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Il sunbonnet

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Con la parola sunbonnet in inglese si identifica una particolare foggia di copricapo a metà tra una cuffia e un cappellino.
Girl of the Golden West
by Harrison Fisher
Il sunbonnetè infatti una variante della cuffia femminile che serviva durante l'Ottocento per ripararsi dal sole e dai suoi raggi senza doversi necessariamente munire di cappello.


Particolarmente diffuso tra le persone di campagna e tra le donne del West, dove le donne lavoravano sotto il sole molte ore al giorno, il sunbonnet era il connubio perfetto tra la freschezza di una comoda cuffia di cotone o lino e la protezione di un cappellino così in voga fino alla metà del XIX, quando il cappello femminile cominciò a diventare sempre di più un accessorio meramente estetico, una appendice ornata di nastri, gale, fiori e pizzi atta a sfoggiare la ricchezza dell'indossatrice e priva di un motivo diverso dall'estetica.

L'origine del sunbonnet, nella sua forma di "cuffia parasole"è probabilmente medievale. Ricordiamoci che, a differenza di quello che insegnano i romanzi e i romance e la filmografia contemporanea al riguardo (parlo soprattutto delle produzioni di ambientazione medievale dagli anni '60 agli anni '80), le eroine del passato non andavano in giro con la chioma al vento né col capo cinto da diademi e corone (riservati alle occasioni più prestigiose), ma indossavano tutte un copricapo diversificato a seconda del periodo, della moda e della classe sociale.
Esso poteva essere una cuffia, un cappello a punta come quello delle streghe, un soggolo, un cappello floscio alla moda rinascimentale, una corona di stoffa, un velo, una retina... nel caso delle classi meno abbienti, esattamente come le persone delle campagne georgiane e vittoriane, l'unico copricapo disponibile per costo e tessuti era la cuffia, con qualche variante sul tema, proprio per ripararsi dal sole: signore e signori ecco il sunbonnetante litteram medievale.
La sua foggia era pressappoco quella del sunbonnet, la visiera non sempre era presente e forse assomigliava più ad un baschetto francese con una fascia molto larga o ad un cappello da cuoco, ma era indossato da tutte le donne delle classi più povere come simbolo di dignità e decenza. Nel Medioevo, infatti, la Chiesa comandava che le donne tenessero un abbigliamento sobrio, privo di orpelli e ornamenti inutili, ma improntato alla praticità e le più conformate a quest'idea erano proprio le popolane in quanto avevano poco delle pietre e degli ori e delle sete di cui si ricoprivano le nobildonne e le mogli dei commercianti e quando non c'erano neanche i soldi per un cappellino, allora uno scialle, un velo o qualsiasi telo anche sgualcito poteva andare bene da drappeggiarsi sulla testa, dopotutto il velo della Madonna aveva dettato la moda fino ad allora e si poteva continuare a portare avanti la tradizione.
Nonostante le nobildonne raramente abbiano rinunciato a sfoggiare la loro ricchezza, tutte giravano col capo più o meno coperto anche solo da un impalpabile velo di lino o pizzo sul capo.
In questa immagine sono contenuti molti tipi di cropricapi tipicamente medievali, alcuni sono bellissimi e vorrei quasi che tornassero di moda...
Quelli indossati dal popolo sono il secondo e il quarto della terza fila a destra (in verticale), come vedete, a parte una bella punta alla Robin Hood, assomigliavano entrambi parecchio ad un sunbonnet.
Se fate caso ai costumi tradizionali di tutta l'Europa, ma anche solo del nostro Paese vi accorgerete che tutti sono dotati di un qualche tipo di telo, velo o cappello perché le donne si coprissero il capo.

Come detto nel post di reciminazioni contro stupidi registi e ignoranti costumisti, che visto l'argomento odierno vi invito a leggere, i copricapi introdotti dal Medioevo in poi e mantenuti ininterrottamente fino alla seconda metà dell'Ottocento in quasi tutte le funzioni quotidiane facevano in modo che i capelli non si sparpagliassero o apparissero troppo disordinati, dopotutto il fascino bohemienneè un'invenzione recente dell'ultima parte dell'Ottocento, e inoltre servivano a ripararsi dall'abbronzatura (la bellezza ha prescritto un incarnato cereo fino alla fine del XIX secolo) e dai raggi del sole (svenimenti per la calura, colpi di sole, bruciature, ecc.).

La differenza principale tra il bonnet e il sunbonnet sta nella fattura, nei materiali e nella larghezza della visiera del cappello, mentre nel bonnet questa è appena accennata ad incorniciare il volto e spesso è decorata all'interno da satin, raso, seta o altri tessuti che mettessero in risalto l'incarnato, il sunbonnet ha una visiera molto ampia che corre per tutto l'ovale del viso e di profilo questo non si riconosce assolutamente, risultando completamente coperto dal semicerchio del cappello.

Sunbonnet Sue con il cagnolino,
una dei Sunbonnets Babies
I cappellini sunbonnet probabilmente sono noti a tutti, sebbene in pochi ne conoscano il nome, li si vedono spesso nei telefilm del West e nei libri per bambini, esiste addirittura una linea di illustrazioni per l'infanzia chiamata Sunbonnets Babies che raffigura alcune bambine di campagna intente in varie attività (giardinaggio, cucina, lavoretti del cortile) in ampi camicioni decorati e con il volto completamente coperto dal cappellino.


Una caratteristica particolare del sunbonnetè infatti una striscia rigida che incornicia il viso femminile e che serve per proteggerlo dal sole; nelle zone del West e in campagna questo era molto importante sia per proteggersi da insolazioni e ustioni che per mantenere bianca la pelle come voleva la moda del tempo.

La forma classica del cappellino era costituita da un'ampia cuffia in tessuto che copriva il capo fino alla nuca, questa era arricciata sul bordo da cui partiva il contorno viso, questo era rigido e realizzato tramite sostegni di legno leggero, in vimini o inamidato in modo che assumesse la forma ovale della faccia; alle due estremità inferiori partivano i nastri che servivano per legare il cappellino sotto il meno, come il classico bonnet.

Nella parte posteriore del cappello poteva esserci un'altra aggiunta costituita da un lembo di stoffa che dalla cuffia scendeva a riparare anche il collo (per lo stesso motivo della faccia) fino ad adagiarsi sul colletto dell'abito, in modo da non lasciare spiragli di pelle scoperta al sole.

Dipinto ispirato a La casa nella prateria
by Jim Lamb
La ragazza indossa il caratteristico sunbonnet
per i lavori di tutti i giorni
L'origine del sunbonnetè probabilmente da far risalire al cappello puritano femminile, durante il periodo della Repubblica, infatti, la legge prevedeva che le donne indossassero ampie cuffie bianche che coprissero tutti i capelli e gran parte del volto. A differenza del sunbonnet il cappello puritano non aveva arricciature né disegni o ricami, i lembi sul davanti erano più morbidi e ripiegati all'indietro per mostrare il volto.
In alcune varianti il cappello puritano aveva un lembo posteriore molto lungo che andava a coprire le spalle della ragazza, in altri casi questa funzione era svolta dall'ampio colletto bianco e rigido del vestito (erano tutti un po' omologati come abbigliamento, sia uomini che donne).

La versione bianca o in colori pastello è la più conosciuta del sunbonnet ed era impiegata dalle donne per i lavori di tutti i giorni, era indossato dall'alba al tramonto e veniva tolto solo quando si entrava in casa (dove era maleducazione tenere il cappello in testa), una volta varcata la soglia si potevano riconoscere tanti cappellini di cotone o lino appesi al retro della porta della cucina.
Ma i sunbonnets si prestavano moltissimo per sbizzarrire la fantasia femminile dell'epoca e, specialmente quelli "della domenica" o "della festa", come si usava dire, ed erano realizzati in tessuti sia stampati che ricamati a mano; si vedevano quadri e righe, pois, fiorellini, addirittura piccoli disegni e anche colori vivacissimi come il giallo, il verde e il rosso, una cosa rara per l'epoca, dove si prescriveva la massima serietà nel vestiario. Il tessuto prediletto per la realizzazione di questi copricapi era il suazette perché ricordava vagamente la lucentezza del costoso satin, purtroppo ormai non viene più prodotto a causa dell'introduzione dei tessuti sintetici e della possibilità per tutti di procurarsi scampoli lucidi e morbidi; la mistura che più si avvicina come risultato potrebbe essere formata al 50% da cotone e poliestere.

Le ragazze più vezzose ricamavano a mano il motivo della cuffia e dello stesso tessuto poteva essere ricoperta anche la parte rigida, quest'ultima poteva addirittura terminare col altro tessuto molle e arricciato sul davanti ad incorniciare il volto. C'era libertà per applicazioni di nastri e rouche, si usavano colori a contrasto e in abbondanza e il cappellino era, per le ragazze di campagna, una delle cose più care che avessero (molte non possedevano le scarpe), alcune ne avevano più versioni a seconda se dovevano presenziare alla messa, ad una visita o semplicemente lavorare.

Un sunbonnet vittoriano molto
elaborato ed eccezionalmente
realizzato in tessuto e vimini, questa
caratteristica lo identifica come
appartenente ad una ragazza ricca
Il cappellino classico, o bonnet, era troppo caro per le zone di campagna perché realizzato con materie pregiate e costose, di conseguenza il sunbonnet era un accessorio per tutto l'anno. Le versioni primaverili ed estive si assomigliavano molto, mentre quelle autunnali e invernali erano realizzate in tessuto spesso e impermeabile come il feltro e, nei casi dei più abbienti, decorate con pelliccia di animali come il coniglio.
Col passare del tempo il sunbonnet divenne l'emblema di una certa provenienza o propensione country, ma poiché nell'Ottocento essere country non era minimamente di moda (provinciali) poche ragazze indossavano questo accessorio nelle grandi città, dove non sussisteva neanche la necessità di proteggersi dal sole.
Una circostanza particolare in cui le donne di città portavano il sunbonnet erano le sporadiche passeggiate al mare che compivano dall'epoca dlla Reggenza fino a metà Ottocento, prima che andare al mare diventasse di moda. In quel caso le dame avevano nel loro guardaroba una tenuta chiara e poco elaborata perché potessero passeggiare in libertà senza preoccuparsi del sole che bruciava la pelle o di provare eccessivamente caldo.

I sunbonnets erano invece estremamente diffusi nelle cittadine di provincia e di campagna anche dalle più ricche perché in quelle parti del territorio la moda non cambiava mai e si attraversarono i periodi Regency e Vittoriano in cui le contadinelle portavano sempre lo stesso tipo di vestito, con camicia chiara, gonna a fantasia non troppo ampia, saltuariamente un corsetto (ma mai per il lavoro nei campi) e niente scarpe. Pressappoco quello che la Principessa Aurora porta nel film Disney de La bella addormentata nel bosco: dal Medioevo il cambio di moda in campagna è stato minimale, altro che vita alta, vita bassa, ecc., il massimo della vanità erano le maniche a palloncino.

Durante la seconda metà dell'Ottocento la moda dei sunbonnets cominciò a scemare.
L'industria tessile incominciò a sfornare questi accessori in gran quantità facendo perdere tutta l'attrattiva della realizzazione manuale, inoltre una sempre maggiore ricchezza delle famiglie permise alle ragazze di potersi permettere l'acquisto dei modaioli cappellini "da cittadine" tramite i cataloghi postali e gli empori.
Questa illustrazione raffigurante un
sunbonnetè tratta da un libro per
l'infanzia edito nel 1913 in America
I sunbonnets mantennero un buon numero di affezionati sostenitori nelle moglie e nelle figlie dei pionieri del West, gente spesso povera in cerca di fortuna o che viveva in zone dove la moda non solo non arrivava, ma non aveva neppure significato; grazie a loro questo copricapo e noi consideriamo erroneamente un po' il simbolo delle donne del West arrivò anche nel centro degli USA, in quegli stati uniti da poco al Territorio e ancora da colonizzare, dove la ferrovia era un miraggio nel deserto e la vita estremamente difficoltosa.


Dal Novecento in poi la moda dell'abbronzatura cominciò a prendere piede e così l'ultima motivazione che ancora teneva in piedi l'uso di questi cappellini cadde sotto il peso della nuova tendenza, ma le donne anziane che lavoravano e lavorano i campi utilizzano ancora oggi coprirsi con questi cappelli, non solo per proteggersi dalle bruciature o dall'abbronzatura, ma anche per salvaguardarsi il capo dai raggi battenti del sole.

In America sopravvivono ancora oggi alcuni esempi di sunbonnets in uso principalmente nelle aree rurali, dopotutto negli Stati Uniti esistono ancora interi villaggi senza elettricità né luce o gas (per buona conoscenza di Bella Swann che pensava che Forks fosse un posto dimenticato da Dio e anche per Pittacus Lore che ha spedito i suoi protagonisti in una zona ancora "evoluta"), si tratta perlopiù di località montane sulle Rocky Mountains, ma stiamo anche parlando del XXI secolo, con il mondo costantemente connesso tramite la tentacolare rete informatica, un mondo dove la teoria del caos assume tutta un'altra prospettiva.

Nella nostra Italia, dove questa moda non arrivò mai, le donne che lavoravano i campi o nelle risaie usavano coprirsi il capo con ampi fazzoletti fino agli anni Settanta, questi erano annodati o sotto il mento o dietro la nuca ed erano portati (sebbene nella versione migliore) anche la domenica in chiesa perché era considerato sconveniente apparirvi col capo scoperto, al contrario di ciò che si prescriveva agli uomini, ovvero togliersi il cappello.

Una variante del sunbonnet, suo parente stretto e molto famoso è il cappello da olandese (dutch cap) che può essere considerato un ottimo mix tra il cappello puritano (a punta e ornato da un nastro con fibbia) e una cuffia di cotone, lino o pizzo.
La particolarità del cappello olandese è di avere due lembi triangolari cuciti sulla fronte che potevano essere portati o sciolti lungo il viso per ripararlo dal sole o dal vento o ripiegati all'insù nella classica foggia che tutti ricordiamo.
Nell'iconografia che conosciamo, di solito il dutch cap viene associato a lunghe trecce bionde e incarnato molto chiaro, ormai i lembi si sono notevolmente accorciati in lunghezza tanto da apparire come due riccioli ai lati del viso, ma più spesso erano lunghi fino alle spalle.

A questi interessantissimi link troverete delle guide pratiche per cucire il vostro sunbonnet molto country girl
Unsung sewing patterns | Sunbonnet for ladies
Pick up some Creativity | Pioneer Sunbonnet Tutorial 


Curiosità 
Per via dei Sunbonnets Babies, di cui le protagoniste indiscusse sono May e Sue, i bambini col grande cappellino country sono uno dei temi preferiti nel cucito patchwork, in particolare si realizzano sagomando diversi scampoli di stoffa a formare il cappello, l'abito, il grembiule o i nastri e li si cuciono sopra una tela che fa di base, generalmente di un'unica fantasia.
Queste realizzazioni dal sapore molto campagnolo (spesso si usa stoffa a fiorellini o quadretti, scozzese, ecc) sono impiegate sia nell'arredamento infantile che nella personalizzazione di case country, ma si prestano anche per borse, porta-accessori e coperte o plaid.


Links, fonti e sitografia

Merriam-Webster Dictionary | Sunbonnet
Springfield Greene County Library | Sunbonnet
Sunbonnet Smart
Time Travel Craft | Sunbonnets

Spero che anche questo approfondimento sia stato interessante come, mi auguro, i precedenti.
Un bacione a tutti e a presto!




Mauser

Suspense the innocents: il film

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Cari lettori,
La locandina italiana del film
come ve la passate? Io sono veramente molto presa dal lavoro in questo periodo, al punto che tra le tante cose che sto sacrificando purtroppo ci sta finendo anche un pezzetto della mia vita e me ne dispiace da morire, infatti sto cercando di recuperare tagliuzzando tempo da altre cose, purtroppo il GsG è uno di queste, sono desolata, ma non ho davvero altre alternative al momento e temo che in futuro sarà anche peggio, infatti sto riflettendo sulla (tremenda) possibilità di chiudere il Georgiana's Garden. Non sono più regolare con gli aggiornamenti né ho tempo per scriverli, a volte sono costretta ad impormeli per forza e questo non mi va perchè un blog dovrebbe essere distensivo, qualcosa di rilassante, un passatempo, perciò ci sto pensando, non sono ancora giunta ad una decisione: staremo a vedere.


Detto ciò, fingiamo per un po' che non stia succedendo nulla e continuiamo come se nulla fosse.
È luogo comune affermare che un film non saprà mai eguagliare un buon libro, quante volte l'abbiamo sentito ripetere? Infinite volte.
Eppure bisogna ammettere che anche per buoni libri ci sono stati film che hanno saputo reggere egregiamente il confronto quando non addirittura surclassare la sua fonte letteraria.
Oggi vi parlerò appunto di uno di questi casi, IMHO, che hanno saputo reggere degnamente il paragone.
Il film di cui parliamo è Suspense: the innocents, il libro a cui si ispira Giro di vite.
Per chi è appassionato di epoca vittoriana, Henry James, l'autore del sopracitato romanzo, è un must have e infatti si tratta di un autore molto valido e che sa ricreare con estrema competenza e maestria le atmosfere e le sensazioni che descrive nei libri, di questi Giro di viteè un titolo senza dubbio carico di tensione, pathos e, per l'appunto, suspense e narra di una storia molto particolare sul modello di Jane Eyre, ma con risvolti completamente diversi; in questa vicenda il mistero e il soprannaturale si itnrecciano fittamente ed è proprio a questa metafora della vite, la pianta dell'uva, che si rifà il titolo: come la vite, che si attorciglia intorno al suo supporto fino ad inglobarlo dentro di sè, in questa vicenda la credenza e la consapevolezza si mescolano fino a confondersi del tutto.


Trama
Miss Giddens con gli occhi spiritati, icona della follia
del film e autosuggestionata dalle visioni di spettri
e fantasmi che si impossessano dei due ragazzini

La trama non è particolarmente ingarbugliata, eppure lo pare: una giovane istitutrice dall'aspetto di una austera zitella viene assoldata da uno degli uomini più in vista della capitale per trasferirsi nella di lui casa di campagna ad occuparsi dei due nipoti. Unica puntualizzazione che il gentiluomo fa a Miss Giddens, la protagonista, è che lei non avrebbe mai dovuto seccarlo per alcuna questione riguardante i ragazzi, niente sarebbe mai stato tanto importante da portare l'uomo ad interessarsi alla questione.

Miss Giddens, armata della tempra delle istitutrice parte subito per la campagna e nel bel maniero di Mr Douglas conosce uno dei due pargoli, la dolce Flora che abita nella casa, il fratello Miles, di un anno più grande, è infatti a studiare in collegio.
L'arrivo di Miss Giddens sembra coronato dal sole e dal successo, Flora è una bambina adorabile, la casa graziosa e il giardino meraviglioso, eppure qualcosa non va. La pace della villa è interrotta dalla notizia che Miles è stato espulso dal collegio per atteggiamenti pericolosi, eppure Miss Giddens, che presto conosce il bambino, non se ne capacita perchè si tratta di un ragazzino dolce e gentile.
Sempre più convinta che qualcosa non vada, Miss Giddens si accorge improvvisamente di alcune particolarità intorno ai piccoli, che a tratti paiono posseduti da spiriti malvagi e crudeli che li portano ad atti completamente folli e violenti, in particolare un uomo dai capelli rossi e una donna pallida e spettrale che si avvicinano rispettivamente a Miles e alla sorella.

I due piccoli protagonisti, Miles e Flora,
all'apparenza due normalissimi bambini dall'aspetto
angelico e i modi perfetti eppure (forse) posseduti
dagli spiriti dell'ex guardaboschi e della precedente
istitutrice
Attraverso i racconti della signora Grose, la governante del palazzo, Miss Giddens si fa coraggio e affronta la storia di Quint e Miss Jessel, l'ex governante e il giardiniere suo amante, entrambi morti in situazioni drammatiche, in particolare lei morta suicida nel laghetto di casa dopo la tragica dipartita di lui: i due a quanto pare avevano un grande ascendente sui bambini e questi li avevano spessi colti in situazioni compromettenti, sia mentre consumavano il loro torbido amore che mentre davano sfogo alla violenza della passione con gesti di natura drammatica, percosse, ecc.
Eppure i bambini non fanno mai cenno ai due presunti "fantasmi" né al rapporto che avevano insieme prima della scomparsa dei due o delle cose che avevano visto.
Nessuno nella casa ha mai visto apparire gli spettri dei due domestici e i bambini si rifiutano di ammettere una cosa del genere: è tutto vero o si tratta di congetture e visioni di una Miss Giddens che si addentra sempre di più nel mistero rimanendone invischiata e trascinando pezzi del puzzle dentro e fuori, inventando e credendo? Rimane ossessionata dalla vicenda dei due amanti, storia tragica quanto violenta di un amore fatto anche di soprusi e angherie. I due impiegati possiedono davvero i bambini alienandoli dalla loro natura o è solo la mente di lei a giocarle queste idee?
Preda della sua stessa ossessione, Miss Giddens decide di affrontare la cosa direttamente con i due bambini chiedendogli chiaramente notizie di quanto l'assilla.

La storia, così come il finale, rimarrà in sospeso perchè Flora, l'unica che ammetta un legame, rimane stremata dalle insistenze di Miss Giddens e cede completamente collassando a causa di un esaurimento e viene rimandata a Londra, rendendo di fatto la sua testimonianza irrilevante. Miles, dal canto suo, dopo un confronto nel quale viene più e più volte incalzato dall'istitutrice, muta più volte atteggiamento, fino a che non muore nel giardino, sempre più spinto dalla donna ad ammettere di essere posseduto.


Il film
L'istitutrice si aggira terrorizzata di notte per casa incutendo
più terrore degli stessi fantasmi, alla ricerca di risposte
sul passato e dui due ragazzi.
Il film ricalca molto fedelmente la trama del romanzo di James, con interpreti veramente grandiosi, attori di un calibro stellare. Deborah Kerr veste i panni dell'irreprensibile quanto ossessionata Miss Giddens in una recitazione veramente di alto livello, ancora più suggestiva dall'ambientazione storica e dai costumi ottocenteschi. I due bambini sono meravigliosi, l'interprete di Miles ancora più della sorella, entrambi sono in grado di ricreare con maestria la suggestione che colpisce leggendo il libro originale e inoltre l'uso del bianco e nero nella ripresa enfatizza ancora di più l'atmosfera.
Si tratta di una specie di versione noir di Jane Eyre, ma con molto più pathos del fiacco tentativo dell'anno scorso con la protagonista di Alice in Wonderland nelle crinoline da istitutrice.

Le tematiche sono molto forti, dovevano essere davvero scandalose per i tempi in cui le scrisse Henry James, perchè si tratta non solo di spiriti e Fede, ma anche di credenza, suggestione, magia, amore violento, sottomissione fisica e sessuale, rapporti extraconiugali, connivenza, ossessione e perfino attaccamento morboso, come quello che Miss Giddens dimostra alla fine nei confronti di Miles, un attaccamento ancor più accentuato dal bacio proibito che l'istitutrice posa sulle labbra morte del bambino mentre lo stringe a sé.
Anche lo spettatore è disorientato: è tutto vero o è tutto frutto della mente di lei che ha fantasticato sulla questione dei due amanti? I bambini sanno o vedono i due spettri, ammesso che esistano? E questi li possiedono sul serio?
I comportamenti un po' spacconi di Miles dopotutto, sono giustificabili da un'età in cui i ragazzini cercano di fare colpo sugli adulti con qualsiasi mezzo e Miles, che in certe scene pare quasi voler sedurre Miss Giddens, potrebbe essere solo uno di quei bambini. Oppure il redivivo Quint.
Miss Giddens con Flora e la governante
subito dopo che lo spirito di Miss Jessel
ha spinto la piccola a tentare il suicidio
nel laghetto della casa
Tutto il mistero, esattamente come nell'originale, pare rimanere irrisolto ed è il lettore/spettatore a credere ad una delle due versioni, ovvero se una Deborah Kess folle abbia completamente travisato la realtà divenendo pazza e ossessionata oppure se davvero gli spiriti dei due amanti morti riescono a entrare nel corpo dei pargoli comandandoli come robot e dando loro l'impronta del loro carattere.

Ecco cosa ci dice Morando Morandini, noto critico cinematografico, a proposito di questo titolo, a mio parere una recensione azzeccatissima
[...] Tratto da una racconto di Henry James (Giro di vite), Jack Clayton firma forse uno dei capolavori del genere gotico che, a distanza di anni, riesce ancora a suscitare angoscia e paura per gli eventi raccontati. I punti di forza di Suspense sono la grande interpretazione di Deborah Kerr, ambigua tanto quanto la stessa atmosfera che regna nella casa, in alcuni momenti dolce e comprensiva, in altri fredda e invasata lei stessa; l’uso degli spazi interni e dei particolari architettonici, perfetti nel ricreare un’atmosfera angosciante degna del miglior espressionismo tedesco; l’uso della profondità di campo quanto mai azzeccata per suggerire ed evocare le presenze maligne che minacciano le anime e i cuori dei bambini. 


Ambientazione & costumi
L'ambientazione del castello di Bly dove arriva la Kerr è fenomenale perchè racchiude in sé sia l'anima di un paradiso, con un giardino rigoglioso e una casa Tudor veramente splendida, ma anche elementi grotteschi e orrorifici, ad esempio le statue dei gargoyle che adornano certi piedistalli o l'aria vagamente abbandonata di certe location, come il tempietto sul lago dove Miss Giddens crede di scorgere per la prima volta il fantasma di Miss Jessel che possiede la piccola Flora tentandola al suicidio.

Miles e il fantasma di Peter Quint, l'ex guardaparchi che
Miss Giddens sostiene di vedere e che condiziona le
azioni del bambino.
A mio avviso veramente terrificante è la scena in cui l'istitutrice si arrampica fino alla soffitta dove mobili vecchi e giocattoli rotti sono accatastai e lì viene sorpresa da un Miles diabolico che cerca quasi di soffocarla. Una simile scena pareva quasi tratta dai libri di Stephen King e non è l'unica che Henry James creò ben prima che il maestro dell'horror desse fondo alla sua fantasia spaventando intere generazioni di lettori e di spettatori dei film che sono stati tratti dai romanzi.

Il costumista di questo film, oltre all'arredatore, merita un premio specialissimo perchè il modo di vestire dei personaggi è perfetto e sublime e rende ancor più realistico il tutto. Se Miss Giddens indossa splendidi vestiti vittoriani a crinolina e corpetto decorato, ancor più suggestivo è il guardaroba dei due piccoli, abbigliati alla perfezione e in maniera impeccabile, dicotomia di come l'aspetto esteriore sia ben diverso da quello che si nasconde nell'animo e nelle azioni di ciascuno.


Tematiche
È importante tenere a mente che, per quanto si possa rimanere impressionati da questo film (e io lo sono stata un bel po'), non si tratta di un horror, ma di un'intera produzione basata sulla suggestione.
Certo l'aspetto emaciato di Miss Jessel o gli occhi satanici di Quint possono indurre ad avere pensieri terrorizzanti, ma non scorre una goccia di sangue e l'intero terrore che cresce nello spettatore è tutto frutto di una sua idea personale, naturalmente suscitata dal regista. Ma niente viene realmente rivelato, tutto è ammantato di una quiete fin troppo profonda che fa lavorare la mente al doppio di quel che dovrebbe iniziando congetture, domande, ecc.
Credo sia efficacissima la descrizione che ne viene fatta in questa recensione:
Raffinatissimo film di genere [gotico],dove la paura viene suggerita più che esibita. Personaggi ambigui,vittime ma anche membri attivi di un delirio collettivo,dove tutti sembrano nascondere segreti.

Miss Giddens negli splendidi costumi vittoriani
che contribuiscono al fascino di questa vicenda.
La ricostruzione dell'abbigliamento è meravigliosa.
In lontananza si scorgono i due bambini, anche
loro vestiti secondo la moda dell'epoca.

Come si è detto gli aspetti trattati sono molteplici.
Dalla follia di una donna, non si sa bene se giustificata dagli spettri o solo un parto della sua mente malata, al suo amore morboso nei confronti di un bambino neanche decenne, qualcosa di contronatura. Il suo legame coi piccoli si esprime però in un desiderio di protezione al limite dell'ossessione, Miss Giddens diventa addirittura aggressiva nei confronti di Miles e Flora per cercare di spiegare se la propria è follia o se in effetti esistono i fantasmi dei due ex dipendenti della casa, ma mentre Flora alla fine cede, non si sa bene se per accontentarla o per realtà, finendo vittima di un esaurimento, Miles mantiene la sua posizione, disorientando ancor di più lo spettatore, fino al tragico epilogo che ne porterà la morte.

L'intera casa nella quale si svolge il tutto pare irreale, la servitù tace e nulla dice al riguardo, non si parla delle stramberie dei piccoli né dei due tragici amanti, le informazioni che l'istitutrice riesce a recuperare dalla governante sono davvero cavate con le pinze e riguardano un amore tanto tragico quanto orribile fatto di violenza e prevaricazione del guardaboschi nei confronti dell'isitutrice, violenza non risparmiata neanche davanti agli occhi innocenti dei piccoli di casa che, inconsapevolmente, ne imitano le mosse, spiazzando ancor di più la loro insegnante.


Insomma, Suspense merita almeno una visione nella vita per tutti gli amanti di epoca vittoriana e storie in costume. Il taglio orrorifico è particolare per una storia di questa ambientazione, raro a trovarsi eppure efficacissimo se ben congeniato.
Se volete un consiglio: luci accese e  buona compagnia, non è come guardare Il settimo sigillo che all'apparizione della Morte tutti si mettono a ridere per come ormai risulti datato, qui si suda freddo per davvero. E meglio non mettersi a dormire subito dopo. Personalmente non sono un'amante del genere horror, ma questo non è il caso, Suspense potrebbe essere catalogato più come un noir.

La grandiosa recitazione di Deborah Kerr rende tutto più credibile e terribile.
La sua interpretazione dell'istitutrice, in bilico tra paranormale e ossessione è magistrale per un'attrice di un calibro eccezionale che anche senza parlare, ma attingendo a sguardi, occhi sgranati, smorfie ed espressioni riesce a rendere alla perfezione i difficili e discordanti sentimenti che la animano.



Links
Wikipedia | Suspense (film)
Wikipedia | Il giro di vite
MyMovies | Suspense
IMDB | Suspense
Film.tv | Suspense
ThrillerMagazine | Giro di vite per Suspense
Il Perturbante: Freud e Henry James
Loveisthedevil | The Innocents (Suspense)
Zabriskiepoint | Suspense The Innocents
MoviesInMyArms | Suspense (The Innocents)





Mauser

Lo sfruttamento minorile

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Qualche tempo fa (che per essere politically correct e mantenere il buon nome del blog non specificherò) mi è stato chiesto un approfondimento a proposito dello sfruttamento minorile durante l'epoca vittoriana ed è con grande piacere che mi accingo ad affrontare questo argomento, anche se estremamente dispiaciuta di aver lasciato trascorrere tanto tempo tra la richiesta e la sua conclusione: purtroppo, come vi accennavo nel post passato, sono un bel po' assillata dal lavoro, scadenze che incombono, progetti in partenza imminente (speriamo! incrociate le dita per me) e problemi gravissimi sono purtroppo all'ordine del giorno e mi portano spesso a viaggiare, sebbene sia sempre stata una persona piuttosto incline alla dormita, ormai convivo col sonno cronico e sto cominciando a trovare piuttosto comodi anche i sedili del treno o dell'autobus, ma se vi dicessi che mi sono letteralmente addormentata in piedi appoggiata ad una porta...


Un piccolo spazzacamino vittoriano
Purtroppo per lui non c'era proprio niente per
cui sorridere, ma nonostante ciò e la brutalità
dell'esistenza aveva ancora il coraggio (o
l'ingenuità) di farlo
Comunque sia è per altro che siamo qui oggi, sebbene sempre di lavoro si tratti, ed è un argomento davvero molto importante da affrontare con l'adeguata serietà che merita.
Quando si parla di sfruttamento minorile di solito ci vengono in mente molte immagini, i bambini mediorientali intenti sui tappeti che poi ci rivendono su Telemarket perchè le loro dita piccole e sottili riescono ad eseguire con più precisione e più fittamente i nodi, i ragazzini cinesi che cuciono le scarpe da ginnastica di importanti marche sportive, Nike una su tutte, e i bambini della penisola thailandese che fabbricano e cuciono sempre a mano i palloni di cuoio a cui spocchiosi e troppo pagati giocatori di calcio tirano pedate.
Parliamo dello sfruttamento dei bambini al passato come se adesso non fosse presente, ma in realtà si tratta di abitudini comuni a tutti i paesi in cui l'economia sta lentamente scontrandosi con qualcosa di trascinante, sia essa la Rivoluzione industriale o il consumismo occidentale.

Sebbene l'epoca vittoriana sia stata un perido di boom economico, abbiamo visto in diversi altri approfondimenti come questa crescita esponenziale e incontrollata abbia gravato in maniera drastica sulla popolazione e sulle sue condizioni di vita, andando ad essere la causa principale di una lunga sequela di problematiche che hanno afflitto l'Inghilterra ottocentesca e tutti i Paesi in corso di industrializzazione, criticità legate alle condizioni sociali e sanitarie, allo sfruttamento, alla logistica, all'inquinamento.

Tutta la vita in passato era più difficile, la mancanza di tecnologie e medicine, di conquiste sociali e di diritti rendeva l'esistenza una corsa alla sopravvivenza che solo in pochi riuscivano a portare a termine, era un grande torneo degli Hunger Games dove la vita altrui rappresentava un ostacolo per la propria.
Si nasceva in topaie senza alcuna prevenzione sanitaria, aiutati dalle levatrici dalla dubbia professionalità, si cresceva nella sporcizia, scalzi e spesso contornati dalla malavita e si proseguiva lavorando, sempre, fino alla fine, probabilmente sperando di non vivere troppo a lungo per non prolungare il periodo di sofferenza.
Niente feste, niente ferie, niente mutua, niente premio di produzione, carriera, gratifica, sindacato, questo quando si era fortunati, perchè senza un lavoro che potesse pagare il pane alla famiglia non rimaneva che la morte per indigenza ai margini della strada. Non era una cosa troppo rara.

Poichè gli stipendi erano iniqui se paragonati agli orari di lavoro, tutti in casa lavoravano: le donne non impiegate in fabbrica eseguivano lavoretti di cucito e bucato, prestavano servizio nelle case, facevano le pulizie; entrare in una fabbrica era dire addio alla propria vita e identità, ma soprattutto alla propria dignità: avete presente riempire le scatolette di tè, quel tè che ci piace tanto, quattordici ore al giorno senza poter allontanarsi dal banco, sedersi o andare al bagno? E subire le angherie dei capireparto, le loro battute volgari, a volte le loro violenze fisiche e sessuali senza poter fare nulla? Senza che, nonostante apparisse ingiusto, ci fosse una legge che proibiva questi abusi? Bene, è ora che qualcuno si ricordi come era la vita, cari lettori, cosa rappresentano davvero le conquiste dei lavoratori, perchè io ci tengo tanto a ricordarle una volta in più, rispetto ai nostri avi noi, tutti noi, siamo cresciuti nel lusso e nel vizio e spesso diamo per scontati dei benefit che ci derivano dalle lotte e dal sacrificio altrui, proprio per questo il posto fisso, il diritto alla malattia, al periodo di maternità, all'aspettativa, la possibilità di ribellarsi ad una ingiustizia subita sul posto di lavoro non sono lussi che non possiamo permetterci e dovremmo e dovrebbero ricordarsene tutti un po' più spesso. Specialmente quelli che sguazzano in questo genere di privilegio, ma lo denigrano agli occhi altrui.

Anche i bambini lavoravano in quelle stesse condizioni di degrado e sfruttamento, sia i maschietti che le femminucce, la classe proletaria era così povera e la vita tanto degradante che spesso gli stipendi dei due genitori non erano sufficienti per mantenere i figli o gli eventuali anziani e ammalati (molto frequenti erano i malati cronici e gli storpi), inoltre l'istruzione elementare non era obbligatoria e non lo sarebbe stata fino al 1870. Si cominciava intorno ai cinque-settee si proseguiva fino a che ci si poteva permettere di non lavorare più.
Per quelli di voi che sono genitori, riuscite ad immaginare di mandare i vosti bambini che stanno per concludere l'asilo a lavorare in fabbrica dodici ore al giorno?

Quegli uomini e quelle donne che avevano lasciato la povera campagna inglese o irlandese in cerca di un futuro, attirati dalla promessa di guadagno e vita sicura si erano presto scontrati con la realtà: la vita nelle metropoli industriali era ben peggio di quella nei campi perchè il lavoro altrettanto duro, se c'era, e mancavano sia il vitto sia l'alloggio e per pagarlo quegli uomini e quelle donne erano costretti a mandare al macello i loro stessi bambini.


Contesto sociale
Come mai questa proliferazione di bambini che lavoravano non destava scandalo tra i perbenisti victorians? Lo faceva, ma solo tra gli idealisti e gli intellettuali che, dalle colonne dei periodici e dai salotti bene lanciavano invettive contro un governo poco attento.
Oltre al già citato Charles Dickens, che si batterà tutta la vita contro lo sfruttamento denunciandolo in ogni sua novella, fu della stessa ideologia anche il poeta romantico William Blake, tra l'altro autore dell'opera poetica Lo spazzacamino e coniatore della metaforia delle macchine industriali come dark satanic mills, ovvero oscuri macchinari infernali. Si può inoltre conteggiare la poetessa vittoriana Elizabeth Barret-Browning: entrambi importanti esponenti della lirica anglosassione, consideravano il lavoro minorile uno dei mali del loro tempo.

Oltre la ristretta cerchia dell'intellighenzia non si ponevano neanche il problema. Erano poveri, erano diversi, erano altri e non avevano nulla a che spartire con loro. Erano indegni di stare al mondo, per questo erano stati condannati ad una simile esistenza, esseri tanto inferiori da non potersi chiamare neanche uomini e che, quindi, era giusto soffrissero la fame e il freddo, come espiazione delle loro colpe.

Due signore passeggiano per la strada ignorando il piccolo e dimesso spazzino che ha pulito per loro e per le loro gonne costose e raffinate.
E le tante opere pie spesso erano solo un paravento, le persone che davvero prestavano aiuto e servizio per aiutare i più bisognosi erano la vergogna dei loro pari perchè si mescolavano agli ultimi, rischiando di "contaminarsi", come se la loro fosse una malattia contagiosa, basti ricordare il film Hysteria di cui abbiamo parlato qualche mesetto fa e nel quale l'intraprendente Charlotte, volontaria presso uno dei molti ospizi che si occupavano di anziani e bambini, viene raffreddata dal padre e dalla sorella che la considerano inadeguata al ruolo che dovrebbe ricoprire.


Poi bisogna considerare che in altre realtà lavorative, ad esempio le botteghe degli artigiani o i campi dei contadini, l'inizio della "carriera" avveniva prestissimo, intorno ai sette anni i bambini delle città pre-Rivoluzione industriale erano mandati ad imparare il mestiere "a bottega", come i pittori, i calzolai, i tintori, i figli dei contadini, invece, fin da piccoli aiutavano con il lavoro dei campi e da adolescenti erano già inseriti nella routine della vita dei campi, quindi si considerava perfettamente normale impiegare giovani vite anche nelle fabbriche, peccato che il lavoro tra macchine e magazzini fosse decisamente più logorante e che il progredire dei tempi stesse rendendo necessaria non solo una maggiore alfabetizzazione del popolo, come conseguenza del suffragio universale maschile che chiedeva a tutti gli uomini di votare e, quindi, di saper leggere, scrivere e avere idee e conoscenze.
Alcuni bambini all'opera in una fabbrica tessile mentre
manutengono macchinari in lavorazione

Molte famiglie erano letteralmente costrette a far lavorare i bambini di casa per non finire in prigione, i salari, come già detto, erano tanto iniquamente bassi da non permettere ad una persona di sfamare i propri cari e non parlo di mantenere uno stile di vita, ma solo di sopravvivere.
Un caso emblematico è quello di Charles Dickens, di certo l'autore che più di tutti gli altri del suo tempo si è soffermato su questa problematica, il piccolo Charles, infatti, a 12 anni fu costretto ad impiegarsi per poter pagare i debiti della famiglia e questa esperienza lo segnerà moltissimo nella sua crescita e nella sua formazione e ideologia: Dickens, infatti, si batterà sempre contro lo sfruttamento di cui egli stesso fu vittima, rappresentandolo nelle sue molte e subdole forme in quasi tutti i romanzi che scrisse.


Aree di impiego
L'impiego più ambito era a servizio presso le dimore di chi poteva permettersi della servitù: paggi, lacchè e aiuti stallieri consentivano di avere uno stipendio ottimo per l'epoca ed essere vestiti (si portava la divisa, quindi non si consumavano i propri abiti), oltre che vitto e alloggio, con l'unica pecca che di solito si cominciava ad assumere dagli 11 anni e quindi, prima di allora, il ragazzino era costretto a destreggiarsi in altre opportunità di mercato.

I bambini più fortunati lavoravano come garzoni delle consegne per le varie attività della città, macellai, fruttivendoli, sarti, calzolai, cappellai, guantai, avevano tutti il loro bravo fattorino.
Alcune attività come quella degli strilloni (paperboy) o dei lustrascarpe (shoeshine), entrambe rimaste in voga fino agli anni Cinquanta, erano estremamente ambite perchè dandosi opportunamente da fare permettevano un modesto guadagno senza sfiancarsi. Queste figure sono rimaste impresse nella cultura collettiva grazie a film e libri.

The hungry chimney sweeper
by Aurelio Zingoni
L'indimenticabile Oliver Twist, protagonista dell'omonimo romanzo di Dickens cambierà diversi impieghi tra quelli usuali per i bambini, diventerà prima apprendista del viscido e tirannico Mr Soweberry, costruttore di bare, e poi spazzacamino con Gamfield, uomo violento e senza scrupoli.

Quella degli spazzacamini (chimney sweeper)è un'altra figura famosa nell'immaginario moderno e, purtroppo, largamente idealizzata. Mary Poppins l'ha reso più famoso, ma anche più roseo, della realtà. Gli uomini che praticavano questo mestiere erano pochi perchè i comignoli delle case erano stretti e angusti e difficilmente una persona matura si sarebbe riuscita ad infilare in un simile passaggio stretto. I bambini invece erano perfetti, piccoli e agili potevano salire e scendere con facilità come dei gechi sui muri, poco importa che rischiassero di morire bruciati o soffocati dalla fuliggine, quando non precipitavano a lungo nella canna fumaria, erano piccoli ed erano tanti, il che li rendeva perfetti.

Fare lo spazzacamino era un lavoro tutt'altro che piacevole e in Parlamento nel 1825, ben prima di emanare una legge che proibisse il lavoro minorile nelle fabbriche, dovettero mettere mano alla cosa perchè l'altissimo numero di vittime stava cominciando a gravare pesantemente sulla nostra amata Inghilterra, creando una ferita profonda nella società e nel pensiero collettivo.

Cita Lisa Kleypas, Sognando te.
Mentre i signori svuotavano le bottiglie, la conversazione si soffermò su una legge che era stata da poco discussa in Parlamento. Avrebbe abolito la pratica di usare i bambini per la pulizia delle canne fumarie. Però Lord Lauderson, un conte grasso e verboso che aveva l'abitudine di trasformare qualsiasi argomento in fonte di ilarità, aveva fatto qualche battuta umoristica alla Camera dei Lord, affossando la legge. Furono ripetute alcune delle sue freddure e molti signori risero di gusto. Fiero della propria arguzia, Lauderson si illuminò fino ad avere la faccia rosa come quella di un cherubino. «Già, ero proprio in forma l'altro giorno» sghignazzò. «Mi fa piacere intrattenervi, cari amici... come sempre».
Derek appoggiò con cautela il bicchiere per impedire che gli si frantumasse in mano. Aveva sostenuto quella leggere con un sacco di soldi e manovre sotto banco. Con tutte le sue macchinazioni, aggiunte al sostegno dei Raiford, gli era stato garantito che la legge sarebbe passata... fino alla spiritosa arringa di Lauderson. Di colpo le sue vanterie gli furono intollerabili.
«A quanto pare, siete un vero spasso, caro signore» disse Derek. Il suo tono era commesso, ma troncò le facezie che circolavano vivaci intorno alla tavolata. «Eppure dubito che i piccoli spazzacamini avrebbero apprezzato la vostra sagacia quanto il Parlamento.» Sul tavolo calò il silenzio. Molti sguardi si appuntarono sul volto imperturbabile di Derek. Craven dava sempre l'impressione di essere al di sopra di tutto... ma sembrava che per lui quella questione fosse più di un interesse passeggero. Molti ospiti ricordavano le voci secondo le quali lo stesso Crave da piccolo aveva fatto lo spazzacamino. I sorrisi si spensero in un baleno.
«È chiaro che quei ragazzini godono di tutta la vostra simpatia» commentò Lauderson. «Compatisco anch'io quei poveracci, ma purtroppo è un male necessario.»
«Il lavoro che svolgono potrebbe essere eseguito con spazzole a braccio lungo.» disse Derek in tono piatto
«Ma con minor efficacia. E se i camini non vengono puliti a dovere, le nostre preziose case rischiano di prendere fuoco... Preferireste che mettessimo a repentaglio le nostre proprietà e le nostre stesse vite per il bene di qualche moccioso dei bassifondi?»
Derek fissò la lucida superficie del tavolo di mogano. «Con quell'esilarante discorsetto, caro signore, avete condannato a morire migliaia di bambini innocenti. Anzi, qualcosa di peggio della morte.»
«Sono figli di operai, signor Craven, non di nobili. Farebbero comunque una pessima fine. Perchè non sfruttarli per qualcosa di utile?»
«Craven» mormorò Alex Raiford, temendo che fosse sul punto di avvenire qualcosa di irreparabile.
Ma Derek alzò gli occhi e puntò «Mi viene quasi la tentazione, caro singnore, di restituirvi la vostra fuliggine.»
«Cosa intendete dire?» chiese Lauderson
«Intendo dire che la prossima volta che provate ad affossare con uno dei vostri frivoli monologhi da snob una legge che mi sta a cuore, vi imbottirò la gola di fuliggine e polvere da sparo e infilerò il vostro culone nella cappa del camino. E se rimarrete incastrato, accenderò un po' di paglia alla base, oppure vi ficcherò qualche spillo nei piedi per obbligarvi a muovere le chiappe. E se vi lamentate delle bruciature perchè la canna fumaria scotta, oppure temete di soffocare, vi farò annusare la frusta. È questo che deve subire uno spazzacamino ogni giorno della sua misera vita, caro signore. È questo che la legge avrebbe impedito.» Indirizzandogli uno sguardo gelido, Derek si alzò e uscì dalla sala da pranzo. 
Pensate che Derek Craven, il protagonista del libro sia duro? Pensate che sia volgare? Beh, dopo aver fatto per un po', ma anche solo per un giorno una simile vita credo che si possa perdonare quasi tutto.
Questo è un libro, vero, ma non si tratta di esagerazioni.

Un'acquaforte raffigurante il giovane spazzino
che pulisce la strada perchè la nobildonna non
abbia a sporcarsi le scarpette e l'orlo della gonna.
Un'altra posizione molto in voga all'epoca era quella degli spazzini degli incroci (crossing sweeper).
Poichè i cavalli sporcavano e il letame andava rimosso dalle strade, moltissimi ragazzini venivano armati di ramazza e mandati a sgobbare sul selciato per rimuovere tutto il letame, altrimenti gentiluomini e gentildonne, quelli che troppo spesso vediamo come emblema dell'epoca vittoriana, abbigliati in cappeli a cilindro e crinoline, si sarebbero certo sporcati le scarpe e gli orli di gonne e pantaloni passeggiando o sarebbero stati investiti dagli schizzi di cassa di animali quando le carrozze in corsa passavano a gran velocità sopra un monticello "fresco fresco".
Considerando che suddette ben-signore si facevano la cacca addosso perchè non c'era bagni adeguati e con tutta la crinolina non sarebbero mai riuscite né ad entrarci e tantomeno a sedercisi, forse una bella spruzzatina non sarebbe stata poi tanto male, peccato che il loro cattivo umore avrebbe rappresentato solo una giornata d'inferno per le cameriere e ulteriore lavoro per le lavandaie.
Quello dei victorians, diciamocelo, era un mondo con poca giustizia. Specialmente per i meno fortunati.
Ricordiamoci sempre che il bel mondo è solo una minoranza dell'immagine di quel periodo, un'immagine fortunata. La vita vera era distante dai balli con le candele, dai cavalieri galanti e dai parquet tirati a lucido.

La prostituzione era un altro degli impieghi a cui i bambini erano forzati, ma per i dettagli al riguardo vi rimando all'apposito post di qualche tempo fa che era sicuramente più "sul pezzo" e più esauriente, ho citato l'argomento solo per ricordare che più del 50% delle prostitute a Londra aveva un'età compresa tra i 15 e i 22 anni, forse non erano bambine, ma certo neppure adulte e dubito che fossero tutte lì per "vocazione", ma più spesso per debiti contratti dai genitori o dai parenti, mandate a battere i marciapiedi, insomma; alcuni parenti sfruttavano le giovani figlie e nipoti per una vita più lussuosa, molti nobili decaduti svendevano le figlie e le mogli ai loro ex amici e pari grado pur di mantenere lo stile a cui erano abituati o pagarsi i debiti. I bambini erano molto richiesti perchè si credeva che un rapporto con loro potesse curare la sifilide, che era l'AIDS del tempo: si credeva che il bambino avrebbe assorbito in sé la malattia prosciugandola dal corpo del malato, a pochi interessava che,guariti loro (comunque una palla colossale) quei poveri figlioli fossero costretti alla morte al posto del malato originario.
Una donna "vende" il proprio figlio ad uno spazzacamino.
Da quel momento il piccolo (scheletrico) lavorerà come "schiavo" del suo nuovo padrone
infilandosi in comignoli e canne fumarie strettissime per pulirle e sistemarle, taglieggiato dall'uomo
che gli rinfaccerà di averlo tolto dalla strada e dalla miseri.

Per avere rapporti con i bambini (sotto i 9 anni) esistevano appositi bordelli, ma era concesso di tutto ai paganti, comprese orge e orribili pratiche BDSM che a volte sfociavano nella morte del piccolo. Superati i 10 anni i bambini erano equiparati agli adulti e non c'erano limitazioni a quello che si poteva richiedere.
Ad essere impiegati nella prostituzione minorile erano spesso ragazzini poverissimi provenienti dalle regioni rurali, letteralmente rapiti dalla loro casa o scambiati dai parenti a commercianti di vite senza scrupoli che li rivendevano ai detentori dei postriboli, un po' quello che accade a Chiyo e Satsu in Memorie di una geisha, la prima, essendo graziosa, viene acquistata dall'okiya, ovvero la casa di geishe che non sono prostitute, mentre la seconda, meno avvenente e "particolare" (Chiyo aveva gli occhi celesti mentre Satsu no) finisce in un bordello di infimo livello dal quale scappa senza esitazione a costo di lasciare indietro la sorellina.

Poi c'erano le fabbriche.
L'inferno senza via d'uscita a parte la morte.
Difficilmente oggi riusciremmo a immaginarci una fabbrica dell'epoca. I figli degli operai diventavano operai a loro volta, cominciando da piccolissimi perchè proprio col fisico snello e dinoccolato erano perfetti per infilarsi in mezzo agli ingranaggi e ai macchinari.
Uno dei compiti più spesso assolti dai bambini era quello di pulire i macchinari, ma poichè il fermo produzione era impossibile, e questo era uno dei motivi per cui le macchine erano subentrate agli uomini, la cosa era fatta mentre queste erano al lavoro, il che, lo capirete, contribuiva enormemente ad accrescere le tristemente lunghe statistiche delle morti sul lavoro, aggravate dalla giovane età della vittima. Non erano casi isolati.
I bambini erano sottili, agili e potevano infilarsi tra i macchinari, sistemare gli ingranaggi, avvitare, svitare e stringere viti, dadi e bulloni. Inoltre erano molto più economici perchè i datori di lavoro sostenevano che non riuscissero a fare lo stesso carico di lavoro di un uomo. In realtà i lavori erano diversificati, così come tra uomini e donne, perciò il tipo d'impiego era diverso ma né una donna né un bambino lavoravano poco e neanche meno di un uomo. Direi che sedici ore fossero troppe per tutte e tre queste categorie di, chiamiamoli, impiegati.
Senza contare che, per paura che non lavorassero il giusto, i bambini erano incatenati ai loro banchi di lavoro, ecco una citazione utile per rendere l'idea
Chained, belted, harnessed like dogs…black, saturated with wet, and more than half-naked, crawling upon their hands and knees, and dragging their heavy loads behind them
La pratica di incatenare i ragazzini era specialmente diffusa per quelli che erano nuovi del mestiere, sconvolti dalla novità o che erano già fuggiti in passato. Per chi scappava c'era la prigione.


Vita in fabbrica
Ellen Clark iniziò a lavorare per una fabbrica di sigari e sigarette all'età di 10 anni, il suo mestiere era rollare le sigarette in modo che il tabacco fosse in quantità e disposizione perfetta, il suo turno iniziava alle 7 di mattina e si concludeva alle 20.30 la sera con due pause di mezz'ora alle 8.30 di mattina (colazione) e alle 17.00 (il tè), c'era inoltre 1h a disposizione per il pranzo a mezzogiorno.
Anche una delle mie zie lavorò in una manifattura tabacchi durante il periodo post-bellico e qualche volta raccontava di come erano le condizioni in cui lei e le altre ragazze (tutte femmine perchè costavano meno) erano impiegate: sono sempre rimasta inorridita dai suoi racconti, ma dovevo ancora scoprire come era la situazione PRIMA. Ora nella manifattura tabacchi dove lavorava lei hanno costruito una biblioteca: l'ho sempre considerato un grande segno di vittoria della cultura sul materialismo e l'avidità delle persone che sfocia nello sfruttamento.
Una bambina in mezzo ai macchinari di una industria tessile

Forse quello di Ellen non era un lavoro faticoso, ma di sicuro spossante e distruttivo dal punto di vista psicologico quanto una catena di montaggio: tutto il giorno, tutti i giorni a compiere sempre gli stessi gesti, tutta la vita e per un tozzo di pane. Bella gratifica, dovrebbero portarlo come esempio quando, all'orientamento scolastico delle scuole medie parlano del percorso di vita e di tutte quelle altre affermazioni idealiste.

I primi a boicottare il lavoro dei ragazzini per un proprio guadagno erano proprio i datori di lavoro e i loro tirapiedi, uomini e donne impiegati per controllare il lavoro degli altri e, per questo, estremamente detestati dagli impiegati.
Una violazione dell'orario era severamente punita e i ragazzini che rimanevano oltre la chiusura picchiati per ammonimento, si diceva.
Jonathan Downe, interpellato dalla Commissione di Sadler (vedi più avanti) disse al riguardo
When I was seven years old I went to work at Mr. Marshalls factory at Shrewsbury. If a child was drowsy, the overlooker touches the child on the shoulder and says, "Come here". In a corner of the room there is an iron cistern filled with water. He takes the boy by the legs and dips him in the cistern, and sends him back to work.
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Dei piccoli lavoratori dall'aria provata e dal
volto emaciato.
A sette anni andai a lavorare presso la fabbrica di Mr Marshalls a Shrewsbury. Se un bambino era assonnato il supervisore gli toccava la spalla dicendo "Vieni qui". In un angolo della stanza c'era un bidone di ferro pieno d'acqua, lui prendeva il ragazzo per le gambe e lo calava nella cisterna, dopodichè lo rimandava al lavoro.

Quando si faceva tardi la mattina, oltre ad una punizione fisica, il tempo perso era decurtato dalla paga (settimanale o giornaliera, a seconda), ma questo atteggiamento estremamente fiscale (e brutale) era appositamente studiato perchè, mancanti di orologi e segnatempo, carissimi per le finanze dei salariati, era praticamente impossibile conoscere l'orario.
I worked from five in the morning till nine at night. I lived two miles from the mill. We had no clock. If I had been too late at the mill, I would have been quartered. I mean that if I had been a quarter of an hour too late, a half an hour would have been taken off. I only got a penny an hour, and they would have taken a halfpenny
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Lavoravo dalle 5 di mattina fino alle 9 di sera. Vivevo a 2 miglia dal mulino. Non avevamo orologi. Se facevo tardi  mi venivano trattenuti dei soldi. Cioè, se fossi stata in ritardo di un quarto d'ora loro mi avrebbero tolto mezz'ora. Io guadagnavo solo 1 penny l'ora e loro me ne prendevano mezzo per 1/4 d'ora di ritardo.

Le miniere erano anche peggio delle fabbriche, oltre che altrettanto pericolose come qualità della vita e sicurezza. A tal proposito vi ricordo il post Il lavoro nelle miniere dei primi tempi di vita del GsG.
I bambini, per lo stesso motivo che li rendeva ideali come spazzacamini, venivano usati per portare il materiale estratto dal fondo della miniera alla superficie attraverso stretti cunicoli che risalivano, i cunicoli piccoli erano meno pericolosi delle grandi gallerie perchè non andavano a sottrarre della struttura portante, perciò c'erano meno rischi che la volta o l'intera caverna sotterranea crollasse, seppellendo il giacimento e costringendo i minatori a scavare da capo la strada verso il filone. Verga ci descrive nella sua novella Rosso Malpelo la vita di alcuni bambini nella solfatara, la miniera di zolfo, in particolare della loro quotidianità e i come la durezza della vita avese contaminato anche il loro carattere rendendoli non solo degli adulti in miniatura, ma anche cattivi e cinici.
Un piccolo minatore trascina il suo pesante carico fuori dalla miniera. I cunicoli erano così stretti che anche i bambini camminavano carponi, ma essendo sottili e deboli il carico per loro era doppiamente pesante.
Molti, a furia di passare rasenti ai muri si consumavano nel corpo, oltre a soffrire di malattie legate alla carenza di luce e di nutrimento in alcune zone della testa dove sfregavano sul soffitto non crescevano più i capelli. Erano trattati come bestie da soma e nulla di più e ratamente sopravvivevano dopo i vent'anni.


Un'altra novella che parla di giovani minatori che sicuramente ricorderete dai tempi della scuola è Ciaula scopre la luna e si sofferma in particolare su come un'esistenza vissuta sotto terra, come le talpe, fatta di routine estenuanti e sforzi fisici dolorosi abbia tolto ai minatori qualsiasi contatto con la realtà, trasformandoli in robot senza coscienza, almeno fino a quando Ciaula, il giovane ragazzo che trasporta in superficie il carico,  si accorge della luna nel cielo. Questa nuova consapevolezza fa scattare qualcosa dentro di lui, cambiandolo definitivamente. Lo stampo della novella è tipicamente pirandelliano, con la scoperta improvvisa e devastante di una consapevolezza che cambia la propria esistenza, ma solo temporanemanete (si veda Il fischio del treno, Il fu Mattia Pascal, ecc.).


Con la prossima tabella, dove finalmente potrete leggere i numeri di questa mostruosità, intendo concludere questo post, l'argomento proseguirà a breve nel post dedicato alle riforme sociali che si sono succedute per regolamentare l'impiego dei minori.

Child Employment, 1851-1881
Industry & Age Cohort
Mining
1851186118711881

Males under 15
37,30045,10043,10030,400
Females under 151,400500900500
Males 15-2050,10065,30074,90087,300
Females over 155,4004,9005,3005,700
Total under 15 as
% of work force

Textiles and Dyeing
13%12%10%6%

Males under 15
93,80080,70078,50058,900
Females under 15147,700115,700119,80082,600
Males 15-2092,60092,60090,50093,200
Females over 15780,900739,300729,700699,900
Total under 15 as
% of work force
15%19%14%11%
Source: Booth (1886, 353-399).

Poichè la bibliografia di questo post potrebbe essere considerata un post a se stante, ne scriverò uno apposito in modo da non occupare troppe pagine.
I bambini più piccoli erano affiancati ad altri più grandi come aiutanti. L'industria tessile rappresentava circa il 60% dell'industria inglese, la popolazione impiegata nel settore superava il milione.
 
Spero che l'approfondimento sia ugualmente stato interessante e all'altezza delle aspettative, vorrei ringraziare tutti voi che continuate a leggere il Georgiana's Garden nonostante la sua webmistress sia veramente un pessimo soggetto e non rispetti mai i tempi di consegna e a volte sia superficiale e frettolosa.
Grazie del sostegno e dell'appoggio che avete dimostrato al mio progetto quando ho accennato alla possibilità di chiuderlo definitivamente, come detto all'inizio stringerò i denti e tirerò avanti come posso, cercando di ritagliarmi qualche ora anche per il GsG, purtroppo trattandosi di un blog di approfondimento qualche minuto per parlare della mia giornata o del mio ultimo outfit non sono sufficienti come accade invece per i fashion blog, aggiornati giornalmente e a volte con più post per ciascuno. Spero comprenderete che i mestieri, sebbene fatti sulla stessa piattaforma, sono un po' differenti, solo per recuperare tutti i libri e i siti che ho visitato al riguardo ho impiegato due pomeriggi, certo più del tempo che qualcuno usa per copincollare il proprio testo su Google Translator e piazzarlo in un post.

Grazie a tutti
con molto affetto,





Mauser
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