniziale: quale fu il più noto e controverso personaggio della Reggenza londinese? Il dandy senza etica  né morale che divenne emblema di un modo di vivere e di percepire l'esistenza?
La risposta è lì sulla punta della lingua ed è, of course, Lord Byron.
Cosa c'entrano Byron e Ada Lovelace? Fu lei forse una delle sue innumerevoli e chiacchierate amanti? No davvero, Ada fu infatti la sua unica figlia legittima.
Ada, il cui nome di battesimo fu Augusta Ada Byron fu il frutto di un'atipica unione tra il chiacchierato poeta George Byron e la matematica inglese Anne Isabella Noel Milbanke.
Annabella era un singolare esemplare femminile dell'epoca che fece dell'intelletto la sua vocazione e dell'amore il contorno della sua esistenza, anziché la portata principale, a differenza della maggior parte delle sue coetanee.
La madre di Ada, infatti, dimostrò fin da giovane un'acume e una spiccata intelligenza matematica che portarono la sua famiglia ad affiancarle per anni un precettore laureato a Cambridge per istruirla, ciò la condannò però alle critiche della benpensante società del tempo, per la quale essere intelligenti e colti in molte materie era più una vergogna che un merito, se si era donne.
Di lei scrivono:
Anne studiò molte materie, dai classici alla letteratura, dalla filosofia alla scienza fino alla matematica, ambito in cui era particolarmente versata. Con gli anni Anne divenne una donna religiosa, con una morale ben precisa. Conscia del proprio intelletto non si vergognava di mostrarlo al pubblico e spesso veniva descritta come fredda ed altezzosa.
Alla soglia dei trenta Anne Isabella era ancora nubile, o meglio zitella, ma invaghita del decadente poeta Byron, iniziò una fitta corrispondenza epistolare che la portò, superata l'età da marito, a farsi impalmare nel 1815.
Molti considerano l'evento sotto l'etichettà: "L'imprevedibile unione e la prevedibile separazione", ma fu davvero così? Qualcosa l'uno nell'altro dovevano pur aver trovato se erano arrivati al punto di sposarsi, data la caratteristica di entrambi di irriducibili single... del senno di poi son piene le fosse cita il proverbio e forse è più sulla base dei cliché che si basa la malignità che accompagnò e tutt'oggi attornia l'unione di due caratteri a tratti simili e a tratti diversissimi.
A parte le speculazioni, fu un fatto di cronaca che tra difficoltà economiche, incomprensioni caratteriali e relazioni extra coniugali da parte di Byron, alla fine dello stesso 1815 i due fossero già in via di rottura, Anne Isabella tuttavia era già incinta di un figlio di Byron, o meglio una bimba.
Aiutata nella gravidanza da Augusta Leigh, sorellastra di Byron e forse sua amante, Anne Isabella partorì la piccola Augusta Ada Byron, chiamata così in onore proprio della cognata. Ma poco dopo la sua nascita, ancora in crisi finanziaria, Byron allontanò la moglie da Londra e questa fece definitivamente ritorno alla casa dei genitori. Non si sa bene se la moglie di Byron abbia usato la scusa di un qualche disturbo psicologico del marito per allontanarsi da lui, delusa dalla relazione e dai continui problemi coniugali, o se pure egli avesse dimostrato effettive forme di pazzia, tuttavia ella non fece mai più ritorno dal poeta e portò con sé la piccola.
La separazione legale fu estremamente burrascosa: sponsorizzata dai genitori di lei e osteggiata dallo stesso Byron e dalla sorellastra, che pregò spesso la cognata di ritornare col fratello, forse per ripristinare una facciata di rispettabilità e coprire l'amore incestuoso che divideva con George Byron. Quando Annabella diede voce esplicita al sospetto di questo amore, il marito le concedette senza esitazione la separazione e la tutela della piccola, per molti questa fu la prova che la sua relazione clandestina con Augusta Leigh era tutt'altro che una malalingua e un possibile affioramento ufficiale della notizia rischiava di compromettere anche legalmente le vite dei due amanti.
Ritratto ad acquerello della
Contessa di Lovelace
by Alfred Edward Chalon
Nella sentenza ufficiale di separazione la tutela e l'educazione di Ada vennero lasciate completamente alla madre, cosa insolita dato che la legge inglese prevedeva che la custodia dei figli in caso di divorzio andasse al padre, ma Byron non rivendicò mai i suoi diritti genitoriali e Annabella istruì la bambina principalmente nelle materie scientifiche (temendo che quelle classiche potessero influenzarla in modo  negativo come il padre) affiancandole precettori di tutto rispetto tra cui William King, William Frend e Mary Somerville.
A seguire, e visto il grande talento matematico che Ada dimostrò, divenne suo precettore il celebre logico e matematico Augustus De Morgan.
Ada non ebbe mai contatti con Allegra Byron, la sorellastra nata dalla relazione del padre con Claire Clairmont, mentre venne a sapere dalla madre che la cugina Medora Leigh era in realtà la sua sorellastra, nata dall'amore proibito del padre con la sorella. All'apprendere la notizia, Ada non ne rimase particolarmente turbata, ma nonostante fosse stata educata dalla genitrice nella totale mancanza di rispetto verso il padre, Ada assegnò gran parte della colpa della relazione ad Augusta Leigh, considerandola una donna immorale e malvagia, mentre, con scarsa gioia della madre, la reputazione del padre sopravvisse senza graffi.


La formazione culturale di tutto rispetto di Ada lasciava supporre che sarebbe diventata un ottimo cervello scientifico, ma, degna figlia di due intelligentissimi genitori, la ragazza divenne un autentico luminare della matematica applicata e forse la prima fondatrice degli algoritmi di calcolo e computazione che stanno alla base del funzionamento delle cosiddette "macchine pensanti", volgarmente: computer.
Sì, proprio come quello che stiamo usando voi ed io per scrivere e leggere questo post che la riguarda.

Nel 1833, divenuta adulta abbastanza per prendere parte ai divertimenti di Londra, Ada frequentò la Corte, partecipò a molti ricevimenti e intrattenne amicizie con grandi personaggi del tempo tra cui Charles Dickens, ma soprattutto Charles Babbage
Perché questo due personaggio fu così importante? Non è noto come Dickens, almeno nella vita quotidiana dei più, ma nulla del nostro mondo ipertecnologico fatto di smartphone, computer, calcolatrici, satelliti e comunicazione esisterebbe senza di lui, Babbage fu infatti il primo che ipotizzò la realizzazione di un calcolatore programmabile e, per tutti gli informatici come me, egli è noto come il primo creatore di preistorici computer, noti appunto come macchine di Babbage in grado di eseguire autonomamente conti e operazioni sfruttando la meccanica, questa invenzione precorre i principi dei calcolatori numerici universali del XX secolo introdotti a cavallo degli anni Trenta in Europa e messi in uso effettivo durante la II Guerra Mondiale nel difficile compito di decifrare Enigma, il sistema tedesco di crittografia dei dati (per info vi rimando a pubblicazioni apposite e vi consiglio il figlm Enigma).
Ada intrattenne una fitta corrispondenza con l'inventore e matematico, pevalentemente di carattere scientifico, lui rimase estrmamente colpito dalla sua intelligenza e perspicacia e la chiamò affettuosamente Incantatrice dei Numeri. Babbage non fu l'unico col quale la figlia di Byron si relazionò nel ramo dello sviluppo scientifico-tecnologico, per esempio John Herschel e un altro grande pensatore: Luigi
Un fumetto moderno e molto ironico
rappresenta Ada Lovelace al lavoro

Menabrea
, italiano, propose interessanti modifiche alle macchine di Babbage portandole a divenire parenti strette delle macchine di Touring, i primi veri computer della storia (circa 1940) con 100 anni d'anticipo. 

Ada e Menabrea discussero a lungo delle possibilità delle macchine analitiche, la stessa inglese realizzò un algoritmo per il calcolo dei numeri di Bernoulli attraverso uno di questi macchinari intuendo per prima l'idea di loop e di ciclo di operazioni ripetuto o sotto programma, questo articolo che corredò agli scritti di Menabrea è considerato il primo algoritmo della storia e oltre a tradurlo in inglese, contribuendo a far conoscere il suo pensiero anche negli ambienti culturali scientifici dell'Inghilterra del suo tempo, anche grazie al marito: nel 1835, infatti, sposò William King, Conte di Lovelace, dal quale acquisì titolo e supporto nel campo delle sue ricerche e al quale diede tre figli: Byron, Anna Isabella (detta Annabella come la madre) e Ralph Gordon.
Quando furono abbastanza grandi per prendere lezioni, Annabella Millbank assegnò alla famiglia della figlia William Carpenter come precettore dei nipoti e guida morale della ragazza, Carpenter rimase estremamente colpito da Ada e dalla sua intelligenza, incoraggiandola a sperimentare e dare sfogo alle sue teorie matematiche, assecondando i suoi pensieri scientifici e la sua natura in cerca di risposte, ma quando Ada comprese che l'istitutore stava cercando di avere una relazione con lei tagliò completamente i ponti.

Ada Lovelace morì giovane all'età di 36 anni a causa di un cancro uterino, venne seppellita accanto al padre che non conobbe mai da vivo.
La sua vita fu un passaggio continuo tra diversi estremi, sballottata tra l'oggettivtà e l'emotività, tra la poetica e la matematico, tra la malattia e l'esuberanza della salute.
Ada Lovelace fu senza ombra di dubbio una donna geniale, dotata di talento matematico, di intuizione, capacità di risolvere problemi, aperta alle opportunità della tecnologia che ella stessa contribuì a creare: vide con lungimiranza l'impiego delle macchine di Babbage come esecutori di operazioni, conti, algoritmi e, incredibilmente, anche di musica.
Quando Twitter non c'era...
Ada Lovelace: una donna che precorre i tempi


Ada Lovelace godette di popolarità nel suo tempo, ma soprattutto ai giorni nostri dove è stata riscoperta e rivalutata e altrettanto i suoi algoritmi, i suoi scritti e i suoi pensieri, a lei è dedicato il programma di unificazione dei linguaggi di programmazione, chiamato per l'appunto ADA, è inoltre la rappresentante ufficiale delle donne impegnate nel campo della ricerca scientifica e tecnologica.
Google l'ha celebrata con un doodle che la raffigura nell'atto di scrivere un algoritmo e le accosta le possibili applicazioni delle potenzialità della macchina analitica che cosntribuì a realizzare.


Sitografia e bibliografia
Ritratto di Ada Lovelace
by Margaret Sarah Carpenter


Wikipedia IT | Ada Lovelace
Wikipedia EN | Ada Lovelace
San Diego Supercomputer Center | Science Women | Ada Lovelace
Wikipedia IT | Luigi Federico Menabrea
Il Post | Chi era Ada Lovelace
Storia informatica | Ada Lovelace
Biography. True Story | Ada Lovelace Biography
The Ada Initiative | Deleting Ada Lovelace fromt he history of computing
Windoweb | Biografie dei padri dei computer | Augusta Ada King Lovelace
Well.com | Ada the Enchantress of Number TIMELINE 
Science Museum | Ada Lovelace 

Betty A. Toole,Ada, the Enchantress of Numbers: A Selection from the Letters of Lord Byron's Daughter and Her Description of the First Computer
Lucy Lethbridge,Who Was Ada Lovelace?
 

Tre manga tratti da Jane Austen presto in Italia

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Che Jane Austen sia un'autrice che da tre secoli a questa parte vende bene, non credo sia una novità, da sempre caratterizzata da un grande successo di pubblico (e solo nell'ultimo secolo anche di critica), Jane Austenè senza ombra di dubbio una delle ispiratrici delle vicende romantiche con plot moderno, i suoi romanzi sono stati letti ininterrottamente da tre secoli e continuano a riscuotere successo e legare a sé fedeli lettori.

Con i mash-up, le orribili rivisitazioni dei classici in salsa pseudo-horror, abbiamo imparato che per quanto mediocre sia la produzione, sfruttare il nome e il successo di un altro autore, nonchè la sua storia, è fonte se non di successo almeno di popolarià e chiacchiere.
Non che sia una novità, il cinema questa cosa l'ha imparata fin dall'inizio della sua storia, quando le pellicole erano in bianco e nero e la recitazione muta dei classici della letteratura dava nuovo sapore a vicende che più trite non si può, alla meglio intervallate da schermate con i dialoghi. La musica, poi, si trovava direttamente in sala insieme agli spettatori.

Non solo il cinema e non solo gli approfittatori conoscono questo metodo: un'altra considerazione portataci qualche post fa (cfr. Anna dai capelli rossi by Yumiko Igarashi) è che il mondo dei manga ha spesso e a volte con successo saccheggiato la letteratura e la narrativa occidentale, specialmente quella dell'Ottocento, un po' copiando e un po' ispirandovisi.
I prodotti di questo filone d'ispirazione europea sono tantissimi e qui ne abbiamo visti pochi, dopotutto il tempo è quello che è e io sono da sola... così non ho mai parlato dei manga ispirati da zia Jane e i suoi romanzi.
Adesso quei manga arriveranno in Italia e credo che sia il caso di menzionarli, giusto perchè i lettori sappiano cosa aspettarsi e perchè gli appassionati di manga o di Jane Austen sappiano che arriveranno certe cose e magari ci riflettano sopra.

È infatti notizia di qualche settimana fa che l'autrice Reiko Mochizuki arriverà nel nostro Paese con due sue opere ispirate dai romanzi di zia Jane in compagnia della sua "collega"Youko Hanabusa, già autrice di Lady!! (qualcuno lo ricorderà dall'infanzia come l'anime Milly un giorno dopo l'altro) che porterà il terzo romanzo ispirato ad Emma.



Il manga di O&Pè a mio avviso molto carino e nonostante l'evidente influenza stilistica proveniente dalla miniserie BBC (che evidentemente la Mochizuki ha guardato) e che si nota specialmente nella caratterizzazione estetica di Lizzie e di Darcy, è un prodotto valido e molto gradevole, fresco e leggero come una brezza primaverile.  
Ottima la ricostruzione storica dell'abbigliamento, dove devo fare nota di merito ai cache-col di Darcy, belle anche le collanine di Lizzie e le pettinature, a mio avviso molto graziosi anche gli occhi delle ragazze, solari e sorridenti.

Una Jane opportunamente bella, ma sacrificata, fa da contraltare ad una suscettibile Lizzie, Jane a quanto pare non riesce a liberarsi del complesso della comprimaria di cui mi ero già ampiamente lamentata in passato; stando ai prodotti moderni Elizabeth Bennet rimane la protagonista indiscussa di Orgoglio e pregiudizio, sempre per quella questione che un prodotto troppo corale al giorno d'oggi non piace più come invece piaceva ai tempi in cui la Austen lo scrisse...

Le sorelle di Charles Bingley tornano ad essere due (la primogenita Louisa Hurst di solito la si dimentica per strada) e non più solo la spocchiosa Caroline come accaduto nel film del 2006, dove era pronta per un bordello (quello è il suo abito da sera) prima di vestire i panni della fidanzata di Watson, ma come si può volergliene? Caroline Bingley da sola porta più distruzione del tifone Katrina, si riesce a fare a meno della petulante sorella sposata quando Caroline occupa la scena con la sua espressione disgustata.

Suggerisco assolutamente di leggere questo manga alle appassionate di Jane Austen, si tratta di due volumi e quindi di un'opera breve che si può tranquillamente restituire o rivendere se non la si gradisce, ma credo che sia molto bello e una variante inconsueta dell'originale, così come un modo per avvicinarsi con meno pregiudizio al mondo del manga: dopotutto è la stessa Austen che ci insegna che i pregiudizi sono assolutamente dannosi ;)


Oltre ad Orgoglio e Pregiudizio arriverà in Italia anche Ragione e Sentimento, qui si nota che evidentemente la Mochizuki ha un chiodo fisso su come debbano essere i protagonisti maschili (il nostro Edward Ferrars è uguale al Darcy di prima!) e comunque non si tratta di un canone così da buttare, insomma ho visto di peggio...
A mio avviso il manga di Ragione e sentimentoè un poco inferiore a Orgoglio e pregiudizio e anche qui sacrificano un po' le coppie, purtroppo non potendo passare in secondo piano una delle due come fatto con O&P qui sia Elinor&Edward e Marianne&ColBrandon risultano tratteggiati superficialmente in quanto a caratteri, anche perchè siamo di fronte ad un volume unico e non più a due come accadeva nell'altro caso. Speriamo bene...

Sostanzialmente con questo manga cambia la trama, ma il tratto resta lo stesso che avevamo visto poc'anzi così come la caratterizzazione estetica e dell'abbigliamento. Da acquistare se avete apprezzato già O&P oppure se siete delle accanitissime fan di questo libro della Austen, come la sottoscritta.
La copertina originae di Ragione e sentimento assomiglia pericolosamente a quella di un Harmony perchè questo manga fu pubblicato originariamente nella collana degli Harmony giapponesi, la stessa che qualche anno fa propose anche Cime tempestose e la versione romanzata della storia di Lady Diana [sì, ne hanno fatto un manga].


Infine un'incursione tra i manga di Youko Hanabusa, che ci proporrà il terzo adattamento: Emma.
Questo manga è veramente recentissimo in quanto trasposto in volumetto solo di recente e sono felice che la Goen abbia scelto di pubblicarlo.
La Hanabusa, autrice di Milly un giorno dopo l'altroè la classica autrice che dal feuilleton di stampo XIX secolo ma creato nel Novecento e la sua opera più famosa ne è la prova. Anche il suo stile richiama chiaramente opere come Candy Candy, il che può essere si aun pregio che un difetto...
In Emma la Hanabusa mantiene il suo bel modo di disegnare e si rifà al modello maschile della Mochizuki, prendendo però a piene mani dal film con protagonista l'allora giovane e bella Gwyneth Paltrow.
QuestaEmma a mio avviso sembra un po' una pecora, ma non ho avuto modo di curiosare all'interno del volumetto e quindi a parte la copertina (che potrebbe essere ingannevole) non so bene come catalogare il disegno finchè non lo avrò tra le mani.

Sono estremamente soddisfatta di questa risoluzione della Goen di proporre i manga di Jane Austen e spero che proseguano su questa scia, non penso comprerei mai il Cime tempestose manga perchè odio quel libro [lo so, a volte i gusti sono strani], però un Jane Eyre mi piacerebbe da impazzire!
E voi cosa ne pensate?

Links
Manga-pappa | Goen annuncia i manga di Orgoglio e pregiudizio
Vorrei essere un personaggio austeniano | Emma: un altro manga austeniano
Vorrei essere un personaggio austeniano | Il manga di Emma presto in Italia
Vorrei essere un personaggio austeniano | Se Jane Austen incontra il mondo dei manga...
Jane Austen Forumcommunity | Funbetsu to Takan by Reiko Mochizuki
Jane Austen Forumcommunity | Kouman to Henken by Reiko Mochizuki
Animeclick | Emma di Jane Austen diventa un manga di Youko Hanabusa
Geejay Projectmanga | Manga Orgoglio e Pregiudizio in Italia

Un bacio e a presto




Mauser

100 e 200, buon compleanno a Charles Dickens

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Cari lettori,
sicuramente ve ne sarete già accorti girovagando per la rete o sulla televisione, del giorno che è oggi.
Sì, è il 7 febbraio ed è l'anniversario di nascita di Charles Dickens.
Ma non un anniversario qualsiasi, bensì il duecentesimo anniversario dalla sua nascita avvenuta proprio il 7 febbraio 1812 presso Portsmouth.

Come certo ormai saprete leggendomi, Dickens non è solo uno deglia autori che cito maggiormente per la completezza descrittiva e il taglio sociale delle sue opere, ma è il mio autore preferito su tutti. Anche se non è suo il libro che amo maggiormente, Il giardino segreto, è il suo stile e il suo modo di raccontare che amo e ammiro e che, se mai deciderò di coltivare velleità letterarie, vorrei riproporre mescolato al mio perchè è indubbio che il mio modo di scrivere venga da lui essendo i suoi libri miei fedeli e diletti compagni di quell'avventura che chiamano adolescenza, un periodo per tutti un po' pieno di dubbi e contraddizioni.
Charles Dickens mi ha avvicinata alla letteratura e ai classici, ma soprattutto alla storia vittoriana e considerando il blog che sto scrivendo, non penso sia trascurabile.

Vi sarete senz'altro accorti che per nessun autore ho fatto menzione del compleanno, quando questo avviene, dopotutto si tratta di persone morte e sepolte... però per Dickens quest'eccezione devo farla, è una questione di rispetto che voglio rivolgere nei confronti di una persona che, seppure indirettamente, ha saputo darmi tantissimo, mi ha aiutata nei momenti meno idilliaci e mi ha insegnato molto.

In questo giorno alcune televisioni si sono già mobilitate al riguardo, le edizioni del mattino, se non subissate di notizie di prima mano dal fronte o di altre news di interesse planetario fanno sempre una piccola menzione a questo personaggio e ammetto che il doodle che Google ha dedicato al duecentenario dell'autore è delizioso, molto calzante, riassuntivo e realizzato con un tratto gentile ma definito che riassume bene le caratteristiche sia del romanzo che dei personaggi che ripropone.
Mi piace da morire e quindi ve lo ripropongo anche qui =)



Ma oggi, il 7 febbraio non è solo un anniversario di compleanno, è anche una data da festeggiare. Vuoi per benevola intercessione del nostro Charles, vuoi per chissà cos'altro, oggi abbiamo due eventi da ricordare.

Il primo è che grazie al progetto Carbon Neutral e a tutti coloro che hanno sponsorizzato questo banner e l'iniziativa ambientalista, quest'anno sono stati piantati 800 alberi a integrazione della semidistrutta foresta mondiale che viene via via cannibalizzata da impresari senza scrupoli e senza cervello con l'occhio puntato solo al profitto.
Avatar sarà pure un film moralista e con una trama mediocre e già vista alla Pocahontas, ma ha delle radici molto veritiere sul comportamento umano e la sua aggressività e dobbiamo stare attenti a non finire proprio nello stesso modo, affamati di materiali, di terra e di natura, di specie nuove e di spazi perchè i nostri, il nostro pianeta, la nostra Terra l'abbiamo distrutta con l'inquinamento, l'incuria e la devastazione.
Ho trovato molto toccante (e ringrazio per l'interessamento) la mail inviatami dal comitato di CO2Neutral, ve la ripropongo nella speranza di sponsorizzare ancora un poco quest'iniziativa adesso e per il futuro:
Ci siamo quasi! L'obiettivo di Co2neutral era di piantare 1.000 alberi in 12 mesi e oggi, grazie anche al tuo contributo, è già nata una piccola foresta di oltre 800 alberi!Ti chiediamo, se puoi, un ultimo sforzo: se riusciamo a raggiungere i 1.000 alberi piantati entro fine Febbraio, iPlantatree.org pianterà in aggiunta  altri 100 alberi per premiare la nostra attività!


Infine qualcosa di molto meno alto, elevato, poetico, idealista: oggi il Georgiana's Garden, il giardino dove insieme si scopre la storia del passato, dell'epoca georgiana e vittoriana, ha conquistato il suo 100° follower.
So che può esere qualcosa di scontato, ma per me è un traguardo molto importante, quando cominciai a scrivere si trattava di un progetto veramente di nicchia, a seguirlo eravamo in pochi, a scrivere siamo ancora pochi, ma è bello vedere che si tratta comunque di qualcosa che suscita curiosità e interesse ed io spero sempre che tramite questi approfondimenti, per quanto sporadici, si possa imparare tutti qualcosa di più, si riesca a scoprire la bellezza di un periodo storico, ma se ne vedano anche le brutture in modo da poterlo considerare con obiettività, senza preconcetti o pregiudizi che troppo spesso portano le persone a parlare prima di pensare senza sapere minimamente dell'argomento interessato.

Piano piano il progetto del GsG, tra alti e bassi (principalmente miei e dei mio altalenante umore, così come dei miei molteplici interessi) va avanti e si approfondisce qualcosa di più, post di libri e di film, anteprime, fumetti... si parla di abitudini e di etichetta, di cucina, di case, di ricette, di luoghi e di tante altre cose. Si parla anche di persone.
Ed è bellissimo veder condivise tra tanti queste cose, certo un po'è l'orgoglio personale di essere stata capace di realizzare qualcosa di interessante e di successo, ma la cosa che mi fa gonfiare il petto è che si tratti di storia, quella parola che non si deve pronunciare in compagnia perchè sai la storia è noiosa, è vedere che il pregiudizio della storia fatta di date si può anche sfatare interessando il pubblico.

A tale riguardo vorrei ringraziare le due professoresse che nel corso della mia vita hanno saputo cambiare prima di ogni altro in me questo pregiudizio, due donne stupende che mi hanno affascinata con il loro modo di fare e di raccontare, ma soprattutto di approcciare la storia, cambiando in me il disinteresse in interesse verso questa materia.
Siamo online ed io, sapete, alla privacy ci tengo, quindi non farò i loro veri nomi: ad A.P., insospettabile insegnante di musica, storia e geografia, donna straordinaria, affettuosa, formidabile e simpaticissima, travolgente, umana e amica senza mai perdere la dignità d'insegnante che troppo spesso certi dimenticano d'indossare al mattino prima di andare a scuola.
Una di quelle insegnanti che gli alunni bramano di compiacere e che riuscirebbe a farti apprezzare due ore di lettura dell'Ulisse di Joyce neanche fosse Matrix. Una donna che ha avuto il coraggio di darmi un voto più che positivo di musica e canto nonostante io sia notoriamente stonatissima asserendo che non è il risultato più evidente, quello che un insegnante deve giudicare, ma il percorso fatto, l'intraprendenza, l'impegno, la costanza e la buona volonta. Perchè è la tenacia a doverci guidare e non la carota.

A R.B. che ha fatto della cultura un'arma di forza e ha dimostrato che si può essere colti, preparati e intelligenti senza per forza essere sciatti o una professoressa zitella insostenibile; una professoressa decisamente all'antica, di quelle che alla disciplina ci tiene più che ad essere accettata come amica dei suoi studenti e riesce a mantenerla senza urlare e senza fare scenate in una classe di scalmanati, che saprebbe gelare il sangue con una sola occhiata e costringere il più lavatico a correre a ripassare la lezione; di quelle professoresse che le amano uno su un milione perchè gli altri sono troppo impegnati a digerire il tre in pagella parlandone male, di quello stampo d'insegnante che sanno dare un votaccio a un qualcuno perchè ha osato pensare che la storia fosse una materia insegnata a tempo perso e che quindi non meritava di essere studiata. Di quelle che saprebbe argomentare qualsiasi cosa e ci si chiede perchè non si trovi in tribunale. Che potrebbe convincerti sul serio che la storia va studiata e alla fine si è costretti a dare ragione. Una professoressa che non so cosa dare per avere come amica e per poter discutere con lei degli argomenti più disparati, ma a cui non ho mai osato rivolgere neanche un saluto informale perchè non siamo in pizzeria... e che non trasforma tutte le sue lezioni in sedute psicologiche facendosi raccontare gli affari dei suoi studenti.
Una donna che ancora difendo alle riunioni di ex compagni perchè a tutt'oggi vittima delle battutacce dei miei compagni insoddisfatti a cui la sua disapprovazione brucia ancora più che la rimandatura.

Due donne diversissime che non si conoscono e difficilmente le faranno (la logistica è la logistica), ma che hanno contribuito a formare la donna che sono oggi, che hanno avuto il grande pregio di saper guardare oltre l'immagine di insegnante-studentessa e oltre tutto ciò che questo rapporto comportava, vedendo la ragazza che ero davvero. Insegnanti estremamente colte, preparate e brave nel loro lavoro che non mi hanno mai giudicata né l'hanno fatto con le scelte e le circostanze che hanno accompagnato la mia vita.
A loro va un grazie di cuore, probabilmente senza sapere che quella che ero una volta è diventata quella che sono oggi, che mai andrebbero a pensare di ritrovarmi su un blog di storia, a scrivere di storia, a pensare di storia e a ridere di ciò. A parlare anche di loro.

Buon duecentesimo anniversario della nascita di Charles Dickens.
Grazie a tutti coloro che mi seguono con fedeltà e passione, sono onorata e felicissima di conoscere tutti voi.
Nella speranza che CO2Neutral possa presto raggiungere il suo obiettivo.
Un bacio a tutti quanti




Mauser

Come la Ikeda illustrò gli Asburgo

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Ultimamente sto parlando parecchio di manga e mangaka anche sul blog, uno direbbe: cosa c'entrano i fumetti con la storia? E avrebbe ragione, se non fosse che un sacco di autori si sono cimentati con ambientazioni secolari per le loro storie, location che spaziano dall'Inghilterra alla Francia, agli USA.
Di tutti i manga storici è difficile identificare quale sia il migliore o il più emblematico, per quanto mi riguarda la palma del manga storico migliore che ho letto, il più fedele ma ugualmente interessante e avvincente va ad Anatolia story, trenta volumi stupendi illustrati dalla bravissima Chie Shinohara che ha saputo spostare l'interesse su una civiltà quasi dimenticata, gli Ittiti e allestire una vicenda credibile e storicamente abbastanza attendibile da non gridare alla vergogna. Se non vi fosse ancora capitato e foste allo stesso tempo appassionati di storia antica, amore e avventura Anatolia story merita di avere una possibilità.
Un'altra autrice che secondo me ha prodotto qualcosa di valido storicamente parlando è Chiho Saito, famosa per le sue storie d'amore struggenti e appassionanti tra gentili fanciulle, ufficiali, località esotiche e costumi scenografici, anche di lei consiglio la lettura, ma mettetevi nell'ottica che molte delle sue vicende sono strazianti, donne infelici che piangono disperate amori non realizzabili, vite semidistrutte dalla convenienza e dalla violenza, ambizione a gogo... insomma, fate voi.
Ma per quanto riguarda l'autrice che forse più di altre viene ricordata per un manga storico, un manga che è l'emblema stesso del genere manga-storico, allora nessuno credo possa spodestare la Ikeda, osannata creatrice di Lady Oscar per coloro che hanno qualche anno, poi ripubblicato col nome di Le rose di Versailles. Autrice tra l'altro di uno dei capisaldi delle storie "fanciulla in collegio", ovvero Caro fratello e di due manga biografici dedicati rispettivamente a Napoleone (Eroica) e ad Elisabetta I (Elisabetta, la regina che sposò la patria).

Che Riyoko Ikeda abbia un debole per la cultura e la storia europea, così come le sue tradizioni, non è un segreto, è spesso esternato la sua ammirazione per il rinascimento italiano, l'intenzione di produrre un manga dedicato a Giulio Cesare e il suo lavoro sulla tradizionale Ciclo dei Nibelunghi celebrato da Wagner ne è la prova.

Una cosa meno famosa è che la Ikeda, per essere all'altezza dei manga che ha disegnato e creato ha studiato moltissimo la storia europea e le sue dinastie alla ricerca non solo dell'attendibilità, ma anche dell'ispirazione derivata da qualche figura storica realmente esistita, da questi suoi studi sono emersi diversi bozzetti con protagonisti alcuni dei più famosi ritratti dei reali della famiglia Asburgo.

Questi studi e queste illustrazioni sono state esposte per la prima volta ad una mostra tenutasi a Tokyo nel 2010 e dedicata alla celebre famiglia che conta teste coronate a iosa, ecco i bellissimi disegni che sono apparsi alla mostra e ditemi voi se non sono stupendi, vi proporrò prima il quadro a cui l'autrice si è ispirata e poi il risultato della sua illustrazione.

Maria Teresa d'Austria
Kaiserin Maria Theresia im Alter von elf Jahren
L'imperatrice Maria Teresa all'età di undici anni
by Andrea Moller
 Castello Hetzendorf

La rivisitazione eseguita da Riyoko Ikeda del dipinto
(Teresa qui appare molto più adulta degli undici anni che ha nel dipinto originale)


Elisabetta di Wittelsbach 
Imperatrice d'Austria (Sissi)
Empress Elisabeth of Austria in dancing-dress
L'imperatrice Elisabetta in abito da ballo
by Franz Xaver Winterhalter
Museo dell'Hofburg, Vienna

La rivisitazione disegnata da Riyoko Ikeda
(Questa Sissi ha lo sguardo un po' cattivo della Iriza di Candy, non trovate?)


Margherita Teresa d'Asburgo
Infanta di Spagna
Las Meninas (particolare)
Le dame d'onore
by Diego Velàzquez
Museo del Prado

La rivisitazione disegnata da Riyoko Ikeda
(Che le Infante di Spagna non fosse una bellezza si sapeva, ma Margherita Teresa era proprio bruttina, oserei dire che non si potesse che migliorarla e sia Velazquez che la Ikeda hanno lavorato sodo)

Spero che sia stato un breve ma ugualmente grazioso excursus nel mondo della rivisitazione dell'arte e che sia stato piacevole come per me scriverlo.

Un bacio e a presto





Mauser

Hysteria: il film

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A romantic movie on technology, rights, women and pleasures, soft and funny which will be a success on cinemas all around the world.

Cari lettori,
oggi vorrei parlarvi dell'ultimo film che sono andata a vedere al cinema insieme alle mie amiche, un film un po' controverso (per via dell'argomento) e su cui qualcuno di certo storcerà il naso, ma comunque ambientato in epoca vittoriana e quindi, per amore del mio mestiere di scrivana del tempo passato, sono andata a guardare.
Signore e signori, parliamo oggi di Hysteria.



La trama potrebbe essere delle più sciocche, magari messa su alla bell'apposta per far parlare di sé, ma a difesa di questo lungometraggio posso sinceramente affermare che quell'argomento tanto scabroso di cui si parla è tutto una grande montatura e il film presenta aspetti e risvolti nascosti degni di nota sulla fotografia del mondo vittoriano, un'immagine quasi priva dei pregiudizi moderni che troppo spesso fanno capolino nei prodotti contemporanei ambientati nel passato. Se dobbiamo rivolgerci ad un film che parla della nascita del vibratore per vedere come era davvero la società dell'epoca, allora facciamo posto tra i pregiudizi, per quanto mi riguarda ogni fonte è ben accetta e questa non vale meno di altre.
Non è un film porno, questo è da chiarire subito, non ci sono allusioni spinte o scene sconce, a dire il vero credo che tratti l'argomento della sessualità solo con sottili accenni e giochi di parole in maniera molto più casta e raffinata di quanto fatto in altre produzioni storiche decisamente più carnali, dai Tudors che spopolavano in televisione alle varie serie di Elisa di Rivombrosa, dove amplessi e quant'altro erano il condimento di ogni puntata.
Come certo saprete né il romance né certi condimenti di trama mi spaventano, ma quando è troppo è troppo! Stiamo parlando di una certa epoca storica: e mettiamoci un po' di coerenza! Beata ingenuità degli sceneggiatori...

La trama
A differenza di quel che si può credere, non è l'impronunciabile massaggiatore (questo il suo primo nome e comunque ancora tabù) il protagonista del film né lo è il giovane e affascinante dottore Mortimer Granville, bensì a mio parere l'intera produzione ruota intorno alla condizione femminile in generale, mostrandoci con la scusa dell'oggetto tabù una interessante carrellata di quelle che erano più o meno le forme e le ideologie femminili nell'anno 1880. Si parla di un oggetto da donne, ma l'oggetto passa assai in secondo piano fin troppo rapidamente, non è che lo stratagemma per mostrarci la carrellata di tipi di donne e le varie filosofie di esistenza di queste.
L'incipit del film parte con il primo modello femminile, la donna agiata vittoriana, che rinchiusa in una gabbia di pudore e inibizione (si vedano le regole sociali e di etichetta e comportamento e tutto il bla bla bla correlato) manifesta la propria frustrazione attraverso forme diverse da quelle istintive legate alle funzioni primarie come mangiare, accoppiarsi o sfogarsi nello sforzo fisico, di queste forme collaterali una e la più teatrale è l'isteria di cui si parla nel titolo.
Dell'isterismo ha fatto la sua professione il dottor Dalrymple, stimato professore di medicina che cura le sue pazienti con massaggi alle zone genitali in modo che possano liberare tutta l'ansia e la frustrazione repressa tramite quelli che lui chiama parossismi (dicasi orgasmi), forme di liberazione che altrimenti si manifesterebbero in scenate, sbalzi d'umore, crisi di pianto, grida, strilli e quant'altro.

Di questa categoria di donne agiate e represse fa parte la giovane Emily Dalrymple, secondogenita del dottore di poc'anzi che è emblematico esempio di come la cultura femminile fosse all'epoca vergognosamente sottoconsiderata e le donne relegate in ambito di studio a materie e temi piuttosto futili ed empirici, come lo studio delle spiritualità attraverso l'imposizione delle mani, la percezione delle aureole e quant'altro [no comment, please vi rimando al post sulla frenologia]; questa caratteristica, per quanto unanimente accettata era deludente anche per gli uomini stessi che non riuscivano a considerare le donne come delle loro pari anche per la la loro scarsa cultura: Granville stesso, per esempio, rimane quasi deluso quando Emily gli comunica la sua specializzazione mentre lui aveva azzardato studi di geologia o botanica per una ragazza in cui l'avvenenza doveva per forza fare il paio con l'intelligenza.
La giovane Emily, svampita e un po' snob, è una ragazza del suo tempo e non va condannata, ella accetta la condizione femminile in cui la società relega il suo sesso, lo fa per essere accettata e non evitata o per condurre un'esistenza comune, ciò non è dato sapere, ma come ci lascia intuire il film sul finale, pure lei ha le sue curiosità e per quanto nascoste, come molte altre sue simili coltivava i suoi interessi (quali che fossero) lontano da sguardi indiscreti.
Il personaggio di Emily, sebbene possa a tratti apparire antipatico o antifemminista o semplicemente stupido, è l'esemplificazione di quanto doveva essere una ragazza del tempo ed è molto ben costruito, merita più di un giudizio superficiale che lo bolla come la sorella-snob-conformista-e-bigotta.

A contrapporsi ad Emily troviamo Charlotte Dalrymple, la primogenita del dottore, che a differenza della sorella non accetta il ruolo di moglie e madre che la società vorrebbe da lei. Dotata di molta vivacità e curiosità, Charlotte ha sempre cercato di dare un senso alla propria esistenza e una risposta agli interrogativi che spontaneamente nascevano in lei, la sua ricerca di conoscenza e il suo rincorrere in maniera evidente le sue curiosità si scontrano con quella che era il costume di allora, dove, come detto poc'anzi, la maggior parte delle donne agiva di nascosto e di soppiatto.
Nonostante il chiaro rimprovero della sua società e l'ostracismo di questa nei suoi confronti, Charlotte trova altre strade per acculturarsi, anche lei sa leggere, spiega ad uno sbigottito Granville quando cita cognizioni di medicina e anatomia, e se una curiosità è forte o un sogno bruciante, si è disposti a non arrendersi pur di raggiungerlo.
Questa sua "vocazione" si esprime nell'ideale di aiuto dei bisognosi che l'ha portata all'apertura di una casa per i poveri dove questi erano assistiti e accolti, fornendo una base di istruzione (commovente la scena in cui il fattorino fa davanti a lei il conteggio del prezzo e lei ne è al contempo orgogliosa per il risultato ottenuto e amareggiata sapendo che il suo progetto non avrebbe mai avuto il denaro per pagare), di assistenza medica e di vitto e alloggio. Nella sua casa, grazie alle nozioni di medicina apprese nello studio paterno, Charlotte fornisce quel minimo di supporto medico ed educativo insegnando, per esempio, ai bambini a lavarsi le mani ecc.
È da dire al riguardo che per quanto nell'Ottocento le opere caritatevoli fossero molte e si interessassero dei meno fortunati, era considerato disdicevole per una signora immischiarvisi, per le donne di una certa levatura il contributo era solo pecuniario. È bruttissimo, secondo me, vedere come le opere di carità rappresentassero per molte solo un modo per pulirsi la coscienza e poter dire di occuparsi anche dei meno fortunati, un paravento, insomma, ma era ugualmente considerato indegno prendervi parte in quanto troppo inferiori perché ci si potesse mescolare, non sia mai che la povertà diventi contagiosa!

Charlotte Dalrymple che viene da tutti considerata una mezza pazza e indubbiamente isterica, ma la sua non è la frustrazione di un istinto represso, bensì il vedere una società rigida e ingessata più delle feste Wudy Aia che non vuole cambiare verso un ideale di uguaglianza o di mutuo soccorso, motivo per cui il contrasto tra Charlotte ed Emily risulta evidentissimo, la prima è una suffragetta anticonformista dal carattere spigliato e diretto, la seconda una timida rosa ben sistemata in quel mondo bigotto così detestato dalla sorella.

In questa ambientazione che è la base del film, Emily e Charlotte rappresentano le due facce di una stessa medaglia, la condizione femminile che fa da vero filo conduttore del film. Se l'una incarna il modello voluto, l'altra è una rivoluzionaria suffragetta che tenta di cambiare il mondo, assolutamente decisa a non adeguarsi ad una società che segue valori che non condivide, come la superiorità maschile.

La bella Felicity Jones nei panni di Emily Dalrymple


Abbiamo infine una terza categoria femminile che ottiene comunque l'attenzione dello spettatore: la donna proletaria. Fannyè la nostra donna, nonostante la vita sia stata difficile con lei e le abbia riservato un pessim marito, povertà e difficoltà, rimane una donna buona e misericordiosa, ben più delle signore caritatevoli che elargiscono il loro denaro disprezzando la povertà quasi fosse una colpa.
A differenza loro Fanny aiuta concretamente i poveri e i più bisognosi e prende parte al progetto di Charlotte, finendo coinvolta in una rappresaglia per aver difeso donne e bambini vittime di uomini violenti o ubriaconi. Fanny è la testimone di come chiunque anche con piccole cose possa essere d'aiuto e di come la bontà del cuore valga più del materialismo: cosa sono alcune sterline per chi ne ha molte? Ma Fanny si spacca la schiena alla casa dei poveri tutti i giorni oltre ad occuparsi della sua famiglia e dei suoi stessi problemi, sacrificandosi ben di più.
Le persone povere sono semplici, ci dice il film, ma non per questo sciocche o sempliciotte, la loro bontà è grande perché hanno a loro volta provato la sofferenza e la loro misericordia anche perché desiderano in qualche  modo essere davvero d'aiuto.

Credo sia questa la vera trama del film e che lo scabroso argomento vibratore che probabilmente porterà i più al cinema sia solo uno specchietto per le allodole per attirare l'attenzione. Come nell'Ottocento, certi argomenti come il sesso attirano ancora oggi la curiosità nonostante ci crediamo emancipati e liberali.
L'argomento non è che un mezzuccio per far ridere, sdrammatizzare e rendere il film in parte più leggero, la narrazione di come una delle invenzioni più passate sotto silenzio, ma ugualmente best-seller sia nato (nella maniera in cui di solito nascono la maggior parte delle invenzioni: per caso) è solo un espediente che tiene insieme le fila di una storia decisamente più complessa di quel che appare.

Il tutto condito con leggerezza e senza volgarità, una cosa apprezzabilissima dato l'argomento di cui si parla e che potrebbe risultare fastidioso per qualcuno se trattato più esplicitamente (io sarei la prima, lo confesso).
Non manca neppure la componente divertente, con il geniale amico-scienziato del protagonista alle prese tra aggeggi rudimentali come il telefono o il generatore elettrico e un studio da vero pazzoide oppure la conturbante cameriera di casa Dalrymple, Molly, prima tester ufficiale dello scabroso oggetto impronunciabile.

E, per non farci mancare nulla, anche la storia d'amore trova il suo spazio e la sua misura, ma a differenza di quel che accade spesso per certi film storici, credo che la parte romantica sia in realtà un altro dei mezzi usati dalla regia ad uno scopo preciso: tratteggiare il cambio di vedute del personaggio maschile, Mortimer Granville, nei confronti delle donne e dei loro atteggiamenti.
Iniziamente progressista solo in campo medico e piuttosto tradizionalista per quanto riguarda il ruolo della donna, Mortimer cambia la sua idea in proposito conoscendo Emily e soprattutto Charlotte.
È Emily ad affascinarlo, inizialmente, in quanto rappresenta la compagna perfetta, dolce e remissiva ed educata in maniera convenzionale, ma Granville non può negare che è Charlotte quella che lo ha stregato, l'ha portato a considerarla una sua pari tramite il suo parlare e le sue azioni e a desiderare di avere con lei un confronto allo stesso livello, qualcuno con cui non doversi frenare o trattenere, non come Emily con cui passeggia in riservato silenzio, annoiandosi a morte.
Insomma, l'amore di Mortimer e Charlotte, per altro appena accennato, non è altro che lo stratagemma usato per dirci come si sta evolvendo l'idea e l'ideale femminile nel 1880, quando la società tentava disperatamente di rimanere aggrappata alla figura di angelo del focolare che stava volando via con le sue stesse ali, rompendo le barriere e disorientando i più fino ad essere vittima di provvedimenti addirittura drastici (la prigionia per esempio).


I personaggi: cast e recitazione
A interpretare i personaggi di cui abbiamo accennato sopra troviamo un cast di attori sì famosi, ma non stelle del cinema internazionale.
Spiccano Hugh Dancy nel ruolo del giovane e progressista medico Mortimer Granville, disgustato dal fatto che ospedali e dottori dell'epoca rifiutino il progresso fatto dalla medicina e non vogliano applicare i nuovi ritrovati, continuando con sanguisughe e scarsa igiene nei luoghi di trattamento (un punto sul quale Florence Nightingale aveva insistito molto e che vi invito a rileggere nel post su di lei).

Insieme a Dancy ritroviamo Rupert Everett nei panni dell'eccentrico amico scienziato, disperso tra telefoni, motori, ampolle, libri e spolverini elettrici.  Everett ha saputo dare al suo personaggio quel briciolo di follia senza renderlo per forza una macchietta, è divertente e pazzo al punto giusto perché non stoni nell'ambientazione storica.


Tra il cast femminile il ruolo d'onore è di Maggie Gyllenhaal, sorella del celebre Jake [gran bel quarto di manzo] e resa popolarissima da un film ben più scabroso del presente, The secretary dove interpreta una segretaria molto particolare affiancata da un James Spader decisamente nella parte.
Cito, perché mi pare estremamente azzeccata, la descrizione che di lei fa il Morandini, storico critico cinematografico, che credo riassuma bene il suo personaggio
La Gyllenhaal - giovane ma ormai con un suo pubblico, ha sempre saputo scegliere dei film alternativi e controcorrente, interpretando ruoli diversi dai soliti cliché che le Major riservano per le attrici come lei. 
La nostra Maggie in questo film sa essere esuberante e frizzante al punto giusto, ma anche pratica e metodica come si addice ad una donna che dirige una casa di aiuto e che aiuta come infermiera. Trovo che la scelta dell'attrice sia stata molto azzeccata, anche se lo stesso non posso dire del suo rossetto che a tratti risulta poco credibile, così come il suo abito al ballo.

Nel cast troviamo anche una habitué dei period-dramas, ovvero Felicity Jones, già vista in Chéri e in Northanger Abbey, il movie BBC. Diciamo che ormai Felicity sa bene da che parte indossare una crinolina o un cappellino e sebbene mantenga una certa inespressività in tutti i suoi personaggi, rimane comunque graziosa e molto calzante per il ruolo di Emily.

Infine menzione d'onore per Jonathan Pryce, forse qualcuno lo rammenterà ne La maledizione della prima luna (era il Governatore Swann) e che qui fa la parte del dottor Dalrymple con una barba nuova di zecca e maniere decisamente più snob e sprezzanti del bonario padre di Keira Knightley.


Attendibilità storica
So che qualcuno, come mi è stato comunicato in diverse email, aspetta sempre questa parte delle recensioni per farsi due risate, ma temo che questa volta rimarrà deluso perché il film risulta molto più attendibile storicamente di altre produzioni.
La parte costumistica in particolare è perfetta, adeguatamente distinta tra costumi della borghesia con balze, crinoline, cappellini e parasole e quella della povertà, con gonne semplici e lisce, camicie a righe, grembiuli e scialli.

Sì, è vero, Charlotte Dalrymple è veramente un po' troppo esuberante per l'epoca e un padre avrebbe rinchiuso la figlia in casa pur di trattenerla, forse l'avrebbe picchiata, ma l'esagerazione fa parte del personaggio e sono più bendisposta nei suoi confronti di quanto non lo sarei se fosse vestita in maniera decisamente fuori luogo.

La vera caduta di stile, secondo me, è l'abito da ballo decisamente anacronistico con quella sagoma a sirena così longilineo e avvitato: dovevo citarlo. Valorizzare la grazia di una figura come quella della Gyllenhaal mi rendo conto sia difficile e certi tagli di sartoria moderna le donano più che le gale e gli scolli a barca, ma vi prego, ricordiamoci che siamo nel 1880!
Anche il suo impeccabile rossetto va sottolineato, ma questa è pignoleria.

A differenza di altri, qui sceneggiatori e registi non hanno creato una scarmigliata eroina con la chioma arruffata, nonostante il duro lavoro alla casa dei poveri e il suo carattere, piuttosto che le sue disavventure in bicicletta, Charlotte ha sempre in testa una severa pettinatura vittoriana. Considerati i precedenti, la scelta è degna di plauso, che si siano decisi a muoversi nella giusta direzione?

Le cravatte a pois di Hugh Dancy, alias Mortimer Granville sono proprio tipiche di quel periodo e così anche i colletti alti e inamidati, i cappotti al ginocchio e il cilindro da giorno.

Magnifico invece l'abbigliamento molto IT (In Time) di Emily e ridicolo il rigonfiamento posteriore del cappotto dato dalla tournure come doveva essere all'epoca: non vi ricorda un po' le sorellastre di Cenerentola?

La casa dei poveri, anche se Charlotte se ne lamenta, era davvero pulita per il periodo storico in cui ci troviamo e per l'ambientazione tra i Docks di Londra, tuttavia si può chiudere un occhio: questo film non parla della miseria umana e non siamo in Oliver Twist dove la rappresentazione del degrado della civiltà e della città sono protagonisti della vicenda quanto Oliver e i suoi compagni.


Le mie considerazioni su questo film sono quindi molto positive.
Si è rivelato molto migliore e molto più accurato e approfondito di quanto avrei creduto, specie con una trama simile. Uno spaccato della società indubbiamente interessante e ben congegnato con uno stratagemma narrativo di tutto rispetto.
Suggerisco la visione, dopotutto si tratta di un film divertente e piacevole, non rimarrete scandalizzati, fidatevi ;)
Il  mio voto è un otto e sapete che di solito sono di manica stretta, ma qui sono davvero rimasta positivamente impressionata.





Mauser

Il gioco del bullet pudding

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In passato non c'era la televisione.
A causa di ciò occupare il tempo, specialmente per coloro che vivevano delle proprie rendite e non lavoravano, era estremamente difficile, il che spiega la montagna di divertimenti e giochetti piuttosto stupidi che si riscontrano provenienti dall'epoca passata.
E forse questo è uno dei motivi per cui la gente facesse tanti figli... con una scelta di divertimenti tanto insignificante era quasi scontato che uno cercasse di arrangiarsi come poteva e, almeno per qualcuno, il sesso era un'ottima scelta.

I giochi da salotto, tra cui le carte nelle loro molte declinazioni, erano il passatempo di interminabili serate, a quel tempo, infatti, non c'erano feste, balli sociali e stagioni mondane in continuazione, ma anche periodi di inattività dell'intero ton che doveva riprendersi dai bagordi.

Per tutto l'anno, quindi, a meno che gli sfortunati giovanotti o le povere signorine di casa non fossero stati benedetti con qualche evento improvvisato quanto inaspettato, bisognava industriarsi alla meglio e spesso si invitavano amici, parenti e conoscenti sotto il proprio tetto. L'occasione delle visite era un dettaglio che in pochi andavano ad analizzare, la compagnia era quasi sempre gradita perché permetteva un diversivo alla propria monotona esistenza e garantiva un minimo numero di partecipanti, meglio se della propria fascia d'età.

Uno dei divertimenti più in voga nell'epoca regency era il bullet pudding, definito un gioco da salotto da fare con gli amici, il sostituto antico del Monopoli, credo, sebbene io lo reputi non altrettanto divertente...

Dinamica del gioco
Il gioco è così costituito: l'organizzatore mette a disposizione dei presenti un piatto molto largo e piano, come quelli da secondo, oppure un vassoio tondo, dopodiché il piatto viene riempito di farina fino a formarne una montagnola come quella per impastare, a differenza della gemella culinaria, però, in questo caso non viene fatta la fontanella, quindi non scavate un buco nel mezzo.

In cima alla montagnola di farina deve essere depositato un oggetto tondo e possibilmente pesante come una biglia o una pallina metallica o un  vecchio proiettile.

I partecipanti al gioco, a turno e aiutandosi con un coltello, devono rimuovere un po' di farina dal cumulo, facendo attenzione a non far cadere la biglia dalla sua postazione soprelevata.

Chi dovesse far rotolare la biglia deve anche recuperarla, ma non nella maniera più banale, bensì senza usare le mani, in una maniera simile a quella del gioco della mela che galleggia nell'acqua.
Il partecipante, infatti, deve spostare la biglia usando solo il naso e il mento e può toglierla dal piatto solo adoperando la bocca.



Ovviamente qualcuno di voi si starà chiedendo dove stia il divertimento in tutto ciò, quesito che mi sono posta anche io e al quale non ho trovato risposte soddisfacenti, ma siamo qui a parlare di storia e non a giudicarla =)

Ebbene, stando agli scrittori dell'epoca il bello di questo diversivo stava nell'osservare i buffi e inconsistenti tentativi dei partecipanti nel tentativo di recuperare la sfera e, soprattutto, nel riconoscere i loro volti sporchi di farina, vagamente surreali, una volta concluso il tutto.

Poiché una volta, e grazie al cielo, Facebook non esisteva, questi attimi imbarazzanti non erano divulgati Urbi et Orbi e perciò rimanevano confinati nei ricordi dei presenti che di sicuro si erano spanciati dalle risa mentre il poveretto inseguiva la biglia col naso, ma che non potevano condividerli con l'intero mondo delle conoscenze.

Era un mondo diverso di giocare e divertirsi, questo è vero, era anche più semplice e anche ingenuo, sebbene qualcuno affermasse che non fosse esattamente così in quanto una dama china all'inseguimento della biglia metteva senz'altro in mostra parte del generoso decolté che all'epoca, per il vestiario indossato, era sempre piuttosto esposto. 

Oggigiorno il mondo è decisamente più prosaico e col nome di bullet pudding non si chiama più un gioco, ma una particolare variante del tortino da dessert molto compatto, farcito con pezzi interi di cioccolato bianco, nocciola o mandorla che formano il "bullet".

Sebbene il gioco fosse molto popolare e in tanti lo trovassero divertente, c'era una categoria di persone che lo odiava visceralmente: le cameriere. Ovvero coloro che alla fine di tutti i tentativi di conquista delle biglie e di scalata dei monti di farina dovevano ripulire il tutto e nell'epoca regency non c'erano né il Folletto né il nuovo aspirapolvere professionale, tantomeno lo Swiffer o il Pronto Legno.
Olio di gomito, ramazza e spazzola da tappeto erano gli attrezzi che queste donne avrebbero avuto a disposizione per rendere nuovamente decente e abitabile il salotto, almeno fino alla sera dopo...




Mauser

L'evoluzione dei "costumi" propriamente detti

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Ovvero: come si andava alla spiaggiatra il XVIII e il XX secolo


Si appropinqua l'estate.
Queste le parole cariche di cinismo che una mia amica mi ha rivolto la scorsa settimana.
Nel suo vocabolario ciò ha un solo sinonimo: dimagrire.
Buttare giù la pancetta dell'inverno opportunamente coperta da maglioni e collant contenitive, fare un bell'abbonamento di tre mesi in palestra e andare a sudare sui tapis roulant, sgranchirsi la schiena alle lezioni di pilates, rassodare glutei e addominali con infiniti crunch e privarsi di qualunque cibo non appartenga agli ultimi due gruppi alimentari.
Nel mio vocabolario invece quest'affermazione è sinonimo di: "addio serate con le amiche". Le poche volte che sarò in città mi toccherà salutare mestamente le uscite pizza&cinema (perché la pizza è off limits), i filmacci romantici sul divano con nutella o gelato in grembo (la nutella è il male) e sbocconcellare i biscotti col tè della domenica pomeriggio (avete presente il numero di calorie contenute in una singola ostia?! Beh, io no).
Per una che tocca il suolo della sua città una volta alla settimana sono privazioni di notevole portata e il problema delle mie amiche, tra universitarie e stanziali, non mi tocca perché non avrei né il tempo né lo spirito per iscrivermi in palestra. E comunque da adulta ho un rapporto decisamente migliore con me stessa e tutto il surplus.

Donne di metà Settecento abbigliate per
una passeggiata sulla spiaggia
(non si nota la differenza, potrebbero
trovarsi a Piccadilly)

Ogni tanto mi dico che era meglio quando gli esseri umani andavano al mare vestiti, almeno non si preoccupavano della ciccia di troppo.
Poi però, ricordando il quanto andavano vestiti, cambio sempre idea.

Quando si dice che l'eccesso è sempre un male...
Durante il Settecento, secolo dei Lumi, della frivolezza, del rococò, andare a nuotare alla spiaggia era considerato primitivo, l'usanza era lasciata i popolani che si spogliavano e usavano quell'immensa distesa d'acqua come una specie di vasca da bagno gratuita. I ricchi non amavano particolarmente l'aria salmastra che rovinava il trucco delle donne (vi rimando al video contenuto in questo post), il vento quasi sempre sferzante disfaceva le elaborate e impomatate parrucche e il sole della canicola rovinava la pelle e l'effetto del cerone. La spiaggia era piuttosto snobbata.

Verso fine secolo le cose cominciarono a cambiare, cominciò a diventare abituale una passeggiata presso la spiaggia e un soggiorno nelle località marinare, specialmente per rinvigorire la salute che non traeva certo giovamento dai piatti eccessivamente proteici della tavola dell'epoca, dalla vita condotta quasi sempre al chiuso, dallo scarso movimento fisico e dall'aria poco salubre delle città. Proprio per gli stessi motivi anche le vacanze in località termali o nelle zone del Mediterraneo erano estremamente quotati.
Le località marine erano considerate dei grandi sanatori, insomma.

Gli uomini iniziarono ad "andare al bagno" in questo periodo, cioè andare alla spiaggia per nuotare, erano abbigliati con dei costumi interi piuttosto larghi e ingombranti che ricordavano le tutine da neonato integrali e comprendevano anche elementi impensabili come giacche o cappelli; per le donne servirà almeno un secolo prima di ottenere lo stesso diritto. Sebbene le passeggiate fossero loro concesse era bene che queste non si esponessero troppo a lungo ai raggi del sole che, secondo l'idea del tempo, erano portatori di malattie della pelle (in parte vero, ma decisamente eccessivo) e secchezza, inoltre il canone estetico prevedeva un incarnato diafano e quasi trasparente e, di conseguenza, l'abbronzatura non era mai una virtù, neanche se la donzella abitava i soleggiati paesi delle colonie del centr'America ancora sotto la protezione della corona britannica, anche se in quei casi, a causa della vita che si conduceva, era tollerato avere un colorito più salutare e meno malaticcio.

Le donne passeggiavano quindi sulla riva e alle volte cavalcavano, ma sempre munite di parasole o cappellino, naturalmente vestite, per prevenire l'abbronzatura. Essendo così candide di carnagione era facile che queste signore e signorine si bruciassero, per questo all'epoca esistevano molti rimedi contro le insolazioni, uno dei quali abbiamo già incontrato in un precedente post.
Probabilmente in futuro parlerò dei particolari cappellini che le signore usavano per ripararsi e che erano costituiti da lembi laterali particolarmente ampi che avvolgessero l'intero viso; la forma differiva in parte dalle sagome più cittadine e piumate che solitamente conosciamo grazie alle illustrazioni.

Nel primo Ottocento, ancora in epoca regency, abbiamo l'avvento delle prime frequentatrici della spiaggia.
Ovviamente erano ancora vestite fino a morire di caldo, ma era comunque un notevole passo avanti nel concetto di "possibilità e libertà" e le basi erano state gettate, bisognava solo raffinare il tutto.
L'abbigliamento da spiaggia era, se vogliamo, anche più stratificato di quello da giorno perché spesso prevedeva al di sotto della gonna un paio di brache lunghe e larghe (alla moda turca) e una cuffia.
1810
Pronta per la
notte...
Ecco come La belle assemblee fashions descrive la moda marinara (che non aveva niente a che spartire con colletti alla Sailor Moon, pantaloni al ginocchio, fazzoletti blu e cappelli piatti).
A gown of white French cambric, or pale pink muslin, with long sleeves, and antique cuffs of thin white muslin worn over trowsers of white French cambric, which are trimmed the same as the bottom of the dress. A figured short scarf of pale buff, with deep pale-green border, and rich silk tassels; with gloves of pale buff kid; and sandals of pale yellow, or white Morocco, complete this truly simple but becoming dress.

Un abito di bianca batista francese o mussolina rosa con maniche lunghe e decorazioni arricciate in mussolina bianca sulle maniche e sopra i pantaloni in batista francese bianca, rifiniti come la parte superiore del vestito.
Una sottile sciarpa rifinita ai bordi di verde chiaro e arricchita con seta; guanti chiari di pelle giovane e sandali giallo chiaro o "bianco marocchino" completano questo semplice abito.


A fianco trovate anche una rappresentazione dell'abito in questione che, a mio parere, ricorda più un pigiama che un vestito da giorno, ma che ci permette una prima, grandissima conquista: i pantaloni femminili.
A differenza di quel che si crede i pantaloni entrarono nel guardaroba delle signore con gli abiti da bagno, non con quelli da equitazione, e a lungo rimarranno l'unico impiego di questo indumento nell'ambito muliebre.

1858
Ideale per una notata in libertà
L'evoluzione dell'abito da spiaggia, andò di pari passo con quella della moda quotidiana, si potrebbe dire che l'idea di fondo di questi vestiti da bagno rimase la medesima: un surrogato dell'abito da passeggio, in pratica fu variata la forma estetica, ma con tutti gli strati che si contavano difficilmente si potrebbe parlare di veri costumi... gli inglesi che sono pignoli, infatti, si riferiscono a questi vestiti come bathing suit, cioè completi da bagno che indica chiaramente che non si trattava di straccetti microscopici di stoffa come i nostri...

In epoca vittoriana si riconosce esattamente come la foggia del vestito fosse allineata con quella della moda, ma l'idea di fondo dell'abito da spiaggia non era cambiata da quando Napoleone scorrazzava per l'Europa. Le signore avevano una lunga palandrana che arrivava fino ai fianchi e l'unica differenza dagli abiti londinesi era che sotto si scorgevano dei larghi pantaloni "alla turca" stretti alla caviglia piuttosto che le crinoline rigide. Il tutto era fabbricato di flanella, il che, capirete, non era il massimo per comodità e freschezza e, inoltre, quando si bagnava si trasformava in un peso morto di una certa portata aggravato dal sempre presente corsetto che comprimeva il petto e smorzava il respiro: risultato?
Gli incidenti in acqua erano frequentissimi anche a riva.

Ma come sappiamo l'Ottocento fu secolo di cambiamenti, il ritmo della vita, con il progredire dell'industria, aumentò rapidamente e così anche le mode cominciarono ad avvicendarsi con sempre maggiore frequenza. Analogamente la progressiva emancipazione, la riduzione di stoffe e vestiti anche nelle donne e il distacco dai valori tipici di femminilità fino ad allora accettati comportarono un rapido mutamento degli abiti da vere e proprie armature da palombaro a qualcosa di più umano.
1860 circa
Le armature da palombaro
Gara della più veloce...

Intorno agli anni 70-80 dell'Ottocento era diventata usanza comune per i ricchi frequentare il mare e le spiagge dove gli stabilimenti balneari erano attrezzatissimi per fornire ai loro ospiti ogni genere di comfort, come le cosiddette macchine da bagno o bathing machines, delle cabine come quelle che noi conosciamo dalle nostre gite al mare munite però di ruote da carro e trainate in acqua da cavalli. Era infatti considerato sconveniente che le persone si bagnassero tutte insieme o ci fosse una certa promiscuità, quindi questa invenzione garantiva la possibilità di un solitario e riservato bagno. Le macchine sopra citate consentivano ai bagnanti un vero e proprio "tuffo" e una nuotata un po' più distante dalla riva.
È anche da ricordare che, per quanto popolari, le spiagge dell'epoca non avevano nulla a che spartire con le nostre assolatissime e affollatissime, dove lo spazio vitale è di circa mezzo metro per mezzo e si deve stare accucciati in un autentico carnaio.

1876
Il cambiamento è notevole ¬_¬
Anche la moda pretese la propria quota in questo delirio di popolarità.
Le lunghe giacche e palandrane che coprivano le camiciole di metà secolo si ridussero ad un unico top a mezze maniche, abbottonato sul davanti e lungo fino alle anche la cui parte inferiore formava una specie di gonnellino corto e vaporoso sopra un paio di calzoni al ginocchio. Tutto rigorosamente blu o nero [OMG!]
Completavano il tutto calze scure e coprenti e speciali calzature chiuse, ma legate alla caviglia come i sandali alla schiava.

Niente shorts, vero, niente canottiere e niente petto scoperto, ma rispetto a vent'anni prima era una rivoluzione! Immaginate le facce scandalizzate delle signore con bambini che vedevano queste disinibite ragazze così svestite!
Per loro erano svestite, noi non ci sogneremmo mai di andare così coperti d'estate... ma era un po' come certe mamme che si sistemano ben alla larga da quelle donne che al mare girano in topless, col perizoma o con bikini eccessivamente striminziti, forse un giorno sarà normale, forse anche io diventerò così... 

Da allora in poi fu una vera e propria riduzione progressiva della stoffa.
Nel 1900 si andava al mare con un vestito lungo fino al ginocchio, collant e apposite calzature. Le maniche a sbuffo e le gonne non erano il massimo per nuotare, ma alle ragazze era consentito esclusivamente bagnarsi nella risacca e rotolarsi nel bagnasciuga, ovviamente si mantenne l'usanza delle bathing machines, presenti in gran quantità e disponibili anche per le persone della borghesia.

1906
Trasgressione made in Calzedonia
Nel 1910 la rivoluzione era quasi completa, il gonnellino era stato completamente abbandonato (sopravviveva un piccolo sbuffo intorno ai fianchi) e ne rimanevano solo i pantaloni al ginocchio; le mezze maniche erano diventate spalline e finalmente si poteva riconoscere una sagoma che vagamente ricorda il costume intero moderno.

Nel 1915, a ritmi sempre più vertiginosi ci si riduce ancora, l'input più grande lo dà senz'altro il nuoto agonistico dove uomini e donne cominciano ad avere lo stesso tipo di indumento, che non era poi così diverso da quello di oggi: il tessuto divenne più attillato per favorire la velocità, i colori più chiari e si accennano le prime fantasie (a righe).
Sebbene popolare tra gli atleti, bisognerà attendere altri cinque anni perché quello diventi la forma base del costume, le gambe sono ancora lunghe fino a metà dell'anca, ma la scollatura diventa sempre più profonda e a metà degli anni venti anche la parte bassa del costume si restringe fino ad assumere le dimensioni delle odierne coulotte.

Saranno gli americani durante la II Guerra Mondiale ad inaugurare l'epoca del due pezzi, imponendo dal governo alle donne degli States di risparmiare sulle stoffe e loro toglieranno e toglieranno accorciando le gonne sopra il ginocchio e tagliando la parte centrale del, finalmente, costume, ma sempre mantenendo coperto il simbolo del peccato: l'ombelico.

1906
Qualcuno ha detto picnic?
Per tutto ciò che viene dopo vi rimando ad un ottimo servizio che vidi qualche mese fa su Rai5 e che trattava appunto della nascita del due pezzi, il programma contenitore si chiamava Love/Lust e l'argomento era trattato in maniera estremamente interessante ed accurata; se non rammento male fece un altro interessante reportage sui tacchi alti che, come sapete, sono una delle mie molte passioni.



Link utili e sitografia:
Victoriana | Fashionable Bathing Suits
Rai5 | Love/Lust
Fashion Era | Swimwear
Berkeley University of California | History of women's swimwear
Capitola Museum | By the sea


Sarah Kennedy, The Swimsuit 
Daniel Delis Hill, History of Men's Underwear and Swimwear

Richard Martin, Splash! A History of Swimwear
Patrik Alac, The Bikini: A Cultural History
Mary L. Martin, Tina Skinner, Naughty Victorians & Edwardians: Early Images of Bathing Beauties




...e come dice la protovalchiria Nix: "Heels tall... bikini small" giusto per riunire un po' gli argomenti.
Un bacio a tutti





Mauser

Un blog affidabile al 99%

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Cari lettori,
è tempo di primavera ed è tempo di premi.
La scorsa settimana la cara lithtys del blog Beyond the Crimson Wallsha insignito questo picco angolo di blogosfera di un premio.
La cosa mi riempie di ognore, ma anche un po' di vergogna perchè non sono sicura potermi fregiare dell'appellativo affidabile, almeno nella vita virtuale...

Comunque ringrazio davvero di cuore per aver pensato in questi termini al Georgiana's Garden che forse non è campione di tempestività e di continuità, ma che è un piccolo progetto (molto personale) al quale sono estremamente affezionata.
Grazie Lit =)

Un blog 100% affidabile secondo le linee guida del premio dovrebbe avere queste caratteristiche:
  1. Essere aggiornato regolarmente;
    Questa parte non è precisamente quella che porta più prestigio al GsG, l'aggiornamento non è proprio regolare, ma diciamo che provo a fare del mio meglio...
  2. Mostrare la passione autentica del blogger per l'argomento di cui scrive
    Io spero sempre che il mio amore per ciò che scrivo traspaia sia dalle parole che dalle ricerche e, perchè no, anche dalle prese in giro
  3. Favorire la condivisione e la partecipazione attiva dei lettori
    Un tema che mi è molto caro, chiunque voglia contribuire è ben accolto e non ne ho mai fatto mistero fin dall'apertura
  4. Offrire contenuti ed informazioni utili e originali
    Beh, ho aperto questo blog proprio perchè nessuno parlava dell'argomento =)
  5. Non essere infarcito di troppa pubblicità
    Se si escludono i titoli di libri sponsorizzati a fondo post...

Bisogna inoltre occuparsi di
  • spiegare brevemente [quel brevemente mi preoccupa] quando e perché si è aperto il blog;
  • segnalare altri 5 siti/blog che sono meritevoli di menzione e far sapere ai blog/siti che hai scelto che sono stati premiati.

Storia del GsG
È bello avere una scusa per parlarne, la aspettavo da tempo!
Il Georgiana's Garden, secondo i miei annali, nacque nel lontano 2009. Avevo alle spalle una lunga carriera sia come moderatrice di forum (ai miei tempi quella era la vita online e il vecchio Eyes on Anime il regno dove esercitavo i miei poteri) e come scrittrice di fanfiction, dove sopravvivono ancora delle vestigia su EFP e sulla stranissima quanto amata coppia Draco/Hermione. Volevo cimentarmi con qualcosa di nuovo e vedendo che la blogosfera era il Nuovo Mondo, mi ci sono buttata.
A darmi il primo spunto, il desiderio di aprire un luogo dove parlare di un determinato argomento con passione e trasporto, fu il film Julie&Julia dove la protagonista decide di aprire un proprio blog di cucina sfruttando il libro edito da una mirabolande Julia Childe/Meryl Streep. Il blog fa un po' da ancora di salvezza per Julie, che può sfogare la sua frustrazione tra i commenti degli avventori, le pentole della cucina e la sua passione culinaria e in breve diventa un autentico fenomeno.
Anche io, come Julie, cercavo un modo di sfogarmi da una vita un po' frustrante, anche io, come lei, sentivo di avere un sacco di cose da dire, è stata la scelta del soggetto però la meno semplice perchè i miei interessi sono molteplici, ma di breve durata.
Dopo aver pensato ai libri, ed aver accantonato l'idea per l'immane quantità di blog di letture che ho scorto nella rete, molti tra l'altro validissimi, ho optato per la storia. C'era poco contributo da dare per il mondo letterario, ma per quello storico sapevo di poter fare una parte, seppure piccola, ma significativa.

Il GsG si può dire sia stato un blog "di riepilogo" perchè mi ha permesso di sfruttare le mie precedenti esperienze nella rete.
Con l'inglese appreso dalle scans dei manga ho potuto cimentarmi in molti siti e documenti sull'epoca storica che approfondisco, l'html così sudato nelle impaginazioni forum è tornato utile nella formattazione e veste grafica di questo blog, inoltre ho massicciamente fatto uso di esponenti della biblioteca civica, con cui ho avuto tristissime esperienze, ai molti romanzi storici che, a modo loro, mi hanno insegnato qualcosa sulle epoche di cui parlano.

Il mio desiderio era proprio riunire il tutto e farne una grande vetrina su un epoca affascinante quanto oscura.
A modo suo il GsG è cambiato e cresciuto, la frequenza degli aggiornamenti non è più quella di un tempo, complice un lavoro pressante e stancante, ma cerco sempre di mantenere un buono standard di approfondimento, sebbene rileggendo mi accorga spesso che a volte il periodare e la grammatica potrebbero essere migliorati da una revisione con un po' di calma.

5 blog e siti meritevoli
  • Angenia creations
    Bellissimo blog sulle creazioni handmade di Angenia che trovo deliziose
  • The Goulash Train
    Preparandomi psicologicamente a quella che vorrebbe essere la meta della mia prossima vacanza: l'Europa dell'Est, spulcio con interesse questo meraviglioso blog alla scoperta di territori e luoghi della zona balcanica
  • Pretty Little Houses
    Irrecuperabile mania per l'arredamento, dallo shabby chic al più colorful e stravagante
  • Shoeplay
    Irrecuperabile passione per le scarpe
  • A feminine, modest fashion blog
    Un blog inusuale, ma carinissimo, di moda, abbigliamento e decorazione dai toni pastello e molto delicati senza diventare improponibile

bene, credo che per ora sia tutto e per una volta ho messo blog nuovissimi di zecca, per dare anche a loro un briciolo di risalto, nella speranza ovviamente di non aver offeso nessuno =), un bacio e a presto




Mauser

Boodle's

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Della serie "a volte ritornano", eccomi ancora qui, sopravvissuta, un po' stropicciata, preoccupata ma sempre fedele alla mia passione. Se l'affidabilità in termini di aggiornamento non è proprio il mio forte, di certo lo è il mio amore per l'epoca di cui parlo e, potendo scegliere, cerco di portare avanti il mio progetto del GsG, non condannatemi troppo duramente =]

Un'illustrazione dell'ingresso del Boodle's
by
John Owens
La dicitura "a volte ritornano" che ho adoperato al principio era voluta perchè il ritornare implica un luogo e oggi parleremo proprio di un certo luogo, uno di quelli più famosi durante il tardo Settecento, la Reggenza e sopravvissuto fino ad oggi attraverso l'epoca Vittoriana.
Signore e signori, vi presento questa sera Boodle's.

Boodle'sè uno dei più famosi club esclusivi di Londra, per gli anglosassoni è un'istituzione, ma una di quelle che raramente vengono esportate all'estero, così gli stranieri conoscono il White's, ma non Boodle's nonostante fossero entrambi club di grande importanza sociale, storica e politica, anche se il primo detiene il primato del più antico club della capitale.


Storia, fondazione e trasferimento
La fondazione del Boodle's avvenne durante la seconda metà del Settecento, nel 1763 ad opera di William PettyFitzMaurice, Lord Shelburne, futuro Primo Ministro d'Inghilterra e poi creato marchese di Lansdowne; la localizzazione del club non era quella odierna in St. James Street, bensì ai numeri 49 e 51 di Pall Mall dove rimase circa un ventennio prima del trasferimento.

Questo spostamento fu dovuto principalmente alle crescenti esigenze e necessità della "casa", a cominciare dallo spazio; verso la fine del Settecento, infatti, tra i nobili e ai politici (cariche che spesso si sovrapponevano essendo tutti i nobili anche politici appartenenti alla Camera dei Lords) divenne di moda ritrovarsi al di fuori dell'ambito parlamentare a discutere, chiacchierare, progettare alleanze e tattiche politiche e così via.
A contribuire fu anche il progressivo mutamento politico e sociale dovuto a tutti i cambiamenti a cui l'Inghilterra e l'Europa andavano incontro, non solo la Rivoluzione Francese, ma anche l'ascesa napoleonica, il progredire dell'industria, le riforme societarie, di diritto, ecc. che crearono la necessità di intese e dibattiti all'interno dello stesso Parlamento, le nuove norme e i provvedimenti da prendere non erano più solo dettati dalla morale come avvenuto fino ad allora, ma si prestavano a molteplici letture e sfaccettature consentendo prese di posizione differenti a seconda della propria estrazione e ideologia, non necessariamente una divergenza netta ricchi-poveri e lords-politici semplici.

Illustrazione del primo Ottocento raffigurante gli interni (precisamente
la Coffee Room) con il personale di servizi che predispone per la cena
La stessa stanza oggi


Questa concentrazione di eventi e necessità di dibattiti che fece sì che i club londinesi, non troppo lontani dall'"ufficio" (il Parlamento), ma allo stesso tempo sistemazioni ben distinte dalle proprie case dove vivevano mogli, madri e sorelle, avessero un grandissimo incremento di popolarità.

Il club offriva un ambiente a misura di uomo e non di personaggio, privacy e confort, ogni ben di Dio disponibile in termini di beveraggi e cibi e la compagnia dei propri pari coi quali ritrovarsi in un ambiente più informale che le aule del Parlamento dove qualsiasi nota era scritta, archiviata e ogni parola presa sul serio.



Fu proprio in questo periodo, tra la fine del Settecento e la prima metà dell'Ottocento, che i club per gentiluomini e i ritrovi fioccarono come nespole e, proprio per quanto detto poc'anzi, tutti questi luoghi avevano una rigida vocazione politica, fosse essa tory o whig, questa era sempre esplicita in modo che non ci si potesse confondere circa il taglio degli argomenti discussi, le opinioni dei presenti e il loro orientamento politico.



Esattamente come il White's, anch'esso di ideologia tradizionalista tory e spostato dalla sua sede originaria, anche il Boodle's seguì questa strada e nel 1782 con una clientela sempre maggiore, variegata ed esigente, il club si trasferisse nella sua attuale localizzazione, al numero 28 di St. James Street. La location era quella di un antico e poi estinto club londinese denominato Savoir Vivre di cui prese il posto.
St. James Street, inoltre, era quasi una meta necessaria per essere un luogo di successo in quanto una delle strade più prestigiose della capitale, affollata e ricca di passeggio, anche se di una certalevatura, insomma un viavai chic e non certo quello dei verdurai.
La Coffee Room, la sala principale del club, le vetrate sono
quelle che si riconoscono passando davanti all'ingresso e
hanno un'ottima vista su St. James Street
Era una strada di un certo calibro e con persone di altrettanto calibro, meta prediletta dagli scapoli nobili che vi si erano acquartierati in massa e che si configurava perfetta per ospitare gentiluomini soli in cerca di una adeguata compagnia idonea per scala sociale.

Il palazzo di St. James Street che il club andò ad occupare e risistemare era stato disegnato nel 1775 da John Crunden e i tenutari del locale apportarono alcune modifiche di carattere architettonico e di risistemazione dei locali affidandosi a John Buonarotti Papworth tra il 1821 e il 1834.

Il nuovo palazzo occupato permise all'organizzazione di istituire nuovi divertimenti e provvedere a nuove necessità e svaghi per la clientela con sale da gioco, del fumo, dei liquori e così via. Le amenità a disposizione dei paganti crebbero in gran numero e grazie alla nuova prestigiosa posizione lo status del club si elebò notevolmente, assurgendo al rango del White's, fino ad allora unico termine di paragone utilizzabile nel giudizio di un ritrovo per gentiluomini.

Agli inizi del XIX secolo il club passò di proprietà e venne acquistato da Mr Gayner, al quale successe poi la sorella che mandò avanti le attività (Penny House non è poi così distante) e ne mantenne la gestione fino al 1896, alla sua morte  i suoi legali decisero di chiudere.
Fortunatamente una colletta tra i facoltosi membri, non certo privi di risorse economiche, permise di mantenere aperta la struttura che da allora fu guidata non più da un proprietario, ma da due comitati, un gestionale e uno amministrativo e si sostiene interamente con le rette dei suoi iscritti.


La cucina e la società
Fu in quel periodo che si configurò una delle cose per cui il club è tanto famoso, cioè la sua cucina e nacque il prototipo di quello che è, ancora oggi, il più conosciuto e invidiato piatto del Boodle's, un succulento dessert chiamato Boodle's Orange Fool originariamente a base di pan di spagna, crema, limoncello (o essenze di limone), frutti di bosco e altro e di cui vi darò la ricetta nel prossimo post.

Altra caratteristica che concerne il campo enogastronomico è il gin servito nel locale, particolarmente apprezzato e menzionato anche da Winston Churchill, storico frequentatore, è così rinomato da avere una propria etichettatura e produzione.

La parte culinaria di questi ritrovi non è assolutamente da sottovalutare in quanto molti di questi fungevano da sedicenti ristoranti per gli appartenenti, gli iscritti avevano infatti la possibilità di cenare a piacimento al club, frequentandolo con una certa regolarità.
Nell'ambito della vita single della Londra settecentesca e poi vittoriana,ciò era importante. I gentiluomini non accasati, infatti, quando non partecipavano a ricevimenti con cena o banchetti cenavano spesso nei club dove il servizio era eccellente ed era compreso nella quota d'iscrizione.
Insomma, un buon modo per non consumare un pasto solitario a casa, lui, il cameriere che serviva a tavola e nessun altro... lì invece si incontravano persone della propria cerchia di conoscenze, si discuteva di molti argomenti dai più frivoli ai più impegnati, compagnia e conversazione è quello che molte persone cercavano fuori casa.
Una delle sale interne

Questa sua caratterizzazione più intratteniva e meno politica fu una caratteristica che il club assunse solo durante l'Ottocento, quando perse la sua aura di ritrovo dei tradizionalisti che più tradizionalisti si muore, insomma quel che si dice biosgna essere più realisti del re.
Parte di ciò avvenne a seguito del trasferimento e delle stanze in più a disposizione, ma forse il trasferimento fu necessario proprio per espandere questa nuova caratteristica... probabilmente entrambi, è nato prima l'uovo o la gallina?

Boodle's finì con l'uniformarsi allo standard di servizi offerti dagli altri locali per gentiluomini della City, introducendo molti più divertimenti in termini di gioco d'azzardo e relax (c'è il bagno turco e una vasca di acqua calda tipo terme romane) e la possibilità di cenare al locale, caratteristica spesso disprezzata dai più tradizionalisti iscritti del XVIII secolo, ma che lo portò alla gloria con la sua cucina.


È probabile che, come per molti club maschili di Londra, anche il Boodle's si occupasse di fornire una vasta gamma di attrazioni ai suoi avventori, comprese ragazze e divertimenti scollacciati, era un'usanza abbastanza diffusa, se ci pensate anche la più logica, anche se sempre passata sotto silenzio per via della moralità di cui i partecipanti si ammantavano.

Nonostante questo mistero che poi così mistero non è, il Boodle'sè l'unico club di Londra a non aver mai avuto uno scandalo al suo interno, caratteristica di cui l'organizzazione si fregia ancora con orgoglio sottolinenando la serietà della clientela, la riservatezza del personale e il lavoro ben fatto che si può rintracciare tra le pareti del locale.

Ovviamente per tutelare questo tipo di privilegi e questo status esistevano norme rigidissime che regolamentavano l'ingresso al club, il vestiario da tenere (per chi cenava nella sala principale, detta Coffee Room, bisognava indossare necessariamente abiti da sera e accessori adeguati, non erano ammesse eccezioni, ma per un look più informale si poteva cenare nel salottino attiguo) e il comportamento dei suoi membri; si vocifera che, almeno prima dell'avvento dei comitati direttivi, a giudicare questi comportamenti fosse un tribunale interno i cui membri erano ovviamente supersegreti, immaginiamoci qualcosa come nelle scuole degli anime giapponesi, dove esiste un Consiglio Studentesco che si occupa dell'organizzazione e gestione della scuola e delle sue attività, con l'unica differenza che in questi casi i membri non sono affatto segreti.

Il nome
Una dedica al Boodle's che lessi in giro qualche tempo fa recitava: 
Boodle's was founded by a Prime Minister and named after a head waiter
Boodle's fu fondato da un Primo Ministro e nominato secondo il suo maitre

La trovo una cosa estremamente divertente che un locale che si dà tante arie porti, ancora oggi, il nome di un plebeo che fece carriera passando da misero servitore e cameriere a "maestro di casa", cioè colui che mandava avanti la baracca e dirigeva il lavoro.
Un club tra i più tradizionalisti, ancora oggi ad ingresso esclusivamente maschile e di stampo rigidamente conservatore anche nel suo orientamento politico e che porta il nome di un suo dipendente.
Un inno al socialismo, direi...

Il nostro signor Boodle era infatti Edward Boodle, primo e insostituibile factotum del locale, assunto direttamente da Lord Shelburne e considerato un impiegato efficientissimo e instancabile. A lui è dedicato questo prestigioso e raffinatissimo locale.

L'ingresso del club oggi

Elezione e ingresso ufficiale
Il nome del candidato papabile per l'ingresso al club doveva essere sponsorizzato da due già iscritti, esattamente come al White's, ciò non era particolarmente difficile perchè essendo una cerchia elitaria la maggior parte dei candidati e dei presenti erano amici di famiglia, padrini, imparentati e così via. Per i parvenu e i nuovi arricchiti non c'era posto in un ambito tanto rigido e chiuso in sé.

A questo punto veniva disposta un'anfora nella sala principale dove tutti gli altri membri esprimevano la loro opinione sulla candidatura introducendo una palla bianca o nera, il bianco era a favore, il nero contrario. Ciò era coperto dal massimo riserbo e nessuno sapeva come avevano votato gli altri.

A quel punto lo scrutatore, Mr Gayner, procedeva al conteggio, ma se il candidato non aveva prima superato il suo rigido esame, che avveniva di nascosto tramite un buco nel muro dal quale Gayner spiava il comportamento della persona, aveva diritto di veto sulla decisione dei presenti e poteva opporsi all'ammissione.

Membri notabili del club
Non li citerò tutti e, comunque, la lista è disponibile online, ma i più famosi meritano menzione
  • William Cavendish, 5° Duca del Devonshire
    Il marito di quella Georgiana Cavendish così di moda per il film della Knightley...
  • Charles James Fox
    Inspiegabile whig antischiavista, Segretario di stato, sostenitore della causa americana e di quella francese tra le fila nemiche
  • William Wilberforce
    Commerciante e schiavista poi leader dell'abolizionismo. È l'autore delle splendide parole della canzone religiosa Amazing Grace(vi suggerisco di ascoltarla, è stupenda)
  • Arthur Wellesley, 1° Duca di Wellington
    Direi che è abbastanza famoso per la sconfitta di Napoleone a Waterloo da non avere bisogno di altro in aggiunta
  • Beau Brummell
    Che però era iscritto a tutti i club e i divertimenti di qualsivoglia natura della capitale, direi che era la versione maschile e regency di Ran Kotobuki, la gal number onedi Shibuya =]
  • Winston Churchill - membro ad honorem
    Il Primo Ministro inglese che tenne la carica durante la II Guerra Mondiale, ovviamente tory
  • Ian Fleming
    Lo scrittore che diede vita alle gesta della celebre spia James Bond, nome in codice 007 [Adesso vado a rivedermi il primo film]
  • David Niven
    Per gli appassionati del cinema degli anni '40, attore e sceneggiatore divenuto celebre col personaggio di Phantom ne La pantera rosa (parliamo delle prime versioni, non quelle con Steve Martin eh!) e prese parte anche al kolossal L'ammutinamento del Bounty oltre a molti bei film come Cime tempestose, Il prigioniero di Zenda e Assassinio sul Nilo.

Sitografia e bibliografia
Wikipedia EN | Boodle's
Historical Resources | History of Boodle's
Number One London | Boodle's
Sito Ufficiale Boodle's
Visitlondon | Boodle's
City of London | Boodle's Club

Spero davvero che questa passeggiata nella storia di un altro dei club più famosi e frequentati di Londra sia stato interessante.
Vi auguro una buona serata,
a presto




Mauser

Boodle's Orange Fool

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Il Boodle's Orange Foolè da secoli il piatto per eccellenza del celebre club londinese per soli gentiluomini.
Vi avevo accennato nel corso del post dedicato al ritrovo Boodle's e oggi vorrei darvi la ricetta di questo dessert assolutamente squisito, tantopiù che è di preparazione abbastanza semplice, ha un gusto fresco e delicato adatto sia alla stagione calda che a quella invernale, si presta per tutti i tipi di ospiti, dai più snob ai meno sofisticati, e garantisce un successo eccezionale =)

La sua preparazione in parte ricorda qulla della trifle per la cui ricetta vi rimando all'apposita pagina.
Dunque preparate gli ingredienti e mestoli alla mano! Vedrete che cosa semplicissima

Ingredienti (x 4 persone)
  • 4 dischi di pan di spagna larghi come un bicchiere e alti circa 1cm
    (in alternativa una teglia completa che si provvederà a tagliare in seguito)
  • 1 tazza e 1/4 di pann
  • 4 cucchiaini da caffè di zucchero
  • La scorza grattuggiata finemente e il succo di 2 arance (meglio se di polpa bionda)
  • La scorza grattuggiata finemente e il succo di 2 limoni

Preparazione
Predisponete 4 coppe di vetro come contenitori da dessert e sistemate in ciascuno una fetta di pan di spagna.
Nel frattempo amalgamate in una ciotola la panna con un poco del succo delle arance e del limone, mescolare bene e ripetere finchè tutto il succo dei frutti è stato incorporato, passate quindi allo zucchero e alla scorza grattuggiata e montate con più energia oppure aiutatevi con un robot da cucina o uno sbattitore elettrico finchè il composto non diventerà bianco e soffice.
Dividete il preparato in quattro parti e versate ciascuno sui dischi di pan di spagna fino a coprirlo completamente e arrivare fino al  bordo del contenitore di vetro.
Coprite con uno strofinaccio di cotone e mettete i quattro recipienti in frigoriferio a raffreddare almeno 3 o 4 ore.

Prima di servire estrarre il dessert e guarnirlo con spicchi d'arancia, limone e altra scorza (potete lasciarne da parte un po' dalla preparazione).
Non rimescolate.
Servite appena uscito dal frigo, come un semifreddo o un semi-gelato morbido (non del tipo martello-scalpello) e vedrete che figurone! Oltretutto questo dessert è totalmente analcolico, infatti io ne sono innamorata e penso che sia una delle più belle invenzioni che possa proporre alle cene tra amici, dove non tutti gradiscono il gusto pungente di liquori come il rum, il marzala o il martini che spesso vengono incorporati nella preparazione.


Varianti
Poichè non tutti possiedono coppe da gelato o un'attrezzatura adeguata è possibile sostituire il recipiente da portata con dei bicchieri come quelli da bar, oppure con delle capienti tazze del mattino, tipo da tè.

È inoltre molto interessalte la variante che prevede l'impiego di wafer come sostituti del pan di spagna.
I wafer sono facilmente recuperabili al supermercato, i più indicati sono quelli piccoli tagliati a cubetti e al gusto di vaniglia.
Altra variante vede l'uso di amaretti anzichè wafers: perchè no?

Forza, mano agli attrezzi e fatemi spaere se avete intenzione di sperimentare questa breve e semplice ricetta dall'effetto assicurato e, nel caso, le vostre osservazioni al riguardo.


Fonte
Quella che vi ho proposto io è la versione data da foodbuzz che secondo me è la più semplice ed efficace nel risultato, ma in internet ovviamente proliferano le varianti.

Un bacio e a presto




Mauser







Pudore vittoriano

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Cari lettori,
una di voi, Letizia, ha deciso di sfruttare l'opportunità di richiesta messa a disposizione del blog e mi ha domandato un approfondimento sul pudore vittoriano.
È una richiesta che accolgo volentieri, anche se costruire un argomento simile penso sia molto complicato perchè riuscire ad identificare tutte le cause e gli effetti che hanno scatenato quesa "moda della modestia" sia estremamente complesso e probabilmente non riuscirò in toto nell'idea ch emi sono prefissa quando ho abbozzato per la prima volta questo post.
Mi dispiace in particolare che la stesura di questo post, con tutti gli impegni che ho avuto, abbia richiesto tanto tempo e per diverse settimane io non abbia aggiornato.

Donna nuda allo specchio
by Giovanni Bellini




Il pudore, si sa, è una cosa che varia da persona a persona, da zona a zona, è interessato da molti fattori: educazione, religione, cultura, conoscenze, abitudini.
Ciò che per una persona può essere offensivo, per altri risulta comune, ciò che un secolo fa era considerato scandaloso per noi è normale, pensiamo solo a quanto si sono ridotte le dimensioni degli abiti nell'arco di cento anni: ai primi del Novecento si andava al mare completamente vestiti comprese calze, scarpe e cappelli, ora è già tanto se i genitali sono coperti da qualcosa...
Le gonne ai primi del secolo erano lunghe fino a terra eppure oggi l'altezza di una gonna non è detto che sia maggiore di quella di una cravatta. Mostrare i piedi e le gambe è stato considerato uno dei più importanti esempi di sensualità femminile per migliaia di anni, così come il collo (pensiamo al particolarissimo modo di drappeggiare il colletto del kimono sulla nuca oltretutto messa in risalto da una striscia color carne), possiamo dire lo stesso di oggi?


Venere al bagno
by John William Godward
Insomma, per parlare di pudore dobbiamo calarci in un mondo che non è il nostro, addirittura che non vi si assomiglia neppure. È uno sforzo grande perchè certi modi di pensare sono così radicati nella consapevolezza contemporanea da risultare difficile metterli da parte.
Il mondo vittoriano di cui mi sono stati chiesti lumi vedeva imbarazzo e sconvenienza in qualunque sfaccettatura dell'esistenza, le gambe dei tavoli, il petto di pollo... l'ignoranza, mista ad una forma di quasi integralismo erano gli sponsor ufficiali di questa caccia all'eccitazione e se fino ad un secolo prima avere un amante era più una moda che un'inclinazione alla lussuria, nell'Ottocento era peccato addirittura provare piacere facendo l'amore da sposati.
E poi vi chiedete perchè la prostituzione fosse così diffusa?

Da un estremo all'altro, da un'esagerazione all'altra.
Cosa condizionò questo modo di pensare? Cosa portò a tutto questo?
Riassumerne le cause senza scrivere un trattato è difficile, proverò a farlo mettendo ciò che IO ritengo siano i principali responsabili di questo, perciò tenete conto che si tratta di un'opinione, che è personale e che quindi può essere non condivisibile. Sicuramente ci saranno stati altri fattori, me ne rendo conto, cercherò di citare i più influenti e di dare un minimo di spiegazione.


L'eredità del puritanesimo
Secondo me il periodo del Protettorato e soprattutto il puritanesimo come religione di Stato ha influito sulla storia inglese più di quanto si immagina di solito, credo che non gli venga tributato il giusto peso e credo che ciò sia dovuto principalmente dalla breve durata che ha avuto (circa un ventennio).
Illustrazione di una donna puritana
intenta in attività femminili (la filatura)
e la lettura delle Scritture.
Il periodo cromwelliano ha lasciato, specialmente negli strati medio-bassi della popolazione, eredità molto profonde e, sebbene sia stato seguito da circa un secolo di liberalismo totale in fatto di costumi, ciò era limitato soprattutto ai ceti più alti che subivano le influenze francesi del rococò e della moda opulenta della corte di Versailles, che in termini di pudore non è che si facesse problemi. Il giro di boa della corte francese dal lutto al divertimento più sfrenato avvenne nella metà del Seicento, quando il cadinale Mazarino, supportato dalla reggente, la Regina Anna (figlia del divertimento della corte spagnola di Filippo III), fecero della pomposa e austera corte un parco giochi di prim'ordine nel quale il futuro re Luigi XIV si allevò fin da bambino e che culminò poi nella costruzione di Versaillesland, il numero uno in fatto di attrazioni, un po' come la terra dei Lotofagi che procurava l'oblio.
Insomma, sebbene i nobili inglesi fossero dissoluti più per  moda che per necessità, tra i poveri le cose erano diverse e la libertà di costumi non era certo vista di buon occhio, Pamela, l'eroina richardsoniana per eccellenza può essere portata come esempio, povera, pura e casta oltre ogni dire, la donzella in questione neppure prende in considerazione le sconvenienti proposte di Mr B nonostante egli possa mantenerla nel lusso e lei stessa sia infatuata di lui.


L'eredità religiosa: caratteristiche dell'anglicanesimo
È importante non dimenticare che in Inghilterra la religione praticata  dalla percentuale più alta della popolazione è quella anglicana che segue precetti simili eppur differenti dalla dottrina cattolica.
Sebbene lo scisma ufficiale sia avvenuto nel 1533, la separazione delle dottrine si originò molto prima durante il Medioevo, principalmente a causa della grande distanza tra Londra e Roma, inoltre la corrente "inglese" presso la corte papale aveva sempre avuto grandi libertà rispetto alla forma ufficiale e quindi anche queste divergenze erano state tollerate fino alla rottura di Enrico VIII.

Chi si avvicina a questa Fede ha un rapporto diverso con Dio e con l'autorità ecclesiastica di quello a cui siamo abituati come cattolici o anche solo come italiani.
La religione e le questioni di fede sono strette tra l'individuo e Dio senza alcun intermediario, ciascun fedele si rivolge direttamente al Padre e le letture e gli insegnamenti della Bibbia, proprio in assenza di una interpretazione intermedia data dai sacerdoti, viene fatta dalla persona, che spesso prende molto alla lettera i dettami dei Vangeli e dell'Antico Testamento, come esempi di vita da applicarsi all'esistenza.
Questa spiegazione della religiosità anglicana può forse essere un po' lacunosa, ma spero che riassuma i concetti che voglio trasmettere: imparando direttamente dalla Bibbia, gli esempi e gli insegnamenti con cui si entra in contatto sono dei più edificanti: da peccatori pentiti (la Maddalena) a mogli esemplari (Sara), personaggi pazienti (Giobbe) e dalla fede incrollabile (Abramo).
Una Sacra Bibbia di epoca secentesca
I comportamenti sponsorizzati dalla Bibbia non inneggiano certo alla libertà sentimentale, essa è spesso punita, basti pensare a Betsabea che per essere stata adultera di Uria e amante di Davide perde il suo primogenito, ma parliamo di Sodoma e Gomorra? I loro comportamenti erano così empi e snaturati che il Signore ha punito gli abitanti di quelle terre con un il fuoco distruttivo e il nipote di Noè, uno dei pochi esseri umani sopravvissuti, fu addirittura reso schiavo dei suoi zii per aver badato troppo alla nudità del patriarca anzichè ignorarla come fecero Sam e Iafet.
In quest'ottica è facile comprendere come per secoli la moralità sia stato il pilastro su cui si ergeva un'intera società.


I cambiamenti sociali
La società Ottocentesca è emblematica di come essa si sia dovuta adattare con gran rapidità ai mutamenti che si palesavano con gran frequenza. Il mondo e la sua struttura stavano cambiando e nuovi valori come il lavoro diventavano i cardini della società.
Sempre più persone, specialmente in Inghilterra con una borghesia tanto aggressiva, conquistavano una ricchezza tale che poteva permettesi di comprare anche l'accettazione del ton, il rigido, tradizionalista drappello di scudieri della regola è sempre stato così e non saremo noi a cambiarlo.
Il parvenu mangia metaforicamente
quella che è la
tradizione e l'aristocrazia,
ma le
prende anche con sè, inglobandole
e portando nella sua storia anche
i loro insegnamenti e qualcosa che
apparteneva loro.
Ma l'aristocrazia terriera aveva fatto il suo tempo ed era completamente decaduta con la Rivoluzione Francese, che aveva dato il colpo di grazia a questa ideologia. Alcuni nobili si riciclarono in imprenditori e industriali sfruttando i loro capitali acquisiti dalla terra [dimenticate gli eroi da romance moderno, uomini titolati con una carriera amministratore e progetti tecnologici da realizzare, erano R-A-R-I-S-S-I-M-I), ma la maggior parte, personaggi snob e legati al passato che gli garantiva privilegi e rispetto senza il minimo sforzo, non si degnarono di adeguardi e finirono in miseria, decaduti, poveri in canna e costretti, per mantenere il loro tenore di vita, ad imparentarsi con quegli odiosi parvenu che erano gli arricchiti, risaliti dalle fogne di paesi di provincia, dalle strade della capitale, donne nel cui passato c'erano impieghi da sarte e da cantanti, da attricette e popalne. Nell Gwynn e Madame de Maitenon furono entrambe casi emblematici, ma lo furono in un tempo in cui non era così diffuso e la loro gloria fu imputata al capriccio di un re, non divenne un fenomeno sociale.

E i borghesi, gli arricchiti, per cercare di farsi benvolere dai nobilastri, per fare in modo che le loro figlie potessero imaprentarsi con questi che si sentivano così superiori, ovviamente fecero in modo di essere irreprensibili.
Ricordiamoci, cari lettori, che la definizione di parvenu all'epoca era la seguente:
Parvenu: one that has recently or suddenly risen to an unaccustomed position of wealth or power and has not yet gained the prestige, dignity, or manner associated with it.
Parvenu: una persona che ha recentemente o improvvisamente guadagnato una posizione di ricchezza e potere, ma non il prestigio, la dignità e le maniere ad essa associate.
Edificante, non trovate? La società era apertissima al cambiamento... Questo in parte mutò quando arrivò il parvenu più parvenu di tutti, Sua Altezza Imperiale Napoleone I alla cui caduta si affrettarono a raggiungerlo a frotte americani e americane senza titolo, ma con un mare di soldi disposti a spenderli per qualsiasi cosa decidessero di volere ad ogni costo.

La vita borghese, durante l'Ottocento era tutta all'insegna del lavoro e della moralità (almeno ufficialmente) e quando le regole per accedere a certi ambienti non c'erano le si inventavano appositamente, in modo che si dicesse che le si stavano rispettando, che tutto fosse codificato e ci fosse una procedura per qualsiasi cosa. A volte ce n'era più d'una e lì si distinguevano le persone, dal riconoscere quale fosse quella corretta o quella più appropriata a seconda dell'ambiente e degli interlocutori.

In soldoni: l'epoca vittoriana era il background perfetto del self made man e prometteva a chiunque avesse ambizione di arrivare in cima alla catena alimentare.


I cambiamenti culturali
Con i cambiamenti sociali, ovviamente anche i cambiamenti culturali, per quanto osteggiati possano essere, erano inevitabili.
Conseguentemente a quanto detto sopra, si potrebbe dire che il lavoro rende liberi fosse lo slogan di quel periodo e poichè il lavoro in fabbrica era così ambìto rispetto a quello dei campi e disponibile sia per gli uomini che per le donne, oltre alla credenza di poter raggiungere la propria serenità lavorando, i victorians cominciarono a illudersi che fosse così per tutti.

Il film Hysteria presenta un interessante
spaccato sulla vita dell'Ottocento e
tratta in particolare il tema della
condizione femminile, del lavoro e del-
l'emancipazione
L'uguaglianza dei sessi, dei ceti e dei diritti divenne ben presto l'obiettivo da inculcare nelle menti e raggiungere nei fatti. Le suffragette e il femminismo, i moti per le costituzioni in tutta l'Europa, l'abolizione della schiavitù, il diritto di voto sono solo alcuni esempi. Molti conquistarono la propria realizzazione teorica proprio tra la metà e la fine del secolo, ma le battaglie perchè questi diritti non rimanessero solo sulla carta proseguirono per tutto il XX secolo e i nostri nonni che hanno votato nel '45 e i genitori che hanno visto e vissuto i moti del '68 ne sono testimoni come noi che ci battiamo contro privilegi di casta e di potere e ingiustizie non solo nel Paese in cui abitiamo, ma sull'intero pianeta.

Anche l'allargamento degli orizzonti, figlio di quella facilità di comunicazioni (la stampa, il telefono, la radio) è una delle grandi conquiste del secolo, così come quella del cielo e del mare.
L'uomo raggiunge le idee dell'illuminismo che lo vuole dominatore degli elementi grazie all'intelligenza.
Un orizzonte tanto vasto può essere una meta ambita, ma può anche fare paura.
I victorians messi di fronte a cotante novità si trovarono spiazzati, spaventati, e tentarono inutilmente di rimanere aggrappati a valori e comportamenti troppo antichi per i tempi che correvano. Nel tentativo di opporsi a questi cambiamenti che spaventavano a morte specialmente i più conservatori (e all'epoca essere progressisti non era di moda) molti comportamenti vennero estremizzati.
Ne nacquero quelle gabbi di pensiero e comportamento che tutti conosciamo, nella speranza che codificando gli aspetti dell'esistenza questa rimanesse costante e immutata.
A mio avviso fu principalmente la paura a rendere i vittoriani così rigidi e bigotti, paura di un mondo che andava costruendosi, ma talmente diverso da tutto quello che era conosciuto da destare terrore in chi viveva suddetti cambiamenti.
Immaginate quell'ammasso di novità in subbuglio come lo scoppio di una bomba atomica, l'effetto sul luogo d'impatto fu tremendo, ma fece riflettere un pianeta intero e così avvenne durante l'Ottocento.


Atteggiamenti e conseguenze
Tutto questo grande gioco d'incastri e di motivazioni portò ad un secolo tanto bigotto, tanto intento a nascondere qualunque cosa da risultare ridicolo ai nostri liberali occhi moderni che ci consentono di circolare in bikini, avere rapporti con più persone nell'arco della nostra vita, addirittura intrattenere amicizie miste senza creare scandalo.

La Casta Susanna, appunto, simbolo
femminile per antonomasia di modestia e
ritrosia nei confronti della tentazione della
lussuria in un
dipinto di Hugues Merle
Al tempo dei Victorians, invece, le ragazze si promuovevano in atteggiamenti di modestia che neanche la Casta Susanna avrebbe potuto far di meglio, ballare quattro volte con un giovanotto cominciava a dare adito alle chiacchiere, rimanere sola con lui in una stanza era uno scandalo, cioè, avete presente una simile intimità?
L'unica deroga era quando il gentiluomo in questione doveva chiedere alla sua bella di sposarlo, ma anche questo spesso e volentieri era fatto di fronte ad un pubblico di spettatori (che attestassero che non le era saltato addosso mentre si dichiarava).
Se una poveretta veniva violentata da qualche poco di buono era costretta a sposarsi su due piedi perchè ormai compromessa: come se fosse stata colpa sua. Se le andava bene le appioppavano un partito mediocre disposto a passare oltre il "peccatuccio" per soldi, perchè ovviamente era ampiamente ricompensato, altrimenti, se era davvero sfortunata, le toccava sposare l'uomo che l'aveva stuprata. Un mondo giusto.
In poche avevano il coraggio di condannare uno stupro e ancora adesso molte donne non denunciano percosse, violenze, ecc. per paura del giudizio della società che dopo tanto tempo dice ancora che se un uomo violenta una donna un motivo ci deve essere e infatti quasi tutta la difesa del Mostro del Circeo era basata sul fatto che quelle due poverette (una purtroppo morta ammazzata e l'altro sopravvissuta per miracolo) fossero consenzienti.

Naturalmente molti e molte non erano disposte ad aspettare e violavano le regole consumando il matrimonio prima della cerimonia o anche senza un reale impegno, in quel caso le soluzioni erano due: o il tutto sfociava in uno scandalo oppure nessuno ne sapeva nulla. Era nell'interesse di entrambi tacere sull'accaduto e a volte i mariti o i fidanzati erano così sprovveduti da non accorgersi che la loro sposa aveva molta, molta esperienza.

In certuni casi, magari quando una ragazza era innamorata di un giovanotto che non poteva sposare, i due cercavano di crearsi un minimo di intimità lasciando inalterata la verginità di lei in modo da non dare adito a dubbi.
Nel caso il futuro sposo avesse dei dubbi circa la castità della sposa, poteva richiedere un "esame dell'imene" dove la ragazza era visitata da molti medici che ne controllavano l'integrità. Sottoporsi a questo esame era estremamente umiliante per lei perchè si partiva dal presupposto di colpevolezza (che non era certo un bell'atteggiamento, si veda il caso di Italia Donati) e quale che ne fosse l'esito lei rimaneva tacciata di comportamenti lascivi, già solo per il fatto che altri uomini oltre al marito ne avessero esaminato o visto i genitali, il che capirete che è un controsenso bell'e buono perchè era proprio il futuro marito a richiederne l'esame.

I victorians erano, a mio parere, così rigidamente bigotti da vedere il sesso in ogni cosa, forse perchè non pensavano ad altro?
Risale a quel periodo la dicitura ancora oggi in voga di carne bianca per indicare la carne proveniente da pollame e pesce, in origine questa descrizione era però riservata solo al lascivo petto di pollo per sostituire la parola "petto" che era troppo osé per i canoni del tempo!

La Regina di Saba è il simbolo
biblico per eccellenza della
tentazione femminile, della
malizia e della seduzione con
cui lei cerca di irretire
Salomone.
Il suo fascino esotico viene
spesso rappresentato nell'arte
con atteggiamenti provocanti e
vesti discinte, attorniata da
figure e animali dell'Oriente
La gamba di un tavolo scoperta dalla tovaglia?! Sacrilegio, qualcuno potrebbe cominciare a pensare male!
E bisognava correre a coprirla subito, tutte le zampe di leone, i pomoli e gli appoggi di poltrone, tavolini, supporti e angoliere erano opportunamente cammuffati perchè gli ospiti della casa non indugiassero in pensieri poco casti alla dicitura "gamba", si sa la fantasia galoppa.

Una caviglia scoperta per un caso fortuito e non intenzionale era il preludio di un'orgia, secondo i benpensanti dell'epoca, nessuna ragazza avrebbe mai sollevato le donne quel tanto da mostrare le gambe.
Tra questo e farsi la pipì addosso come era uso, non so quale dei due comportamenti fosse più civile...

Niente guanti? Orrore!
Il gomito è una parte troppo intima per essere mostrata con leggerezza. Era invece tollerato un profondo scollo dell'abito, per un certo periodo la moda comandò che il taglio del corpetto dovesse essere due centimetri sopra i capezzoli, ma la scollatura doveva essere coperta da uno strato di tessuto leggero per non scandalizzare troppo.

Le ragazze perbene, inoltre, non frequentavano musei e mostre sulla classicità, che all'epoca, come ricorderete, era in piena fase di riscoperta, questo perchè durante il periodo della Grecia classica e della romanità gli scultori indugiavano spesso nel ritrarre o scolpire i genitali ai soggetti maschili delle loro statue e non stava bene che una donna prendesse troppa confidenza con ciò, per illibata che fosse.
Un Laocoonte come quello conservato a Roma potrebbe fin troppo facilmente traviare le povere fanciulle dell'epoca, ignoranti in materia per tutta la vita.
D'altra parte nella splendida Cappella Sistina il Papa comandò che un pittore (Daniele da Volterra, detto "il Braghettone") dipingesse le brache a tutti i personaggi di Michelangelo, che in linea con l'idea che il Giudizio Universale sarebbe stato dell'anima e non del corpo, li aveva fatti nudi. .
A piede libero invece le rappresentazioni, anche sacre, di donne nude e al bagno, dove certi pittori non perdevano occasione di spogliarle e di fare sì che i panneggi e le vesti fossero opportunamente cascanti.

La scelta Ottocentesca di ripiombare in un Medioevo culturale senza fondo ebbe seguito solo per un certo periodo, il continuo mutamente sociale, i cambiamenti inarrestabili, la parità dei sessi, la necessità del lavoro, il mutamento della società in qualcosa di nuovo e completamente differente da quanto visto fino ad ora spazzarono via tutti queste fisime. Nel Cinquecento Pietro Aretino scrisse i Sonetti lussuriosi, nel Settecento si pubblicò con grande successo Fanny Hill e improvvisamente divenne vietato parlare di qualunque cosa: era un'imposizione così innaturale che non durò e, seppur lentamente, si era dimostrato una volta per tutte che la strada da percorrere doveva essere quella della libertà e non delle costrizioni e dei divieti, purchè l'esercizio dei diritti avvenisse nel rispetto di quelli degli altri.
Ecco la genesi di come noi siamo così liberi di comportarci e decidere come meglio crediamo.




Mauser







A tutti quelli che ancora credono che per giudicare la bontà d'animo di una persona basti guardare la sua modestia lascio un vecchio, ma saggio dipinto di Tiziano intitolato L'amore sacro e l'amore profano, conservato a Villa Borghese (RO)

 Ricordando che l'amore sacroè quello svestito.
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